Il convitato di pietra
C’è un convitato di pietra in tutte le informazioni sull’andamento dell’epidemia di Covid-19. È sempre presente, muto, silenzioso, senza identità. È il paziente vecchio, identificato dall’età (connotato burocratico anagrafico attribuito per convenzione, come dice Marc Augé) per fare una media statistica e dal numero delle sue patologie, per dare una parvenza scientifica.
C’è una cultura della discriminazione, che oggi chiamiamo “ageismo”, che forse senza piena consapevolezza degli interessati, ha dominato tutta questa prima fase della lotta all’epidemia. Nei primi giorni era una sorta di “messaggio rassicurante” per chi vecchio non era, perché non si spaventasse per “qualcosa che era poco più di un’influenza”. Chi vecchio non era poteva fare picnic, sciare, ammassarsi al supermercato, ritrovarsi nei luoghi della movida, perché il virus non l’avrebbe toccato.
Poi mentre l’epidemia si espandeva, le informazioni ufficiali assunsero la morte dei vecchi come altro “dato positivo”: l’Italia è uno dei paesi con la più alta speranza di vita, perché i vecchi sono curati bene, quindi è ovvio che ci siano più morti che altrove! Siccome il convitato di pietra non aveva voce, questo messaggio si è arricchito di altri corollari, che hanno rivelato un’idea cinica che già stava circolando: il virus riduce gli anziani pensionati, un peso per l’economia nazionale.
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Lidia Goldoni
1/4/2020
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