Il filo rosso dell’amianto e di Stephen Schmidheiny tra Italia e America Latina
Lo portavano sempre con sé i pompieri, dentro le loro uniformi. Isola tetti, pareti e tubature. E’ fibroso, incombustibile, mortale. Non è un indovinello, ma la descrizione dell’amianto o di una sua varietà, l’asbesto, un minerale di fibre bianche, flessibili e assassine.
“Un lavoro pericoloso, saldare a pochi centimetri da una cisterna di petrolio. Una sola scintilla è in grado di innescare una bomba che può portarsi via una raffineria. Per questo ti dicono di utilizzare quel telone grigio sporco, che è resistente alle alte temperature perché prodotto con una sostanza leggera e indistruttibile: l’amianto. Con quello le scintille rimangono prigioniere e tu rimani prigioniero con loro e sotto il telone d’amianto respiri le sostanze liberate dalla fusione di un elettrodo. Una sola fibra d’amianto e tra vent’anni sei morto”.
Così scrive Alberto Prunetti, autore del romanzo, basato sulla vita di suo padre e della sua famiglia, Amianto. Una storia operaia (Ed. Alegre, Roma).
Ed è la storia di milioni di lavoratori che, spesso ignari del pericolo o manipolati dalle imprese che li contrattano, ancora oggi in decine di paesi nel mondo inalano e portano su di sé o dentro di sé le fibre tossiche che provocano mesotelioma, tumore del polmone e della laringe, o gravi patologie come la asbestosi. Parole forse complicate ma cause semplici: se in casa stai lavando dei vestiti con dei residui di amianto, potresti respirarne una fibra che mai più uscirà dal tuo corpo e potrebbe produrre malattia e morte. Da un fascetto di minerale spesso un millimetro si possono liberare cinquantamila microfibre respirabili.
L’amianto è un minerale silicato, varietà di serpentino o di anfibolo, di composizione varia, e in composizione con il cemento forma il fibrocemento, che è altresì un marchio registrato, brevettato nel 1901 dall’austriaco Ludwig Hatschek come “Eternit”, cioè eterno, data la sua resistenza. Ed eternamente sprigiona polveri fatali quando è maneggiato o quando si logora. Tutti noi, per esempio in Messico, dove vivo, e comunque ove non sono state proibite la sua estrazione ed il suo uso, o dove non sono state realizzate le bonifiche, siamo in pericolo. In terra azteca l’asbesto è onnipresente, sopra le nostre teste, nelle pareti, a ricoprire tubi o nei negozi in cui ancora si commercializza. E’ rischioso lavorare a contatto con il minerale, vivere nei pressi degli stabilimenti o avere lamine, tubature, pastiglie dei freni, giacche e guanti rivestiti di amianto. Paiono ammonimenti scontati e banali in Italia o in Europa, ma suonano come inquietanti novità in gran parte dell’America Latina.
Asbesto-America e Russia
In Europa la bonifica delle strutture infestate dall’amianto è durata anni, da quando a poco a poco negli anni novanta il materiale cominciò a essere messo al bando e poi, nel 2005, la misura fu estesa definitivamente a tutti gli stati membri della UE. Oltre 50 paesi (link lista e cronologia dei divieti), includendo, nelle Americhe, il Cile, l’Honduras, l’Uruguay e l’Argentina, hanno fatto la stessa cosa, vietandone l’uso all’interno del proprio territorio. Ma le economie più importanti del continente americano e ai primi posti nel mondo, come Stati Uniti, Canada e Brasile, pur avendone limitato gli usi e avendolo proibito totalmente in alcuni stati, non l’hanno del tutto proibito e continuano a promuoverne il commercio.
Infatti, il Canada è uno dei primi esportatori dell’amianto bianco o crisotilo, gli Stati Uniti sono molto attivi nell’import-export dell’amianto e il Brasile è il terzo produttore mondiale e lo utilizza ampiamente in casa propria. Gli affari della fibra-killer vanno a gonfie vele anche per Russia, Cina, Tailandia, India e Kazakistan, che sono tra i principali produttori (vedi mappe qui e progetto giornalistico di ricerca su vari paesi “Danger in the Dust” qui).
