Il bluewashing israeliano, sale sulle ferite del Libano
L’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto è sembrata ed è stata percepita dai libanesi come una piccola bomba nucleare, sia per i danni che per il trauma emotivo e l’orrore che ha causato alla popolazione. Per coincidenza, è accaduta solo due giorni prima del 75° anniversario dell’atto più orrendo della storia, quando gli Stati Uniti fecero esplodere due bombe nucleari sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto del 1945.
Per il Libano l’esplosione, il suo impatto e le sue conseguenze sono sembrati come una bomba atomica. Per i libanesi e l’intera regione non è solo il pensiero della guerra, ma anche dei tempi instabili in cui viviamo, pervasi da corruzione dilagante, politici inaffidabili e politiche neoliberiste impopolari. Allo stesso tempo sono anche consapevoli del fatto che il Libano è solo un pezzo dello scacchiere geopolitico, un gioco sporco in cui non hanno voce in capitolo. Il popolo libanese è perso. L’incertezza e la disperazione sono tanto devastanti quanto strazianti per il Libano, il Medio Oriente e il mondo, anche se all’apparenza potrebbe non sembrare così ovvio.
Il popolo libanese è scioccato mentre conta i propri morti e feriti, così come il resto del mondo arabo poiché la regione ha visto continui spargimenti di sangue negli ultimi decenni, per ragioni interne ed esterne. La regione è stata al centro della scena mondiale nelle lotte tra le divisioni settarie accentuate dall’invasione dell’Iraq nel 2003, quando gli Stati Uniti hanno esacerbato queste divisioni e acuito le rivalità regionali legate agli interessi occidentali nella regione; in particolare, garantire il primato di Israele nella regione a ogni costo e consentirgli di imporre la sua volontà ai palestinesi.
Quando in mezzo a questa tragedia il sale viene strofinato sulla ferita – da Israele che offre in malafede il suo aiuto – è ancora più inquietante e irritante per i libanesi. Il Libano, come la Palestina e la Siria, ha sofferto per mano dell’esercito israeliano nel corso degli anni. Palestinesi, siriani e libanesi lo sanno, come lo sanno anche gli israeliani, anche se il resto del mondo non lo sa.
Mentre il resto del mondo potrebbe interpretare il rifiuto del Libano di accettare gli aiuti da Israele come un altro esempio di come i libanesi siano intolleranti o non accettino Israele, la verità è molto più complessa. La gente non può vedere chiaramente questa verità a causa del “bluewashing” di Israel. Il termine bluewashing – con il colore blu che rappresenta la bandiera delle Nazioni Unite, associato all’umanitarismo – si aggiunge al concetto di “whitewashing”, metafora usata per descrivere la censura dei crimini, dare smalto alla propria immagine, mettere una maschera e deviare l’attenzione.
Le strategie di PR di Israele mirano a proiettare un’immagine pulita di sé, nascondendo o distogliendo l’attenzione dalle sue politiche criminali, occupazione, razzismo e interessi, e per sviare le critiche e le condanne a cui è stato sottoposto.
Il bluewashing di Israele in questo momento di crisi serve a proiettare un volto diplomatico e umanitario mentre copre la sua vera natura, i suoi crimini e le sue politiche aggressive nei confronti del Libano. Permette anche a Israele di puntare il dito contro il suo nemico, in questo caso Hezbollah, come ha affermato chiaramente l’ambasciatore israeliano uscente alle Nazioni Unite Danny Danon quando ha affermato che il popolo libanese dovrebbe ora cacciare Hezbollah, come li ha incolpati – senza prove – per l’esplosione.
Sebbene la causa non sia stata ancora determinata, e potrebbe non esserlo per molto tempo, Israele è pronta a offrire risposte. Ma ricordiamoci che il Libano deve ancora scoprire la verità sull’assassinio di uno suo primo ministro – l’uomo d’affari che ha investito nella ricostruzione del Libano dopo la guerra civile – Rafiq Hariri, ucciso il 14 febbraio del 2005.
