Il fumo negli occhi

stamina3

“I medici si mobilitano contro la manovra. Sit-in a Roma il 17 novembre e assemblee in tutti gli ospedali italiani il 18”.  Questo si legge in un appello sottoscritto da tutti i sindacati medici che contesta le scelte del governo contenute nella legge di bilancio presentata in parlamento.

Infatti, leggendo attentamente gli articoli riguardanti la sanità si capisce che c’è ben poco da rallegrarsi, come all’inizio – a scatola chiusa – era sembrato. Vediamo perché:

  1. Le intese Stato-Regioni 2.2016 (Legge Stabilità 2016) e  7.9.2016 (nuovi Lea) avevano stabilito che il fondo sanitario nazionale sarebbe cresciuto per il 2017 da 111 a 113 miliardi di euro e per il 2018 da 113 a 115. Per il 2017 era corsa voce che l’aumento sarebbe stato dimezzato: così non è stato e tutti si sono rallegrati. Poi si è scoperto che il dimezzamento ci sarà, ma nell’anno 2018.
  2. Ma anche nel 2017 non è detto che l’aumento sia proprio di 2 mld di euro (e di 1 mld nel 2018): in entrambi gli anni infatti potrebbero mancare all’appello 480 milioni di euro, in base ad accordi tra Stato e Regioni, in attuazione dell’intesa del 11.2.2016.
  3. Nel 2017 la metà dell’aumento è vincolata per l’acquisto di farmaci innovativi molto costosi (oncologici e anti-epatite C) e di vaccini. Anche il miliardo che resta però è in gran parte vincolato alla fornitura dei nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea), per i quali servono circa 800 milioni di euro (vedi post Livelli essenziali di assistenza sanitaria e diritto alla salute).
  4. Per il personale del SSN – nuove assunzioni, stabilizzazione dei precari, rinnovi contrattuali – rimane ben poco come denunciano i sindacati, dopo anni di tagli, di perdita di migliaia di posti di lavoro e di blocchi contrattuali. “Spiegheremo ai cittadini – si legge nell’appello –  che i Lea non sono auto-erogabili, come se fossimo in un virtuale self service della sanità pubblica, separabili da abilità e competenze professionali che fanno la differenza tra la salute e la malattia e, non di rado, tra la vita e la morte e che il diritto alla cura non è scindibile dal diritto a curare in dignitose condizioni di lavoro e di esercizio professionale”.

A veder bene, da quello che si legge nella legge di bilancio, l’unico soggetto che ha ragione di brindare è l’industria farmaceutica. Non solo perché – a differenza di altri fornitori del SSN – gode di un consistente gruzzolo riservato di risorse (il miliardo di euro vincolato). Ma anche per una norma (Art. 59, comma 11) che sembra scritta sotto “altrui” dettatura, riguardante i farmaci biosimilari.Si tratta di farmaci biotecnologici (come ad esempio: ormone della crescita, eritropoietine, fattori di crescita granulocitari, anticorpi monoclonali) a brevetto scaduto di cui viene prodotta una versione “similare” molto più economica (per approfondimenti vedi Risorsa).

L’Art. 59 pone una serie di ostacoli all’acquisto da parte delle Regioni dei farmaci biosimilari (che comporterebbe notevoli risparmi nella spesa farmaceutica), di cui uno ha dell’incredibile: “La base d’asta dell’accordo quadro deve essere il prezzo massimo di cessione al servizio sanitario nazionale del farmaco biologico di riferimento”. Le Regioni, cioè, possono comprare i farmaci biosimilari, ma solo a patto che li paghino più degli originali.

L’industria farmaceutica ha validi motivi di soddisfazione anche per quanto riguarda la vicenda dell’epatite C, su cui questo blog è da tempo impegnato (Vedi Dossier Epatite).  Il Governo avrebbe potuto accogliere la proposta delle Federazione nazionale degli Ordini dei medici di introdurre la “licenza obbligatoria” e consentire la produzione in economia di farmaci generici consentendone l’accesso alla moltitudine di pazienti esclusi dalla terapia. “Questa condizione di profonda ingiustizia sociale e disequità nell’accesso alle cure – si legge nell’appello dei medici  – è eticamente non tollerabile soprattutto quando è in gioco il diritto alla tutela della salute come previsto dalla nostra Costituzione”.