In Russia a Kazakistan le aziende leader sono rispettivamente la Orenburg Minerals e la Kostanai Minerals, controllate dalla britannica United Minerals Group Limited dal 2003, secondo un report stilato dagli investitori di Kostanai Minerals. Nel 2004 la compagnia ha una quota del mercato mondiale dell’asbesto crisolito del 30% e cambia nome: diventa la Eurasia FM Consulting Ltd., ma non è chiaro se tuttora l’impresa controlli Orenburg e Kostanai. Cito da un reportage del 2010 del progetto “Dangers in the Dust”:
“Una compagnia con sede a Cipro, la UniCredit Securities International Ltd. — parte di UniCredit, uno dei gruppi bancari più grandi del mondo, con 10.000 filiali in 50 paesi — possiede sia in Orenburg Minerals che nella Kostanai Minerals “per conto di clienti occulti”, secondo quanto detto dal portavoce di UniCredit, Andrea Morawski, a ICIJ [International Consortium of Investigative Journalists] via mail. Morawski ha sottolineato, comunque: “Noi non esercitiamo nessun controllo su [Orenburg Minerals or Kostanai Minerals] né siamo beneficiari delle partecipazioni detenute. Fin dove siamo ragionevolmente a conoscenza, noi non siamo stati beneficiari di nessuna commissione/profitto derivante da attività legate all’asbesto”.
L’asbesto non è vietato negli USA che, al contrario, sono sempre stati un gran importatore d’asbesto e il maggior consumatore mondiale del minerale, mentre hanno fornito storicamente solo una piccola percentuale dell’output estratto globalmente. Riporto dal portale Asbestos.com (sezione “Storia”):
“Una regolamentazione presentata dalla Agenzia per la Protezione Ambientale, che bandiva la maggior parte dei prodotti contenenti asbesto, venne ribaltata dalla Corte d’Appello del Quinto Circuito a New Orleans nel 1991 per le pressioni dell’industria dell’asbesto. Anche se si tratta ancora di un bene legale ed è presente in molti edifici e prodotti d’uso comune nelle case, l’uso dell’asbesto è declinato considerabilmente negli Stati Uniti. L’ultima miniera è stata chiusa nel 2002, mettendo fine a quasi un secolo di produzione di asbesto nel Paese”.
Ad ogni modo negli USA, secondo il US Geological Survey relativo al 2012, sono entrate 1.060 tonnellate di asbesto dal Brasile. Fondamentalmente il commercio e gli affari non si sono mai fermati, l’amianto di tipo bianco-crisolito è ancora utilizzato nei materiali da costruzione, per l’isolamento, i freni delle automobili e in altri prodotti, malgrado esistano alternative valide per il settore manifatturiero. Di conseguenza una trentina di statunitensi muoiono ogni giorno per le patologie ad esso relazionate.
Da anni il Canada è additato come un “paese canaglia” per la sua reticenza nell’includere l’amianto nella lista internazionale dei materiali pericolosi. Le attività minerarie canadesi cominciarono intorno al 1850, quando furono scoperti i giacimenti di crisolito a Thetford, e un quarto di secolo dopo s’estraeva una cinquantina di tonnellate all’anno nel Quebec. Negli anni ’50 del secolo scorso la cifra arrivò a oltre 900.000 tonnellate.
Nel 2011, la miniera “Jeffrey Mine in Asbestos” del Quebec è finita al centro dell’attenzione dopo che il governo canadese aveva proposto un finanziamento da 58 milioni di dollari per riaprire la miniera. Siccome gli investitori privati fallirono nel tentativo di raccogliere 25 milioni di dollari per la data del primo luglio 2011, che era la deadline per acquisire la miniera, il finanziamento del governo del Quebec è stato rimandato a tempo indefinito. Questo spostamento è volto a dare più tempo agli investitori per raccogliere fondi. Di nuovo nel 2011 il Canada ha deciso di non supportare la decisione di aggiungere l’asbesto crisolito nella lista delle sostanze pericolose della Convenzione di Rotterdam, un trattato internazionale che promuove unità e responsabilità riguardo all’esportazione e importazione di sostanze e prodotti chimici pericolosi (su Canada e settore/compagnie minerarie segnalo il link Republic of Mines).