Il presidente libanese Michel Aoun ha affermato che c’è la possibilità di coinvolgimenti esterni riguardo all’esplosione del 4 agosto, un razzo o una bomba. E se chiedi al popolo libanese chi, secondo loro, avrebbe un reale interesse nel distruggere il porto, la città e il paese – se le forze esterne fossero all’opera – le risposte molto probabilmente includerebbero il loro vicino meridionale, che ora si spaccia come un possibile salvatore attraverso il bluewashing.
Il modo in cui il popolo libanese lo vede, e il modo in cui lo vede la maggior parte del mondo arabo, è che offrendo assistenza Israele finge di preoccuparsene, quando in realtà il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz aveva appena minacciato di distruggere le infrastrutture libanesi dopo giorni di tensione al confine.
Allo stesso tempo, un ex membro del parlamento israeliano, Moshe Feiglin, ha dichiarato che l’esplosione è stata un dono di Dio e che è stato uno spettacolo eccezionale e un giorno di grande gioia. Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha offerto le sue condoglianze al Libano e la bandiera libanese è stata proiettata sul palazzo del municipio di Tel Aviv, come se il popolo libanese potesse essere indotto a dimenticare la famosa dottrina israeliana Dahiya, la strategia militare che consente la distruzione di infrastrutture civili giustificandola con la necessità di impedire ai nemici di Israele di usarle.
Ma questa strategia israeliana è ben nota ai libanesi, perché prende il nome di un quartiere libanese che è stato completamente raso al suolo da Israele nella sanguinosa guerra intrapresa contro di esso nel 2006.
I libanesi non possono dimenticare che nel 2006 bambini israeliani sono stati visti firmare missili che stavano per essere lanciati contro i civili in Libano. E nel 1982 Israele invase il Libano per attaccare i palestinesi lì, assediando Beirut e uccidendo brutalmente tra le 15.000 e 20.000 persone. Dopo l’invasione del 1982, Israele ha occupato il Libano meridionale per 22 anni, fino a quando alla fine si è ritirato a seguito di una risoluzione delle Nazioni Unite. Israele è lo stesso paese che ha ucciso e ferito decine di migliaia di civili palestinesi e libanesi e che ha bombardato ogni parte del paese, prendendo di mira aree civili e violando regolarmente lo spazio aereo e la sovranità libanese.
Ma Israele non ha mai nascosto le sue intenzioni. L’ex ministro della Difesa israeliano Naftali Bennett ha dichiarato che rimanderebbe il Libano indietro al Medioevo se Israele fosse stato attaccato al confine dai gruppi armati del partito politico libanese Hezbollah. Questo sentimento si è ripetuto anche quando le tensioni sono aumentate lungo la frontiera settentrionale di Israele con il Libano e la Siria, nel territorio siriano occupato delle Alture del Golan, quando un combattente di Hezbollah è stato ucciso in un attacco israeliano vicino a Damasco.
Israele bombarda regolarmente anche la Siria e minaccia il Libano e i palestinesi, come dimostrano le loro dichiarazioni pubbliche. Il leader israeliano Benny Gantz ha dichiarato con orgoglio che Israele aveva rimandato la Striscia di Gaza all’età della pietra.
Queste dichiarazioni e la storia di Israele nella regione si scontrano con il suo tentativo di bluewashing. La verità è che Israele è visto come un distruttore che porta tragedie umanitarie, non aiuti umanitari. La sua offerta di aiuto è vista semplicemente come una provocazione e aggiunge la beffa al danno.
Il bluewashing non è che uno dei tanti strumenti di propaganda che Israele usa per ripulirsi l’immagine. Tuttavia, ogni libanese sa che a Israele non importa dei libanesi e in realtà festeggia la loro tragedia. Twittare condoglianze in mezzo a questa catastrofe dimostra solo ai libanesi – e ad altri nel mondo arabo – che l’ipocrisia di Israele non ha limiti.
Rania Hammad
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*Roma, 11 agosto 2020, Nena News –
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