Il dominio di Big Tech

C’è sempre stata una distanza cognitiva tra “informatici” e “non informatici”, che ha portato spesso a incomunicabilità e, in generale, ha inficiato un comune agire politico, proprio in un periodo storico di grandi cambiamenti nei quali ci sarebbe stato bisogno – e c’è tuttora – di comprendere e agire insieme. Chi sarebbero gli uni e chi gli altri? Si tratta di definizioni approssimative e incapaci di cogliere la realtà, non solo per la loro granularità grossa, ma perché non tengono in conto le tante altre dimensioni dell’essere informatici: in fatto di preferenze, di scelte o di semplici abitudini; in fatto di ambiti, quali le infrastrutture, le piattaforme, le applicazioni, i servizi; in fatto di comportamenti individuali e collettivi, ossia di quanto e come si lascia che gli artefatti informatici, fisici e virtuali, facciano parte della propria vita. Di sicuro la categoria dei non informatici si è andata travasando in tanti modi diversi nell’altra, fino quasi a scomparire e rendendo contestualmente quella degli informatici un oggetto assai oscuro e di fatto privo di senso.

Siamo tutti informatici. Perché la società è cambiata e le suggestioni utopiche o distopiche degli anni Ottanta sul Cyberspazio, sul Villaggio Globale, sull’Intelligenza Artificiale, sono oggi concrete presenze nell’habitus umano, ossia nello spazio sociale, nella sua percezione e nelle sue pratiche tra i componenti di una comunità che, pur non riguardando (ancora) la maggior parte dei viventi di specie Homo Sapiens sul pianeta Terra, ne comprende tuttavia qualche miliardata. Abbiamo quindi delle responsabilità politiche che non possiamo più derubricare a un binario parallelo e di grado inferiore, fatto di tecnicismi strumentali al mero perpetuamento di posizioni di dominio. Di converso, le tecnologie IT hanno messo in moto un processo costituente, che è passato quasi completamente sotto traccia, e ha determinato la nascita di nuove forme di potere e dominazione, ancora più totali e pericolose, rispetto all’epoca del mero sfruttamento del lavoro manuale e cognitivo degli esseri umani.

La vita delle persone

L’emergenza Coronavirus sta spingendo a velocità ancora superiori i processi inarrestabili di cattura delle vite delle persone, fedelmente campionate attraverso i dati personali, relazionali, comportamentali e ora anche – o per meglio dire sempre più – interni al corpo, riguardanti cioè le funzioni vitali e lo stato di salute. Questo straordinario e preziosissimo campionamento di massa delle nostre vite viene accentrato nelle mani di pochissimi soggetti, i cosiddetti Big Tech, i giganti dell’IT, come Google, Amazon, Microsoft, Facebook, Apple. Giova dire che sono soggetti privati? Forse, ma non è questo il punto. Il fulcro del problema è che sono fuori controllo, con le mani libere di fare e pervicacemente chiusi alla condivisione dei loro patrimoni informativi. Hanno accentrato conoscenze e competenze che li hanno rapidamente lanciati verso il controllo totale del Pianeta. Controllo politico, prima ancora che economico, è bene sottolinearlo.

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La condizione di arresti domiciliari in cui siamo precipitati, ha spinto a rendere operativi i progetti di lavoro a distanza e insegnamento a distanza, già sperimentati in alcune realtà, o a metterne in piedi in fretta e furia laddove non ci si era preparati adeguatamente o affatto. Il risultato è stato spesso un’accozzaglia di strumenti inadeguati o impropri. Noi aggiungiamo anche l’aggettivo inopportuni, laddove – quasi sempre, in realtà – la proprietà di tali strumenti rimane in capo ai Big Tech di cui sopra. Questi si sono buttati a capofitto nell’operazione, regalando accessi e abbonamenti a piattaforme online che offrono strumenti sofisticati per ogni esigenza. Tali strumenti sono in alcuni casi di grande pregio tecnico e probabilmente anche efficaci per l’obiettivo che si pongono, essendo centrati sulle necessità dell’utente (ancorché declinate in meri parametri di efficienza) e prodotti da chi sa il fatto suo (gli ingegneri dei Big Tech, appunto). E allora dov’è il problema? Non sono forse meritorie queste elargizioni? È di questo che dobbiamo parlare. Chi pone queste domande ha bisogno di risposte, che noi addetti ai lavori dobbiamo saper dare, se vogliamo – come da sempre vogliamo – fare fronte comune al dilagare della dittatura dei dati.

Accumulare dati

Qual è lo scopo della piattaforma di acquisti online Amazon? Vendere e recapitare oggetti sfruttando il lavoro di esseri umani? Se davvero pensiamo sia questo, siamo fuori strada. Amazon riesce a malapena a chiudere il bilancio in pareggio con la mera attività di commercio elettronico. Lo scopo della piattaforma è ben altro e di valore ben più alto di una volgare voce di bilancio “ricavi meno costi”. Lo scopo è accumulare dati e informazioni su di noi. Con quelli si fanno molti più soldi, per rimanere nella volgarità. Ma soprattutto con quelli si domina il Mondo. Pensate che a AirBnB o a Uber interessi davvero darci sistemazioni per i viaggi e trasporti in auto nelle città a portata di click? Il loro business potrebbe essere questo o un altro, poco importa, purché porti a un campionamento il più possibile pervasivo delle nostre vite. C’è una piattaforma online dove si può trovare il codice sorgente di soluzioni software per ogni esigenza di sviluppo. Questa piattaforma si chiama GitHub e, assai ironicamente, è stata acquistata nel 2018 da Microsoft, da sempre avversa al codice sorgente aperto e libero, per 7,5 miliardi di dollari. Ebbene, provate a cercare in rete “GitHub AirBnB, GitHub Uber, GitHub Zalando o quello che volete. Scoprirete che questi colossi pubblicano il codice sorgente di alcune parti dei loro sistemi, chiedendo alle persone di provarli e di contribuire così al loro sviluppo. Lo scopo dichiarato di queste piattaforme è solo una scusa per esibire i propri artefatti IT, migliorarli e riproporli in una pletora di nuove applicazioni succhia dati. Benvenuti nel terzo millennio.

