Il femminismo oltre l’8 marzo
IL PRIMO ANIMALE DOMESTICO DELL’UOMO
(cit. da Anna Kuliscioff)
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di Manrica Buri Collaboratrice redazionale del mensile Lavoro e Salute
8 marzo. Ricorrenza consumistica come quella della mamma, del papà, dei nonni, degli zii, delle papere rosa, dei galli cedroni ecc. ecc.? Ma cosa rimane delle lotte di tutte quelle donne che si impegnarono duramente, rimettendoci anche la propria vita, contro un sistema sociale che esercitava sui popoli sfruttamento e subordinazione?
Quelle donne riuscivano a intravedere nella lotta per una società più giusta e solidale il possibile cambiamento che per la donna avrebbe rappresentato un degno riscatto sociale. Voglio ricordare figure come Olympe de Gouges che nel settembre del 1791 pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, affermando che: “la donna avendo il diritto di salire sul patibolo (a causa delle sue opinioni, nda) aveva anche quello di salire alla Tribuna”.
Fu presa in parola e ghigliottinata nel 1793. Mary Wollstonecraft nel 1792, forse la prima filosofa femminista, resasi indipendente grazie al proprio lavoro e un’istruzione formata attraverso i suoi studi personali, nota soprattutto per il suo libro A Vindication of the Rights of Woman, nel quale sostenne contro la prevalente opinione del tempo che le donne non fossero inferiori per natura agli uomini, ma la diversa educazione a loro“riservata nella società le ponesse in una condizione di inferiorità e di subordinazione.
Nel 1848 Elisabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony indirono lo storico Congresso sui diritti delle donne a Seneca Falls (New York) che vide la nascita ufficiale del movimento femminista il quale“intrecciava sì temi sulla questione femminile, ma anche temi di antischiavismo. Infatti, durante lo“storico Congresso fu richiesta la cittadinanza politica per “negri” e donne.
Il Congresso si tenne proprio mentre in altri convegni si scatenava un opposto dibattito sulla“presunta inferiorità intellettuale femminile, spiegata con argomentazioni scientifiche da filosofi e scienziati, tra cui il patologo Rudolph Wagner e l’antropologo francese Gustave Le Bona, convinti che il cervello femminile e quello dei “negri” fosse meno sviluppato di quello maschile. Dei veri geni, vera scienza.
Le protagoniste della lotta femminista sono state tante, ma qui mi preme ricordare Simone de Beauvoir, scrittrice e filosofa nota per aver scritto il secondo sesso, pubblicato nel 1949, libro che ha aperto la strada al femminismo moderno; Anna Maria Mozzoni, comunemente ritenuta la“fondatrice del movimento femminista in Italia e il suo coinvolgimento nell’ottenimento del suffragio femminile in Italia; altre protagoniste per il diritto di voto che furono Giuditta Brambilla, Carlotta Clerici e Anna Kuliscioff. Le donne italiane votarono per la prima volta nel 1946 per il referendum per decidere la forma dello Stato italiano e per l’elezione dell’Assemblea costituente. Finalmente una donna Presidente del Consiglio. Il 22 ottobre 2022, Giorgia Meloni prestò giuramento al Palazzo del Quirinale come Presidente del Consiglio, assieme ai suoi ministri (la m minuscola è voluta). Dando così inizio al governo Meloni, primo nella storia d’Italia guidato da una donna. Boh! un nemico politico non ha genere, ecchissenefrega. E allora anche il Pd non ha potuto fare a meno di dare mandato il 12 marzo 2023 a Elly Schlein, Segretaria Nazionale del Partito. Se l’emancipazione deve passare per queste tristi vicende e personaggi, allora è tutto da rifare.