La risposta del governo – per voce del sottosegretario alla sanità Vito De Filippo, agli inizi dello scorso ottobre –  è stata tanto imbarazzante quanto inconcludente, prima mettendo sullo stesso piano “il diritto alle terapie farmacologiche e il diritto alla tutela brevettuale” e poi rimandando tutto a una valutazione sul fatto che circa un milione di persone siano affette da epatite C sia, o non sia, un’emergenza nazionale, condizione questa per attivare la “licenza obbligatoria” (vedi post).

Il risultato di questa valutazione non è pervenuto.

Nel frattempo il contratto tra Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e aziende produttrici dei farmaci anti-epatite è scaduto (da giugno), con le parti a discutere (senza alcuna premura) sul nuovo prezzo dei farmaci, con centinaia di migliaia di pazienti in attesa. Un’attesa angosciosa perché aumenta la consapevolezza dell’esistenza di una cura risolutiva insieme alla frustrazione di non poterne beneficiare per motivi economici. Perché ormai è chiaro che i pazienti che non rientrano nei criteri di accesso alla terapia a carico del SSN (ovvero i pazienti con malattia più avanzata) si distinguono in tre categorie:

  1. quelli più abbienti che si possono permettere di acquistare i farmaci a prezzo pieno, sborsando intorno ai 50-60 mila euro, presso le farmacie di San Marino, di Città del Vaticano o di Chiasso;
  2. quelli più intraprendenti, probabilmente più giovani e con una discreta disponibilità economica che vanno a curarsi dove i farmaci costano molto, molto meno, come in India o in Marocco;
  3. quelli, e sono la grande maggioranza, che sono rassegnati ad aspettare, aggravandosi, che tocchi – chissà quando – il loro turno.

Un simile razionamento su base socio-economica non è mai avvenuto nella storia del Servizio sanitario nazionale e qualcuno dovrebbe renderne conto.

Un razionamento che si dovrebbe e si potrebbe evitare producendo generici a basso costo per evidenti motivi di sanità pubblica, come raccomandato dalle Nazioni Unite[1]  e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità[2], i cui esperti sono disponibili a collaborare con i paesi che intendono fare uso della licenza obbligatoria (“As outlined in the Global strategy and plan of action on public health, innovation and intellectual property, WHO provides, upon request, in collaboration with other competent organizations, technical support to countries that intend to make use of the flexibilities contained in the TRIPS Agreement as recognized by the Doha Declaration on the TRIPS agreement and public health”.)

Ma il governo italiano ha scelto di farsi consigliare da altri e ha deciso di mettere molti milioni di euro per l’acquisto dei farmaci contro l’epatite C. Come per i farmaci biosimilari tutto ciò si traduce in un aumento sensibile delle spese a carico del SSN, mentre si tira la cinghia sulle spese del personale.

Nel caso dell’epatite C la vicinanza delle lobby si traduce anche in un danno alla salute dei pazienti. Ma ciò non sorprende: basta dare un’occhiata ai due post che sono a corredo di questa newsletter – Renzi e Big Tobacco  e “Governi e Big Sugar – per rendersi conto che nella scala delle priorità del governo vengono prima gli interessi delle lobby e dopo quelli dei cittadini.

Risorsa
I farmaci biosimilari … ovvero quando scade il brevetto di un farmaco biotecnologico [PDF: 3,4 Mb]. Documento di indirizzo a cura della Commissione Regionale del Farmaco della Regione Emilia Romagna

Bibliografia

  1. Report of the United Nations Secretary-general’s high-level panel on access to medicines [PDF: 2,8 Mb], September 2016.
  2. Global report on access to hepatitis C treatment. Focus on overcoming barriers. Geneva: World Health Organization, 2016.

Gavino Maciocco

7/11/2016 www.saluteinternazionale.info

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *