Il debito contro il diritto di sciopero
La ripresa degli scioperi in molte delle principali economie occidentali è stata una delle notizie negli ultimi mesi. Lo scorso novembre Neil Bradley, vicepresidente esecutivo della Camera di commercio degli Stati uniti, ha dichiarato esplicitamente a Fox News: «Non possiamo permettere che si verifichi uno sciopero ferroviario nazionale». Il fatto che si vociferasse addirittura che uno sciopero nazionale delle ferrovie fosse all’orizzonte è un segno dei tempi che cambiano.
Ma mentre gli scioperi stanno davvero tornando alla ribalta sia negli Stati uniti che nel Regno unito, gli analisti tendono a sopravvalutare il ritmo e la forza di queste ondate di azioni sindacali. Sfortunatamente, il loro ottimismo non considera quanto siamo lontani dall’effettivo picco di azioni di sciopero della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta.
Per rilanciare la democrazia sul posto di lavoro, dobbiamo capire perché fare uno sciopero sia un compito molto più difficile di quanto non fosse in passato, ovvero cosa disincentiva i lavoratori dal sostenere l’azione sindacale. In un mio articolo recente pubblicato sull’Industrial Relations Journal, indago i fattori economici e politici associati al forte calo delle azioni di sciopero. Il mio lavoro si concentra sulla durata degli scioperi, la partecipazione e il numero di scioperi che hanno avuto luogo negli Stati uniti, nel Regno unito, in Giappone, Corea, Svezia e Norvegia dal 1970 al 2018.
La conclusione chiave è che mentre la crescita dell’inflazione induce effettivamente le azioni di sciopero, come stiamo vedendo ora, il peso del debito personale compensa questo aumento. Dunque, la mia ricerca rileva che negli ultimi cinquant’anni il debito personale ha soppiantato gli scioperi principali.
Neoliberismo e finanziarizzazione
Le rispettive elezioni di Margaret Thatcher e Ronald Reagan hanno segnato l’inizio di quello che viene comunemente descritto come neoliberismo. A differenza del liberalismo laissez-faire, che non assegna alcun ruolo allo stato, il neoliberismo è il modello economico in base al quale lo stato agevola attivamente l’espansione dei mercati privati in tutti i settori dell’economia e interviene per garantire la redditività degli investitori privati.
Com’era il mondo prima del neoliberismo? Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la ricostruzione delle economie coinvolte nel conflitto richiese un ampio impiego di manodopera. Ciò ha reso il mercato del lavoro più teso in quei paesi, il che ha conferito potere ai lavoratori e innescato l’ascesa del sindacalismo del Dopoguerra. Allo stesso tempo, la Guerra fredda ha generato una feroce concorrenza tra l’Occidente e le repubbliche sovietiche, il che ha spinto i governi occidentali a espandere i loro sistemi di welfare per paura di possibili rivoluzioni. Di conseguenza, lo stato sociale nelle democrazie industriali occidentali di quest’epoca prevedeva spesso cose come l’assistenza sanitaria pubblica gratuita, l’istruzione superiore gratuita e molti alloggi popolari.
L’intensificarsi dei problemi economici emergenti all’interno dell’Urss dalla fine degli anni Settanta ha portato Mikhail Gorbachev ad attuare la perestrojka, una serie di riforme di ristrutturazione economica mirate a rilanciare l’economia sovietica. Queste includevano un coinvolgimento meno stretto del governo nella produzione e l’autorizzazione alla creazione di imprese private, che era stata vietata dagli anni Venti. I politici occidentali hanno considerato queste riforme, e in ultima analisi la caduta dell’Urss nel 1991, come la prova della superiorità del capitalismo. L’eliminazione della minaccia delle rivoluzioni ha generato il passaggio ideologico e politico al neoliberismo, poiché il benessere pubblico non era più necessario per mantenere l’ordine sociale.
Nel 1986 Reagan riassunse il nuovo ethos quando disse: «Le nove parole più terrificanti in lingua inglese sono: io vengo dal governo e sono qui per aiutare». All’interno di questo status quo emergente, iniziarono a verificarsi processi paralleli. Da un lato, gli stati di tutto il mondo hanno gradualmente iniziato a ridurre la spesa per l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’edilizia sociale. Allo stesso tempo, hanno promosso gli investimenti delle imprese private, che hanno finito per dominare questi settori. D’altra parte, i governi hanno anche facilitato la liberalizzazione del settore finanziario e l’ascesa delle assicurazioni private in assenza di reti di sicurezza pubblica.
La privatizzazione dei servizi chiave ha spinto i costi sempre più in alto e ha fatto in modo che la gente comune dovesse indebitarsi sempre di più. I costi dell’assistenza sanitaria privata sono saliti alle stelle, l’accesso all’istruzione superiore è diventato insostenibile per la maggior parte delle famiglie della classe lavoratrice e il costo dell’affitto o dell’acquisto di una residenza decente ha raggiunto livelli insostenibili. Se le persone vogliono accedere a questi servizi fondamentali, spesso si trovano davanti all’unica opzione di accedere a un prestito. Non è un caso che in questo periodo il debito medico, studentesco e, in particolare, ipotecario sia salito a livelli record.