Il Canada è l’unica nazione del G8 a non aver votato per includere l’asbesto nel trattato, un scelta che il governo ha sostenuto anche nel 2015. Internamente, però, l’uso del minerale è vietato, ma questo non accade, ipocritamente, per la sua produzione e commercializzazione all’estero. Ormai il paese non lo produce più, anche se lo commercia: il valore dei prodotti importati contenenti amianto è passato da 4,9 nel 2013 a 6 milioni di dollari nell’anno successivo, mentre le esportazioni di tali beni sono state di 1,8 milioni di USD. Nel 2013 la Russia, lo Zimbabwe, il Kazakhstan, l’India, il Kyrgyzstan, il Vietnam e l’Ucraina si sono opposti in blocco all’inclusione, mentre il Canada per la prima volta ha potato per la neutralità.
Nonostante la sua posizione oltranzista, il Canada oggi di fatto usa molto meno amianto di prima, ma fino al 2011, anno di chiusura dell’ultima miniera, il Quebec da solo era il primo produttore mondiale ed esportava il 96% del minerale grezzo estratto nei paesi asiatici (vedi: Asbestos.Com) posizionandosi come superpotenza esportatrice del minerale. Le prossime elezioni federali canadesi, previste per il 19 ottobre, potrebbero segnare un punto di svolta in caso di vittoria del Liberal Party, da sempre ambiguo sull’amianto ma ora riconvertitosi a una linea “verde”, o del New Democratic Party, oggi all’opposizione e contrario a ogni tipo di asbesto, mentre una vittoria del Conservative Party di Stephen Harper sarebbe un toccasana per le lobby pro-amianto. Il Bloq Québéquois ha mostrato anch’esso non poche ambiguità e tentennamenti, ma pare orientarsi verso l’estensione delle restrizioni, così come il Green Party che da sempre combatte il blocco estrattivista.
Italia, Brasile, Messico
Pure l’Italia, in cui il divieto risale al 1992, continua a importarlo aggirando la normativa. “Negli ultimi anni ne abbiamo importato 34 tonnellate e i numeri sono indicati per difetto. I rumors si rincorrevano da mesi (…), la procura di Torino ha aperto un fascicolo d’indagine, ma la conferma ufficiale è arrivata solo qualche giorno fa alla Camera dei Deputati”, spiega Stefania Divertito su BioEcoGeo.
Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, in un’interpellanza sull’argomento ha ottenuto una risposta chiara ma incompleta dal sottosegretario all’Interno, Domenico Manzione: “No, noi non importiamo amianto ma manufatti contenenti amianto”. Cioè facciamo come Stati Uniti e Canada, per esempio, e tra il 2011 e il 2014 ne sono entrate 34 tonnellate in prodotti che non conosciamo, dato che il sottosegretario non ha fornito dettagli al riguardo. Di Maio ha precisato che “secondo un documento dell’ente minerario del Governo indiano, l’Italia nel 2011 e nel 2012 sarebbe risultato il maggiore importatore al mondo di amianto con rispettivamente oltre 1.040 tonnellate e 2.000 tonnellate”. Il minerale sarebbe ancora usato nell’edilizia e anche da una partecipata di Finmeccanica, la Agusta Westland che fornisce elicotteri alle forze armate ed è guidata da Daniele Romiti. Insomma lo sporco e mortifero business dell’amianto non molla la presa. E l’Italia è in buona compagnia dato che, per esempio, anche altri paesi, come Australia, Gran Bretagna, Svezia e Giappone, continuano comunque a commerciarlo malgrado il divieto di utilizzarlo internamente.
In Brasile si stima che l’amianto abbia ucciso 150.000 persone in 10 anni, cioè 15.000 in media all’anno, cifra che equivale a circa il 15% del totale mondiale. Nel gigante sudamericano operano 16 grandi aziende che “nelle elezioni finanziano trasversalmente tutti i partiti politici”, denuncia Fernanda Giannasi, ex supervisore del Ministério do Trabalho e attivista anti-amianto. I militanti come lei hanno sia i mass media che l’industria contro, visto che cercano d’informare la popolazione sui rischi e le complicità politico-imprenditoriali del settore in un intorno ostile e poco sensibile alla tematica. Se ne parla ancora poco e il pericolo non viene eliminato, però la sua percezione sì.