Innanzitutto è ora di finirla con la Festa della donna, che in effetti in questi anni, visti i numeri di“ammazzamenti femminili, è diventata più il “Far la festa alla donna”. Ma è un fraintendimento. Non siamo state chiare neppure su questo. Sarà che non mi è mai piaciuto salticchiare l’otto del mese di marzo facendo girotondo giuliva come un’imbecille con in mano un mazzetto di mimosa, notoriamente su questo argomento ero sempre incazzata nera perché comprendevo già allora, e parlo dell’inizio degli anni ‘80, che nessun cambiamento significativo fosse in atto e che nessun cambiamento significativo ci sarebbe stato se non a seguito di uno scontro duro e rivoluzionario di classe.
Era come se tutte le possibilità fossero ormai alle nostre spalle e che le dure battaglie delle donne che avevano fatto la storia del movimento femminista e lo stesso movimento si fossero“cristallizzati, fermati. E ne temevo perciò altrettanto inesorabile il suo decadimento e la sua retrocessione. Perché?
Perché vivevamo in uno stato democattolico, perché la “questione femminile” è di fatto un conflitto di classe e così avrebbe dovuto caratterizzare la propria lotta e il proprio manifestarsi sino alla sua naturale conclusione. Conclusione che avrebbe definito in modo indiscutibile che l’emancipazione femminile non è esterna al conflitto sociale, ma interna allo stesso. I condizionamenti che la società ha sempre cercato di imporre affinché la condizione femminile rimanga subordinata sono da ricercare innanzitutto nella mancanza di indipendenza economica: di conseguenza la mancanza di autonomia e la mancanza di scelta; sappiamo bene quanto il lavoro sia importante, ma per la donna rappresenta, per il suo valore libertario in questa società capitalistica, l’indipendenza da ogni costrizione, soprattutto quella famigliare, pater o maritus.
Altro elemento fondamentale che di fatto ne blocca l’emancipazione è la mancanza di istruzione, questo infatti annulla la capacità critica e preclude la formazione della propria identità, facilitando l’asservimento a modelli capitalistici di consumo sociale che la società impone tramite un’educazione mirata. Non è un caso dunque che le statistiche ci dicano che in Italia i lavori delle donne, e in particolare“quelli delle donne migranti, sono caratterizzati da un alto tasso di precarietà, informalità e“irregolarità.
Quello delle donne, perciò, è un bacino enorme di sfruttamento strutturale” che, almeno tendenzialmente, coincide con l’intera area del lavoro femminile. Il numero delle donne“sfruttate è certamente considerevole, se pensiamo che solo in agricoltura, secondo l’ipotesi più accreditata, si tratta di non meno di 50.000 lavoratrici.
Da tempo i mezzi di comunicazione di massa ripropongono figure femminili ideali rassicuranti (che“si sperava essere superati) con un’immagine della donna nel suo ruolo di “animaletto addomesticato”, (primo animale domestico dell’uomo, cit. da Anna Kuliscioff) felice nei suoi panni di casalinga realizzata, ma dipendente e subordinata, felice di ramazzare, cambiare pannolini puzzolenti e magari cantare stirando, affinché lui la possa finalmente premiare con un“abbraccio, così come canta allegro nella sua canzonetta Umberto Tozzi. Oppure si passa direttamente alla zoccola. Senza soluzione di continuità. E in mezzo nulla. O santa“o zoccola, e ci risiamo, accidenti. Per lo sfruttamento del corpo femminile, la riflessione che dovremmo fare è che al capitale“interessa sfruttare qualsiasi risorsa ci sia a disposizione.
Oggi lo sfruttamento è dei corpi in genere, la donna non ne ha più l’esclusiva. Ecco la parità di genere. Bene. Bravi. Il capitale guadagna miliardi partorendo modelli consumistici travisati come di successo. Così siamo pari. Felici e contenti. Un po’ imbecilli, io direi. Il consumismo divora qualsiasi cosa.Antagonismo tra i sessi, conflitto di classe, Lo sciovinismo maschile suscita grande indignazione fra le donne e fomenta un profondo antagonismo fra i sessi. Credo che ci siano due modi diversi di trattare questo aspetto della liberazione della donna. Uno è quello marxista: sappiamo che le donne sono umiliate in una società dominata dall’uomo ma sappiamo anche che sono pienamente qualificate per organizzarsi“attivamente contro questo. Nello stesso tempo il marxismo ci insegna che la sottomissione di un sesso è parte e conseguenza di un’oppressione più ampia e dello sfruttamento delle masse lavoratrici da parte dei capitalisti, detentori del potere e della proprietà. Quindi la lotta per la liberazione delle donne è inseparabile dalla lotta per il socialismo.