Debito, disciplina e lotta di classe
In qualche modo, una parte significativa delle famiglie della classe media nelle economie ad alto reddito ha beneficiato di questo processo. Dal momento che spesso godono di rendimenti da investimenti immobiliari o in borsa, che sono spinti dalla crescita del debito delle famiglie, le persone della classe medio-alta sono spesso contrarie alla regolazione finanziaria. Ma che dire della stragrande maggioranza delle famiglie indebitate e della classe lavoratrice?
Il pagamento del servizio del debito costituisce l’onere di bilancio più importante che le famiglie working class devono affrontare. Ancora più importante, questo costo è legato a fattori al di fuori del controllo della gente comune, che ha poco spazio per negoziare con i propri creditori. Un esempio recente è l’approccio irragionevole della Federal Reserve e della Banca centrale europea di aumentare i tassi di interesse come mezzo per frenare l’attuale ondata di inflazione. L’unico effetto reale di questa mossa è il forte aumento dei costi del servizio del debito per le famiglie indebitate. Per le famiglie più povere, indebitarsi implica una grande incertezza.
È sempre più scontato che i lavoratori e le lavoratrici indebitate mostrino crescente disciplina nelle loro decisioni economiche e sul posto di lavoro. L’evidenza mostra che l’aumento dell’indebitamento personale è strettamente correlato al declino costante della quota di reddito dei salariati nella maggior parte delle economie, dall’Europa continentale e dalla Scandinavia all’Africa sub-sahariana, all’America latina e al Medio Oriente. Ciò perché nei mercati del lavoro liberalizzati di oggi, sostituire un lavoratore o una lavoratrice è semplice e facile per la maggior parte dei datori di lavoro. Di conseguenza, chiedere un salario più alto o esigere condizioni migliori comporta il rischio maggiore di perdere il lavoro e quindi non saldare il debito. A questo proposito, è ragionevole accettare un salario basso o un peggioramento delle condizioni di lavoro rispetto all’alternativa di rischiare la disoccupazione.
Nella mia ricerca dimostro che gli effetti disciplinari dell’indebitamento personale influenzano gli approcci alla contrattazione salariale individuale e disincentivano le persone dal partecipare ad azioni sindacali. La partecipazione agli scioperi, il numero di scioperi in corso e la durata degli scioperi sono in calo rispetto al picco raggiunto alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta. Non è un caso che questo declino sia iniziato durante le prime fasi del passaggio del settore finanziario al finanziamento delle famiglie piuttosto che delle imprese.
Lo sciopero comporta il costo a breve termine della perdita di denaro per i giorni in cui si sciopera e anche, nell’economia odierna, il rischio a medio termine di essere licenziati. In entrambi i casi, il rischio di inadempienza personale aumenta, il che è uno dei motivi principali per cui le famiglie working class hanno evitato di partecipare agli scioperi negli ultimi decenni.
Difendere la democrazia sul posto di lavoro
Il diritto di astenersi dal lavoro è un diritto umano fondamentale. Mentre in molte economie ciò viene legalmente stabilito, i vincoli esterni come la paura di essere inadempienti sul proprio debito hanno impedito alle persone di esercitare questo diritto per anni.
Negli ultimi mesi, in diversi paesi si è verificata una recrudescenza dell’azione sindacale. Ma nonostante gli scioperi continuino, rimangono molto più piccoli in termini di frequenza e partecipazione rispetto ai livelli degli anni Settanta e Ottanta. La crisi del costo della vita è senza dubbio una delle cause principali di tutto ciò. Poiché l’inflazione spinge le famiglie più povere a indebitarsi maggiormente, i rischi associati alla partecipazione a uno sciopero stanno crescendo. L’attuale aumento degli scioperi è messo in pericolo da questa situazione. Resta da vedere se la rabbia per l’inflazione possa eclissare la paura del default personale.
La sfida a breve termine per i lavoratori e le lavoratrici e per i sindacati è quella di mobilitare più persone e sostenere il ritmo attuale dell’azione sindacale. Non è semplice. La progettazione strategica di campagne di sciopero che diano priorità a interruzioni mirate rispetto ad azioni a tempo indeterminato potrebbe essere un modo per incentivare i e le precarie a impegnarsi. Allo stesso modo, la formazione di coalizioni sociali più ampie con associazioni come i sindacati dei debitori può aiutare a mobilitare più persone e difendere la democrazia sul posto di lavoro e oltre.
Giorgos Gouzoulis è assistente professore all’Università di Bristol, Business School. La sua ricerca si concentra su come la finanziarizzazione e la globalizzazione influenzano la contrattazione salariale, la precarietà della forza lavoro, lo sciopero e l’impegno sindacale. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
20/2/2023 https://jacobinitalia.it/
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