Il feticcio del fascismo: sempre evocato, temuto, ma quando c’è nessuno lo vede
Il fascismo, in Italia, è diventato un feticcio politico e culturale, invocato e temuto ciclicamente come un eterno ritorno che però, nella percezione di molti, non arriva mai davvero. E non si accorgono di come sia già presente, invisibile, nelle istituzioni liberali.
Il feticcio del fascismo
Gli intellettuali, soprattutto quelli appartenenti alla cosiddetta “aristocrazia progressista”, vivono in una sorta di attesa perpetua, come in un calendario dell’avvento politico in cui ogni giorno viene scartato un nuovo “allarme fascista“.
Ma in questa continua vigilanza ideologica, il fascismo vero, quello che permea sottilmente l’economia e le strutture di potere, viene spesso ignorato o, peggio, normalizzato.
L’attenzione mediatica è sempre concentrata verso ciò che si esprime attraverso slogan nostalgici o le gesta di disagiati in cerca di identità nel branco. Ma in quei casi siamo più dalle parti di ‘Fascisti su Marte’ che altro.
Piuttosto, il pericolo reale, si nasconde nell’austerità economica, nei tagli alla spesa pubblica e nella retorica della necessità di un leader ‘competente’ per garantire stabilità.
È il fascismo invisibile, già radicato nelle istituzioni liberali che tanto si preoccupano di tenere a bada il disordine economico e sociale, sacrificando diritti e benessere per la preservazione degli interessi di pochi.
Il fascismo invisibile dell’austerità neoliberale
Storicamente, l’economia ‘reazionaria’ ha cercato di accreditarsi presso le élite liberali, preoccupate per la possibilità che le conquiste sociali dei lavoratori potessero sconvolgere l’ordine economico dominante.
Luigi Einaudi, in un famoso articolo per l’Economist, sosteneva che l’Italia avesse bisogno di “un uomo al comando” in grado di dire no a qualsiasi richiesta di nuova spesa, aprendo di fatto la strada a Benito Mussolini.
L’austerità, la riduzione della spesa pubblica e la compressione dei salari erano gli strumenti attraverso cui il regime fascista consolidava il proprio potere economico, mentre gli elogi piovevano da parte degli economisti liberali e dei governi stranieri.
Questo modello di economia autoritaria, che sposta risorse verso l’alto a scapito della maggioranza, non è molto diverso da quello che vediamo oggi nelle politiche di austerità promosse dalla BCE o dalla Commissione Europea.
I leader dell’Europa odierna, come Ursula von der Leyen, o figure tecnocratiche italiane come Mario Draghi, sono gli eredi di quella stessa ideologia che vuole un’economia “pura, imparziale e scientifica”, dove lo Stato deve tagliare spese e servizi pubblici per il bene del Paese — cioè, per il bene dei ricchi.
Il fascismo moderno si nasconde nelle pieghe di questo pensiero economico, travestito da tecnocrazia neutrale e razionale, ma profondamente antidemocratico.
La sua pervasività è tale che non lo riconosciamo più per quello che è, accecati dalle sue manifestazioni più grossolane, come i commenti del generale Roberto Vannacci o le nostalgie pittoresche di qualche figura marginale della destra italiana.
L’illusione di una neutralità dell’economia
In questo scenario, il feticismo per il fascismo si manifesta in un paradosso: lo si teme e lo si invoca continuamente, ma non lo si vede quando è più evidente, nascosto dietro l’apparente neutralità di politiche economiche che opprimono le classi medie e popolari.
L’ossessione per le minacce fasciste — dai populisti ai sovranisti — distoglie l’attenzione dal fatto che l’economia liberale idealizzata è essa stessa portatrice di una visione autoritaria e disumana.
Questo pensiero magico, che tratta l’economia come una scienza esatta, neutrale e apolitica, serve a legittimare l’austerità, il controllo sui lavoratori e la disuguaglianza strutturale.
Così, mentre si combattono le manifestazioni superficiali di autoritarismo, si accettano e si glorificano quelle più profonde, incarnate da tecnocrati “competenti” e “eleganti” come Draghi, e prima di lui Monti e Dini. Questi rappresentanti del “buon governo” sono percepiti come soluzioni ragionevoli, mai messi in discussione anche quando propongono tagli che colpiscono duramente i cittadini comuni.
L’austerità diventa così non solo una politica, ma una forma di controllo sociale che limita le aspirazioni della popolazione in nome della stabilità.
Un feticcio trasversale
Il fascismo dell’austerità è politicamente trasversale, accolto sia a destra che a sinistra. Le politiche di riduzione della spesa pubblica e del welfare, così come la deregolamentazione del mercato del lavoro, vengono giustificate con la necessità di mantenere l’equilibrio economico, ma in realtà servono a consolidare il potere di chi già detiene la ricchezza.
Non c’è più spazio per l’alternativa: anche chi si professa progressista spesso abbraccia l’ideologia dell’austerità, mentre si preoccupa di combattere un fascismo ridotto a fenomeno folkloristico.
Guy Debord, nel suo “La società dello spettacolo”, ci ricordava che lo spettacolo non è altro che l’unione del separato in quanto separato. Viviamo immersi in un mondo di immagini e narrazioni che ci fanno credere che esista una distinzione netta tra chi è e chi finge di essere democratico, progressista o antifascista.
Ma la verità è che spesso le stesse persone che denunciano i rigurgiti fascisti sostengono un sistema economico che perpetua disuguaglianze e violenze strutturali.
Il fascismo è già qui
Il fascismo non è una minaccia lontana o un fantasma del passato. È già qui, sotto forma di politiche economiche che riducono i diritti, concentrano la ricchezza e mantengono il potere nelle mani di pochi.
Lo vediamo nelle politiche di austerità, nei mercati deregolamentati e in un sistema economico che tratta le persone come numeri, sacrificabili sull’altare dell’efficienza economica.
Se continuiamo a cercare il fascismo solo nei suoi aspetti più evidenti e caricaturali, rischiamo di perdere di vista il vero pericolo: un sistema che sfrutta e opprime, mascherandosi da razionalità tecnica.
Se non riconosciamo questo, ci troveremo sempre a combattere contro nemici immaginari, mentre il vero potere autoritario consolida il suo controllo sulla nostra vita.
Alexandro Sabetti
16/1072024 https://www.kulturjam.it
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