Il gatto Silvestro

ombra

Rolando ha ormai quasi settant’anni, la maggior parte vissuti nel ghetto, tra storie mai giunte  a buon fine e altre  perse per scarsi contenuti.  Porta sul groppone tanti ricordi, di cui vorrebbe disfarsi, infatti dice spesso “sarebbe una fortuna scordare tutto!”

Riesce ad appassionare anche il prete, quando cerca di disfarsi di qualche vecchio souvenir, quando prova ad alleggerire il peso sulla groppa. Giorni fa, tirò fuori la vera storia di Silvestro. “Uno di noi” avrebbe gridato una curva di tifosi premiata dalla ragione.

Sedeva, come sempre,  al fianco di Alberto, suo fedele amico. Alberto è molto diverso da Rolando, anch’egli conosce tutte le storie, ma difficilmente s’inserisce nel racconto, non partecipa, pare distaccato e ogni tanto  annuisce a occhi chiusi o semichiusi.  Quel mattino, però, fu lui in qualche modo a tirare in ballo la storia di Silvestro, mentre predicava  il suo vangelo personale  “in strada ci stanno i servitori, quelli che eseguono gli ordini per portare a casa la pagnotta e i ladri di galline. Ci stanno i tosti, quelli con le braccia grossa, quelli che menano e si fanno strada a sganassoni, ci stanno i traditori che parlano male dietro le spalle e sanno fare solo quello. Sarebbe bello ricordare una strage di traditori!  dovrebbero costruire una città cimitero e manco basterebbe…  Poi, ci sono quelli che sparano.  Potrebbe essere un ciccione o  uno che pesa 50 kg, un ragazzino. Quelli che sparano fanno più paura dei traditori, quelli che sparano puoi ritrovarteli sotto casa solo perché gli stai sulle palle o per una camicia”.

L’assist giunse puntuale e Rolando proseguì “Poi ci stanno quelli come Silvestro, il gatto Silvestro. Quelli perseguitati dalla sfortuna, sin da piccoli.  Lui viveva da queste parti. Spesso rubava i vestiti stesi ad asciugare  al primo piano dei palazzi, magari solo per cambiarsi la maglia. In giro si sapeva, ma nessuno aveva da ridire.  Silvestro divideva  la casa  con nove fratelli, il padre lavorava al comune e la mamma poteva ben poco. Dieci figli sono troppe  bocche da sfamare per un buon uomo!

Fu acciuffato la prima volta a 14 anni, con un motorino rubato.  La carriera da ladro proseguì fino a 18 anni e sembrava si fosse affilato. Invece, proprio il giorno del suo compleanno, una macchina dei carabinieri  lo venne  a prendere, senza tener conto del momento. Fu accusato ancora una volta per furto con scasso. Lui che  non era ricco e non era figlio di sbirro, tanto meno nipote di un ministro, scontò 4 anni. Lo riconobbe un signore, che quella  notte sedeva a un primo piano molto più alto, quello dei palazzoni in centro.  Faceva caldo a letto.

Pensate… Erano in sei a scassinare quella gioielleria, ma il vecchio  riconobbe solo Silvestro. Del resto, un tipo che si muove come un gatto  e ha un naso da primato rimane impresso a tutti.  Uscì di prigione a vent’anni con l’aiuto del cappellano. Pare   che l’amicizia sia nata dopo che Silvestro gli disse “che vo fa dio per me, io sono una maledizione, forse meglio se morivo prima”. La religione aiuta a non pensare alla morte e forse per questo Silvestro s’appassionò a un san Nicola, il protettore dei ladri. A 23 anni fu arrestato di nuovo per furto d’auto. Crescendo andò anche peggio. Dopo qualche anno uscì e riprese l’attività, ma fu beccato la settimana dopo, mentre preparava un colpo a una tabaccheria. La polizia rinvenne   le pistole finte, le foto del tabaccaio e un traditore su misura, che spifferò  il piano. In fretta, girò voce sulla sfortuna che lo perseguitava, per cui venne scartato da qualsiasi attività illegale, da qualsiasi banda di ladri. La  sfiga è la prova provata che se non avessero inventato un dio, avrebbero dovuto pregare il  diavolo e forse sarebbe andata meglio. Per forza di cose, a  trent’anni si mise di nuovo in proprio e così  trovò modo di farsi sorprendere di notte, mentre s’aggirava tra ville lussuose. Destino volle che in quella zona abitasse un giudice bastardo, che visti i precedenti e il non cambiamento, gli fece scontare persino i benefici e i pochi sconti che la legge prevede per i  figli  della strada. A forza e ignobile speranza continuò a pregare san Nicola, forse per questo la malasorte continuò a seguirlo”.

Alberto continuava ad annuire e in certi passaggi si teneva al tavolo, forse per ristabilire un equilibrio tra i  sensi troppo scossi dai ricordi, da Gatto Silvestro.

Rolando approfittò della sosta per lasciare un’altra scia “la malasorte ha le gambe molli, non s’avventura a cercare altre prede, se le più facili da cacciare sono a meno di un botto di canne mozze. Infatti, una sera d’estate, Silvestro decise di festeggiare un colpo andato a buon fine. Mise in tasca quasi tre milioni e a quei tempi erano soldi. Regalò centomila lire e Vincenzo, un Silvestro in erba; il quale per sdebitarsi di cotanta grazia ricambiò con una camicia celeste. Quella sera festeggiarono insieme in  un bar, uno di quelli dove si svernano le sbornie e i cattivi vanno a rifarsi le unghie. Come diceva prima Alberto… poi ci sono quelli che sparano. Lo chiamavano Ugo il panzone, una buona forchetta con il vizio di vendicarsi per poco, forse anche meno.

Appena inquadrò Silvestro lo chiamò a rapporto “come mai stai da queste parti, Gatto?”.

“volevo festeggiare na cosetta andata bene”. Si salutarono cordialmente e Silvestro tornò dall’amico. Nel frattempo arrivò Manuela, compagna del pistolero. Silvestro sarebbe pure andato via, ma non potè esimersi dal brindisi proposto da Ugo il panzone. La compagna non tolse lo sguardo dalla camicia celeste, troppo ingombrante in serate così oscene. A brindisi concluso, Gatto Silvestro tirò a sé Vincenzo e comunicò a suo modo “andiamo via da qua, prima che qualcuno ci spari”. Così ridendo e scherzando raggiunsero l’uscita.  Si fermarono in altri posti, la serata prese la via storta e così trovarono il passaggio, scassinando un’auto di media cilindrata.

Giunti a casa, Gatto Silvestro salutò Vincenzo ed entrò dentro il portone. Ad attenderlo, però,  c’era il ciccione e la sua puttana. Si staccò dalla morsa di lei, prese le distanze dal Gatto e domandò  “dove hai comprato quella camicia?”

Il Gatto fece un sospiro di sollievo e inventò la prima balla passata per caso “mi potevi dire che ti piaceva, te l’avrei regalata. Comunque l’ho comprata a quel negozio vicino alla cartoleria, di fronte al bar”.  Ribattè lei, più bastarda che viscida “e no, caro! Questa è la camicia che ho regalato a Ugo mio. L’hai rubata mentre stava appesa ad asciugare”.

Già, Il panzone abitava a un primo piano del ghetto!”

Gatto Silvestro neanche seppe rispondere, tanto meno avrebbe raccontato di Vincenzo, ma la bugia non scese e tanto meno, dopo l’altro attacco di Manuela “tu vuoi fare il furbo con Ugo mio? Tu sei Gatto Silvestro, lui la tigre affamata di scemi come te”. Per non deludere le attese, Ugo tirò fuori una  Beretta 92, la pistola più bastarda della storia e dicono pure sia la più affidabile. (Io non sparo, non capisco quando parlano di armi affidabili).

Comunque… Si piazzò  di fronte a Gatto Silvestro e pretese spiegazioni “ma davvero volevi prendermi per culo?”

L’affidabilità della pistola trovò modo d’esprimersi quando Manuela rincarò la dose “lascialo stare sto moccioso, non vedi che si sta facendo addosso?” E tra scosse  e sorrisi, diede uno schiaffo sulla mano del pistolero. Quasi in sordina, a rallentatore,  partì un colpo, un viscido silenzio si appropriò dell’atmosfera. Gatto Silvestro si accasciò a terra,   morì due minuti dopo, per colpa di una camicia non sua e, si scoprì dopo, neanche fosse  del panzone. Quelli come Gatto Silvestro nascono per morire giovani, muoiono quasi sempre sul campo e se proprio volete saperlo, io credo sia  vero che passare dopo un gatto nero porti sfiga. Al funerale c’era tutta la famiglia… fu una dramma, adesso nessuno lo ricorda. La madre continuò ad affacciarsi al balcone ogni sera. Qualche volta si addormentava fuori, nella speranza di vedere il figlio Silvestro tornare con una bicicletta scassata o un motorino rubato. Nessuno ricorda d’averlo visto con una donna e forse è vero. Pare fosse innamorato di Gisella, ma lei sposò Sabatino il calzolaio. Forse l’amore di una donna l’avrebbe salvato”.

L’amico annuì, come suo solito  e chiuse la parabola “chi non usa il cervello è destinato a vincere la partita, perché arriva alla meta con la violenza, ma verrà il tempo che saremo tanti gatti di nome Silvestro da far paura a quelli che sparano, a quelli che tradiscono, alla polizia e forse, forse, ci sarà vendetta per tutti!   Ho tanti brutti ricordi che mi tormentano. Molte notti fatico a prendere sonno,  la morte del Gatto ha lasciato un segno a quelli come me, non troppo abituati a farsi troppo domande. Purtroppo o si è troppo giovani per capire o si è troppo vecchi per agire, l’uomo è una scienza sballata”.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di luglio del periodico cartaceo

Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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