Il diritto alla salute attraverso il Mediterraneo
Il volume – Health right across the Mediterranean – tackling inequalities and building capacities –, curato da Emilio Di Maria per Genova University Press, pone al centro il “diritto alla salute”, o almeno il diritto ad avere a disposizione di tutti la migliore assistenza sanitaria possibile, che qui viene inteso – sull’esempio della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1946 – come uno dei diritti umani fondamentali. E individua nel Mediterraneo un’area di particolare interesse, sia perché è uno dei confini dove la differenza tra Nord e Sud del mondo è più netta, sia per i flussi migratori che da una ventina d’anni lo attraversano con esiti spesso drammatici: 33.700 tra morti e dispersi nel tentativo di attraversarlo tra 2000 e 2017, come riporta Severoni nel volume.
Intervengono su aspetti di carattere generale che vanno dalla relazione tra diseguaglianze e salute, a quella tra salute e condizioni di vulnerabilità, come quella migratoria, alle interconnessioni imprescindibili tra salute, ambiente, sviluppo e pace, esperti del livello di Michael Marmot che ha introdotto il concetto di Health gap e promosso lo studio dei determinanti sociali di salute, Santino Severoni, da anni impegnato nell’OMS sui temi migratori, Grammenos Mastrojeni, esperto di cooperazione internazionale per il governo italiano.
Per Michael Marmot (Institute of Health Equity, University College of London) il problema centrale è quello dell’effetto delle disuguaglianze sulla salute: più in basso si è nella gerarchia sociale, più avverse le condizioni sociali nelle quali si nasce, cresce, vive, lavora e invecchia, peggiori le conseguenze per la salute. E questo vale in una grande città nella parte ricca del mondo, come nei campi profughi dove si vive sotto le tende e tutto è precario. Tra i Paesi dell’America latina ad esempio, Cuba, Costa Rica e Cile sono tra i Paesi nei quali il diritto alla scuola materna e all’istruzione sono meglio garantiti, e anche quelli dove l’aspettativa di vita è più alta. E all’opposto Paraguay, Repubblica Domenicana e Columbia sono tra quelli nei quali lo è meno, e l’aspettativa di vita è più bassa. Promuovere sistemi efficaci di welfare e politiche contro la povertà migliora lo stato di salute e l’aspettativa di vita. Tuttavia, nonostante questo quadro desolante, Marmot conclude con un’osservazione ottimista: il divario tra Paesi con migliore e peggiore aspettativa di vita si è ridotto negli ultimi decenni, e ciò dovrebbe incoraggiare l’impegno a migliorare la salute per tutti, perseguire la giustizia sociale e diffondere informazione ed evidenze, tre obiettivi tra loro strettamente correlati.
Severoni sottolinea come la composizione dei migranti che si imbarcano per attraversare le tre rotte del Mediterraneo sia cambiata dopo il 2015: non più solo adulti, prevalentemente maschi, in cerca di lavoro, ma nuclei familiari più in fuga da qualcosa che diretti verso qualcosa. La migrazione dalle guerre ha interessato principalmente Paesi del Medio Oriente e dell’Africa orientale, ed è interessante che la Turchia, che si è trovata a ospitare tre milioni di siriani, abbia scelto di coinvolgere medici e operatori sanitari reclutati tra i profughi, nell’assistenza sanitaria a quella popolazione. Per migliorare l’assistenza sanitaria ai migranti da parte dei Paesi europei di accoglienza sarebbero necessari un migliore coordinamento tra i livelli nazionali e una maggiore attenzione nella prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili nella popolazione migrante, che sono spesso in ombra rispetto a quelle trasmissibili perché, non evocando il fantasma del contagio, colpiscono meno l’immaginario.
Mastrojeni confronta gli obiettivi dell’agenda dello sviluppo 2000-2015 con quelli dell’agenda 2015-2030: lotta alla povertà, alla fame, buona sanità e buona istruzione, uguaglianza di genere, pace e giustizia, lotta ai cambiamenti climatici, tra gli altri I principali vantaggi della seconda agenda starebbero nel fatto di contemplare obiettivi qualificati e sostenibili; dal riferimento alla sostenibilità; dal fatto di concepire gli obiettivi come sinergici e interconnessi. Sarà forse perché mentre scrivo questa recensione le truppe turche stanno per avanzare in Rojava, ma mi pare che in un mondo governato da un’economia di mercato nella quale la prima, e spesso unica, logica è il profitto e dove unico regolatore delle relazioni tra i popoli è, direttamente o indirettamente, la forza militare, tanto gli obiettivi dell’una che dell’altra agenda rischiano però di rimanere buone intenzioni se qualcosa non cambia radicalmente in quei soggetti politici che dovrebbero essere chiamati a perseguirli.