In Messico il mesotelioma è aumentato dai 23 casi del 1979 ai 220 del 2010, ma c’è una sottostima probabile del 70% che porterebbe la media annua a 500 casi e, secondo altre stime, anche fino a 1.500. La “cifra sommersa” si relaziona ai casi in cui non si diagnostica la malattia o non risulta dai documenti relativi al decesso, anche perché è conveniente non riconoscere le patologie come “lavorative”. L’asbesto è presente in innumerevoli strutture nel cuore delle città. La CTM (Confederazione dei Lavoratori Messicani, sindacato pro-governativo) ha addirittura difeso l’uso del materiale, dato che il settore impiegherebbe 8-10.000 persone e non ci sarebbero prove di decessi per mesotelioma, il che è falso e nasconde il problema. Insomma, è come tornare indietro di due o tre decenni almeno. L’estrazione mondiale di amianto è stata nel 2013 di 2,1 milioni di tonnellate e dal 1995 s’è mantenuta abbastanza stabile, tra le 2 e le 3 tonnellate, con un totale di oltre 1800 aziende che lo utilizzano (sul caso messicano: link 1: Datato, 1986 – Link 2: 2010-Mesotelioma Messico – Link 3 Globalizzazione e trasferimento di industrie pericolose).
Anche se in Messico non esiste una vera e propria associazione di vittime dell’amianto o un movimento significativo contro l’uso del minerale, per cui lo Stato è sostanzialmente indifferente all’argomento, l’organizzazione messicana Ayuda Mesotelioma denuncia e lotta da 5 anni, vale a dire da quando le due fondatrici, Sharon Rapoport e sua sorella Liora, hanno visto come loro padre s’ammalava gravemente. In cinque decenni il Messico ha importato oltre 500.000 tonnellate d’asbesto e solo nella capitale lo utilizzano 42 imprese. Qui si può fare, maneggiarlo è legale, anche se eticamente deplorabile: i proventi per le quantità importate e processate internamente sono raddoppiate tra il 2011 e il 2012 passando da 9 a 18 milioni di dollari.
Amianto-Mondo
“A eccezione della polvere da sparo l’amianto è la sostanza più immorale con la quale si sia fatta lavorare la gente; le forze sinistre che ottengono profitti dall’amianto sacrificano gustosamente la salute dei lavoratori in cambio dei benefici delle imprese”, ha dichiarato l’ex eurodeputato olandese Remi Poppe. I sintomi del mesotelioma compaiono tra 15 e 50 anni dopo l’inalazione delle microfibre e non esiste realmente nessun livello “sicuro” di esposizione.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ogni anno muoiono 107.000 persone in seguito a malattie contratte per il contatto con l’amianto. Per lo stesso motivo nel secolo XX le morti premature furono 10 milioni e s’ammalarono 100 milioni di persone. Oggi 125 milioni di lavoratori rimangono esposti direttamente al minerale. La Commissione Federale per la Protezione dei Rischi Sanitari del Ministero della Salute messicano ha riconosciuto la sua tossicità, ma s’è limitata a suggerire che “le aziende ne controllino l’uso”.
La Legge della Salute di Città del Messico parla di “precauzioni” da prendere sull’amianto, ma non lo vieta. Secondo i dati dell’istituto di statistica nazionale il 21% delle case messicane ha un tetto di lamine metalliche, cartone o asbesto e l’1% ha pareti di cartone, amianto, fusti di piante, bambù o palma. Nel 2014 sono state concesse delle quote del Fondo di Apporto per la Struttura Sociale per strutture ad uso abitativo nel quartiere periferico di Iztapalapa e le regole stabilivano che per essere beneficiari del programma “i pavimenti, i muri e/o i soffitti devono essere di stanze da letto o cucine all’interno della casa in lamina di cartone, metallica, di amianto o di materiale di scarto”. In sostituzione, secondo la Gazzetta Ufficiale della capitale, si prevedeva di costruire pavimenti, tetti e muri di fibrocemento, quindi di Eternit!