La capacità di improvvisazione dei lavoratori e degli insegnanti volenterosi è certamente un fatto positivo. Si è riusciti in tanti casi a sopperire alla ben più grave assenza di piani operativi da parte di chi doveva iniziare da tempo un percorso, meditato e consapevole, e non l’ha fatto, ritrovandosi quindi a dover gestire da impreparati un’emergenza. C’è da dire che lo Stato centrale ha proposto una iniziativa indubbiamente interessante, “Solidarietà Digitale, la digitalizzazione a supporto di cittadini e imprese”. Con l’emergenza Coronavirus sono stati messi a disposizione alcuni servizi e piattaforme con agevolazioni e gratuità, per facilitare Smart Working, insegnamento a distanza o semplici nuove necessità comunicative. Vi si possono trovare sistemi di video conferenze, abbonamenti gratuiti a riviste di ogni tipo, webinar, piattaforme per la classe scolastica digitale, razioni extra di minuti e giga, corsi di ialiano per stranieri, ripetizioni online gratuite, colloqui psicologici in video conferenza, libri, titoli accademici, file storage, servizi in Cloud… Tutto molto bello. Solo che se andiamo a vedere gli aderenti a questa iniziativa e gli strumenti che utilizzano per erogare i vari servizi, scopriremo che in molti casi c’è ancora lo zampino dei Big Tech. Del resto, come potrebbe non essere così?

In Italia, abbiamo un ritardo di almeno venti anni rispetto al livello e alle capacità tecnologiche dei Big Tech, perché non abbiamo capito cosa stava succedendo e quali rischi/opportunità si stavano aprendo. Non lo abbiamo capito perché non avevamo gli strumenti cognitivi per capirlo. E chi tra gli addetti ai lavori lo stava intuendo, non ha trovato ascolto, o non ha saputo trovarlo. Mentre parlavamo, già negli anni Novanta e certamente nei Duemila, di comunicare e lavorare a distanza, di Free Software, di Privacy, anche all’interno di comunità potenzialmente in grado di ascoltare, non abbiamo smosso granché nelle coscienze politiche. Poi è arrivata l’ubriacatura Facebook e compagnia cantante e tutti hanno scoperto quanto era bella l’acqua calda. La nostra resistenza allo scempio è stata tanto feroce quanto incompresa. I tanti “non informatici” che prima a malapena tolleravano le nostre “astruserie”, si erano improvvisamente tramutati in Tehno Enthusiast infantili, calandosi senza esitazione nei percorsi manipolatori studiati appositamente per loro dalle sapienti mani dell’inganno e della dominazione. Che frustrazione…

Non esistono risposte facili

E così, oggi, lo Smart Working e l’insegnamento a distanza fatti con gli strumenti dei Big Tech, arricchisce ulteriormente i signori dell’IT globale, gli consente di penetrare ancora più profondamente nelle nostre vite, di scavare in miniere prima inesplorate ed estrarre la preziosa materia prima che consente il dominio incontrastato sulle sorti del mondo: i dati della nostra esistenza, fin dall’istruzione elementare, fin nei procedimenti più riservati dei contesti lavorativi.

In tanti pretendono alternative comode e a portata di click, come se potessimo competere con colossi che hanno datacenter, hardware, infrastrutture IT complesse, personale e un potere enorme. Non esistono risposte facili, né tanto meno individuali. L’alternativa va costruita insieme. Gli strumenti ci sono. Il software è abbondantissimo e le competenze si possono formare, se lo si vuole. Come si costruiscono e si mettono in funzione le prodigiose piattaforme dei Big Tech, in modo solido e flessibile e soprattutto autogestito? Si parte dall’infrastruttura. Si può costruire una Cloud Privata con OpenStack, in modo da trattare le risorse hardware sottostanti come se fossero software (Infrastructure as Code). Ci si prepara a ospitare e orchestrare container applicativi su cluster Kubernetes. Si dispiegano le componenti applicative organizzate in Microservizi. Si vuole, ad esempio, fare una piattaforma di Smart Working? Mettiamo in produzione sulla nostra Cloud una chat Mattermost, strumenti di videoconferencing privati basati su Jitsi on-premise, cloud storage Next Cloud e Collabora per la scrittura collaborativa. Troppo difficile? Sì. Ma perché dovrebbe essere facile? Avete mai sentito di una rivoluzione avvenuta senza coraggio e impegno?

Davide Lamanna

Esperto di architetture cloud e infrastrutture IT basate su OpenStack, Docker, Kubernetes e Ansible.

29/3/2020 https://comune-info.net

Foto di by Génesis Gabriella, tratta da Pixabay

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