Il testo prosegue affrontando la mediazione linguistica e culturale in campo sanitario, della quale si sottolinea il carattere di interdisciplinarità con Raga Gimeno, De Luise e Morelli, Dell’Aversana e Bruno. Il primo traccia una storia interessante della mediazione linguistica e culturale nei contesti sanitari spagnoli, fino alla crisi attuale dove a un’ampia disponibilità di personale ben formato corrisponde un mercato del lavoro poco recettivo, e prova a identificarne le cause. De Luise e Morelli si soffermano, basandosi sulla propria esperienza, sulla complessità di definizioni come “mediazione culturale” e “mediazione linguistica”, per poi sostenere che la “mediazione” necessaria è soprattutto quella “di comunità”. La mediazione, cioè, dovrebbe costituire, per essere realmente efficace, uno stile di funzionamento generale nella singola istituzione o nel sistema sanitario considerato nel suo insieme, e non essere presa in considerazione soltanto in presenza di difficoltà comunicative con uno straniero. Dell’Aversana e Bruno, infine, partono da una serie di iniziative adottate nel 2017 dall’OMS per spingere gli Stati membri a impegnarsi per la tutela della salute dei migranti. E osservano che i sistemi sanitari, che hanno per mandato la tutela di un bene fondamentale quale la salute, possono contribuire in modo importante – con l’essere più o meno equi, universalistici, accoglienti – all’aumento o alla diminuzione delle disuguaglianze. Paiono poi preoccupati da quello che appare loro un generale ritardo dei sistemi sanitari europei nel rimodularsi per dare adeguata risposta alla novità rappresentata dalle migrazioni recenti: sarebbe necessaria una rimodulazione che interessi differenti livelli, da quello professionale, dove promuovere mediazione interculturale e formazione professionale; a quello organizzativo, dove l’approccio “di comunità” può dimostrarsi quello più utile ad affrontare questi problemi; a quello politico, indispensabile per affrontare e abbattere i fattori di diseguaglianza che influenzano i livelli di salute.
Ci riporta al quadro di salute globale l’intervento degli infettivologi Giacobbe e Viscoli, con un contributo specifico sulla diversità nella resistenza agli antibiotici – una questione di salute pubblica estrema rilevanza nell’attività clinica nelle diverse popolazioni che sembra lontana dall’avere trovato azioni risolutive. Il ragionamento riprende con gli interventi di Ferrelli, che affronta il tema della relazione, che vorrebbe il più possibile stretta, tra cooperazione internazionale e ricerca in sanità pubblica; di Cardinale e Flego, che discutono il valore di strumento di governance nell’allocazione appropriata delle risorse dell’Health Technology Assessment; di Griso, che illustra un’esperienza di corridoi umanitari volti ad assicurare cure in Italia a vittime della guerra siriana rifugiate nel Libano, un modello al quale è possibile fare riferimento.
Complessivamente, mi pare che da questi importanti stimoli emerga che la strada per migliorare il livello globale di salute passi per interventi diversi, ma non possa prescindere dalla riduzione delle disuguaglianze che influiscono sullo stato di salute, sostenendo per prime le popolazioni che presentano un grado più alto di vulnerabilità come i migranti. Per questo, i tecnici possono indicare gli strumenti; ma la decisione di adottarli non può che essere, credo, di natura politica e nasce dalla scelta di improntare il tempo che viviamo a valori come la giustizia tra le persone e il rispetto della loro vita, rinunciando a preservare le situazioni di privilegio dalle quali le disuguaglianze derivano.
Paolo Peloso
Psichiatra ASL 3 della Liguria
La pubblicazione è open access, accessibile gratuitamente in versione e-book.
20/11/2019 www.saluteinternazionale.info
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