La OMS, al contrario, ha chiesto: di eliminare l’uso di ogni tipologia di asbesto, compreso quello bianco o crisolito che le lobby del settore pretendono di presentare come “pulito”; apportare informazioni su soluzioni per sostituirlo con prodotti sicuri; sviluppare meccanismi economici e tecnologici al riguardo; evitare l’esposizione durante il suo uso e il suo smaltimento; migliorare la diagnosi precoce, il trattamento e la riabilitazione medica e sociale dei malati dell’asbesto; registrare le persone esposte attualmente o nel passato (link a mappe e grafici aggiornati sull’amianto nel mondo di International Ban Asbestos Secretariat-IBAS).
Il “guru” Stephen Schmidheiny, il Costa Rica, l’America Latina
La filiera tossica dell’amianto passa anche per il Costa Rica, la cosiddetta “Svizzera del Centroamerica”. La Garita è un piccolo paradiso, un angolo tropicale nel centro del paesem vicino alla città di Alajuela. Le strutture della INCAE Business School, la miglior scuola di business latinoamericana, spiccano tra le palme, le fattorie, una placida strada a due corsie e una distesa di prati verdissimi. INCAE è famosa per il suo approccio basato sullo sviluppo sostenibile e l’etica d’impresa. Possiede un campus in Nicaragua e uno in Costa Rica. E’ un progetto per l’insegnamento e la ricerca in gestione d’impresa che nasce nel 1964 sotto l’egida della Allianza per il Progresso, lanciata in funziona anti-cubana dal presidente statunitense J. F. Kennedy, dalla HBS (Harvard Business School), dell’agenzia UsAid e dei capi di stato e gli imprenditori di sei paesi centroamericani (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica e Panama).
Negli anni ’90 la sua storia s’incrocia con quella di un impresario che, soprattutto nelle Americhe, s’è costruito una fama di irriducibile guru dello sviluppo sostenibile, mentre in Europa è ben noto come il “Re dell’Eternit”: Stephen Schmidheiny. Uomo d’affari per vocazione ed eredità familiare (cementera Holcim, Wild-Leitz di strumenti ottici, l’elettrotecnica BBC Brown Boveri e la multinazionale Eternit), è nato a Heerbrugg, Svizzera, nel 1947, e ha ammassato una fortuna con il business dell’amianto. Il suo record personale è macchiato da processi giudiziari controversi e accuse pesantissime.
AVINA, Ashoka e lo spirito del filantrocapitalismo
La fondazione AVINA, creata dall’impresario nel 1994 e attiva in 21 paesi latinoamericani, collabora da tempo con la scuola e nel 1996 Schmidheiny, che è stato amministratore di Eternit e oggi siede nel consiglio direttivo di INCAE, ha partecipato alla creazione del Centro Latinoamericano per la Competitività e lo Sviluppo sostenibile dell’università, il CLACDS. Ci sono altre organizzazioni senza fini di lucro fondate dal magnate svizzero: per esempio Fundes (1984) e il fidecommesso Viva Trust (2003) su cui si sostiene AVINA. In questo è confluito il valore della vendita della partecipazione dello svizzero in GrupoNueva, consorzio specializzato nel business forestale e dei derivati del legno che ha spostato la sua sede principale a San José, Costa Rica, nel 1999. L’imprenditore ha venduto anche le sue azioni del gruppo Eternit alla fine degli anni ’80.
Le fondazioni, a partire dai trasferimenti di capitale dello svizzero, si sono costituite come enti autonomi dai suoi precedenti asset e patrimoni d’impresa e promuovono attività istituzionali, come la rete SEKN (Social Enterprise Knowledge Network), di cui fa parte INCAE, filantropiche e anche alleanze su temi socio-ambientali: acqua, città sostenibili, energia, industrie estrattive, innovazione politica, riciclaggio e cambiamento climatico.
Esistono forti movimenti d’opposizione che applicano l’etichetta “filantrocapitalismo” quando si parla di AVINA e della sua alleata Ashoka, fondazione filantropica statunitense presente in 70 paesi. “Il capitale cerca di appropriarsi dei movimenti ecologisti ragionevoli per riconvertirli in capitalismi verdi addomesticati o forme di business con l’esaurimento del pianeta”, ha commentato al riguardo l’ingegnere attivista spagnolo Pedro Prieto di ASPO (Asociación para el Estudio del Auge del Petróleo y del Gas).