L’altro punto di vista sostiene che tutte le donne, come appartenenti allo stesso genere, sono sulla“stessa barca e hanno scopi e interessi identici, indipendentemente dalla loro posizione economica e dalla classe a cui appartengono. Quindi, per ottenere l’emancipazione, tutte le donne dovrebbero unirsi e condurre una guerra basata sulla differenza di sesso contro i maschi sciovinisti“loro nemici giurati. Tale conclusione unilaterale e deviante può recare un notevole danno alla“causa della libertà della donna. Può essere che le donne in generale, anche quelle delle classi superiori, soffrano in qualche modo dello sciovinismo maschile. In alcune occasioni e su certi temi forse è utile e necessario che donne appartenenti a strati sociali diversi formino particolari organizzazioni o agiscano unitariamente per eliminare ingiustizie e disuguaglianze imposte al loro sesso. Un esempio sono stati i movimenti per la legalizzazione del controllo delle nascite e del diritto di aborto. Tuttavia, anche la realizzazione di queste urgenti riforme, non ha eliminato le cause fondamentali dell’oppressione della donna,“che sono radicate nella struttura di classe della nostra società. Riguardo a tutte le questioni fondamentali concernenti la proprietà privata, le donne ricche sono favorevoli al mantenimento dello status quo e della loro posizione privilegiata, esattamente come“gli uomini ricchi, agendo in favore dei loro interessi e privilegi di classe.
Quindi, classe contro classe deve essere la linea direttiva nella lotta per la liberazione dell’umanità n generale e della donna in particolare; soltanto una vittoria rivoluzionaria sul capitalismo, condotta dagli uomini e dalle donne lavoratrici e appoggiata da tutti gli oppressi, può riscattare le donne dal loro stato di soggezione e garantire loro una vita migliore in una nuova società. Non importa quanto radicale possa sembrare: la sostituzione dell’ostilità fra i sessi alla lotta di classe da parte di donne troppo zelanti sarebbe una pericolosa deviazione dalla via della liberazione. Tale tattica potrebbe soltanto fornire buon gioco ai peggiori nemici delle donne e della“rivoluzione socialista.
Le distinzioni di classe tra donne trascendono la loro identità di sesso. Questo è vero soprattutto“nella società capitalistica moderna, in cui la polarizzazione delle forze sociali è più aspra. Storicamente, la lotta fra i sessi fu parte del movimento borghese femminista del secolo scorso. Si trattava di un movimento riformista, condotto nell’ambito del sistema e non contro di esso. Fu“però una lotta progressista, perché le donne si ribellarono contro il dominio pressoché totale del maschio. Con il movimento femminista, le donne ottennero un consistente numero di riforme. Ma quel tipo di movimento femminista ha fatto il suo tempo, ha raggiunto i suoi limitati obiettivi e i problemi che oggi ci troviamo di fronte devono essere situati nel contesto della lotta di classe.
La questione femminile può essere risolta soltanto con l’alleanza degli uomini e delle donne lavoratrici contro gli uomini e le donne che detengono il potere. Ciò significa che gli interessi comuni delle lavoratrici e dei lavoratori come classe sono superiori agli interessi delle donne come“sesso. Oggi le donne plutocrati possiedono favolose ricchezze; sui temi politici e sociali fondamentali non simpatizzano o si alleano con le donne lavoratrici i cui bisogni possono essere soddisfatti soltanto con l’abolizione di questo sistema. Perciò l’emancipazione delle donne lavoratrici non si otterrà“attraverso un’alleanza con le donne della classe nemica ma al contrario, con una lotta contro di esse, parte della lotta totale contro il capitalismo.
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