Perché? “Gli imprenditori sociali lavorano con quelle popolazioni e la loro attività consiste nell’avvicinarle alle multinazionali mentre salvaguardano gli interessi di queste”, ha detto María Zapata, direttrice di Ashoka in Spagna. In un’intervista col portale spagnolo Rebelión, il ricercatore Paco Puche racconta che le fondazioni si infiltrano nei movimenti attraverso la “cooptazione di leader” e che “AVINA è vincolata al magnate svizzero Schmidheiny, che deve la sua fortuna al criminale business dell’amianto. Diciamo che tutti quelli che hanno ricevuto denaro e altri benefici da questa fondazione (e dopo averla conosciuta, non le hanno rifiutate) si portano dietro la maledizione della polvere dell’amianto nelle viscere”.
Processo Eternit
Nel febbraio 2013 il tribunale di Torino ha condannato Schmidheiny e il suo ex socio nella multinazionale Eternit Group, il barone belga Louis De Cartier, di 92 anni d’età in quel momento, a 16 anni di prigione per disastro doloso e rimozione di misure contro gli infortuni: la sentenza era attesa dai familiari di 3000 vittime. Il 3 giugno 2013 in appello la condanna è stata aumentata a 18 anni di reclusione, ma il nobile belga era morto pochi giorni prima. Lo svizzero “Re dell’Eternit” è stato condannato per le sue responsabilità come amministratore dell’azienda nel decennio 1976-1986 e assolto da altri capi d’accusa per il periodo 1966-1975. Le cause dell’asbestosi e del mesotelioma erano già state scoperte negli anni ’60 e, dopo quel decennio, i due magnati si sono avvicendati nella gestione dell’azienda.
Nonostante tutto, il business di Eternit continuò, per cui la condanna parla di “dolo”: gli imputati avrebbero nascosto consapevolmente gli effetti cancerogeni dell’amianto. Il 20 novembre 2014 la Corte di Cassazione, nell’ultimo livello di giudizio, ha annullato la sentenza precedente argomentando che i reati sono stati commessi ma che è sopraggiunta la prescrizione. E’ stato preso come inizio dei termini per la prescrizione l’anno 1986, quando Eternit ha dichiarato il fallimento, e la decisione è polemica, visto che il disastro ambientale ancora continua a succedere, non s’interrompe con il fallimento dell’azienda. E’ uno schiaffo a vittime, familiari e alla società intera. La giustizia s’allontana insieme alla possibilità di congrui risarcimenti.
Nel maggio 2015 s’è aperto il processo “Eternit Bis”: Schmidheiny non è più accusato di “disastro” ma di omicidio doloso aggravato di 258 persone, ex impiegati di Eternit o abitanti di Casale Monferrato, uno dei comuni in cui operava l’impresa che sono deceduti tra il 1989 e il 2014 per mesotelioma pleurico. Dal canto suo, il magnate sulla sua pagina web si presenta come “pioniere nell’eliminazione dell’asbesto nell’industria manifatturiera”. I magistrati di Torino considerano come aggravante il fatto che l’imprenditore avrebbe commesso il reato esclusivamente per “fini di lucro” e “in modo insidioso”, cioè avrebbe occultato ai lavoratori e ai cittadini l’informazione sui rischi che correvano, promuovendo una “sistematica e prolungata opera di disinformazione”.
A fine luglio gli atti del processo sono stati inviati alla Consulta e il procedimento è stato sospeso in attesa della decisione della Corte circa le eccezioni di costituzionalità sollevate dai legali di Stephen Schmideheiny in base al principio del “Ne bis in ibidem”, secondo cui nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato. Nel frattempo i PM stanno integrando altri 94 casi di morti legate all’amianto da contestare al manager svizzero, nel caso in cui la Corte Costituzionale accolga le richieste degli avvocati difensori.
Purtroppo l’ecatombe dell’amianto durerà ancora per decenni e la tendenza, già in atto almeno da una ventina d’anni, è quella di un graduale spostamento dei rischi e dell’uso del minerale verso i paesi in via di sviluppo. Dunque la lotta per la sua messa al bando e la riparazione del danno provocato a milioni di vittime, pur con difficoltà e differenti percorsi più o meno avviati oppure solo incipienti, tende anch’essa a globalizzarsi, passando dall’Europa all’America Latina e agli altri continenti.
Fabrizio Lorusso
25/9/2015 www.carmillaonline.com
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