Il Giubileo della Roma bene
Un’assemblea di quartiere promossa da Quarticciolo Ribelle
A Roma sembra di assistere a una sorta di tacito patto sociale: nei quartieri poveri della capitale, a cominciare da Tor Bella Monaca e il Quarticciolo, viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità. Il Giubileo, che pure era nato per liberare gli schiavi e mettere in discussione le disuguaglianze, invece di restituire dignità agli abitanti più sfortunati della città sembra rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene. Tuttavia, ci sono straordinarie realtà sociali come Quarticciolo ribelle e l’associazione Tor Più Bella capaci di coltivare la capacità di far saltare i piani di chi cerca di rendere ogni giorno schiavi i propri simili
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie. Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice e umile che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi, quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor Bella Monaca e il Quarticciolo. Il primo, nato nei primi anni Ottanta, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale: doveva essere un quartiere modello e invece è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale, dove vivono ben ottocento persone agli arresti domiciliari. Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni Quaranta, che è rimasto tale e quale a ottant’anni fa.
A Tor Bella Monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio, una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via Santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via. Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo: vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere. Le statistiche parlano di 28.000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono quattordici piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani con disabilità. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere a una sorta di tacito patto sociale in questa città. Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili. Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano a usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato a una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Tor Bella Monaca. La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato quattro ingressi: ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a dieci chilometri da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico – né più né meno come Tor Bella Monaca – e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri. Li collaboro con un’associazione, Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività. Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani. I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini. Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia. Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo. Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici. Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa. Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune. Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili. Perché la povertà e l’abbandono sono scomode. È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle istituzioni per onorare il Giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
Testo dell’intervento all’incontro dalla Diocesi di Roma, a cui ha partecipato anche papa Bergoglio, quale momento conclusivo delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del convegno “La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e giustizia nella città di Roma” del 1974 (organizzato all’epoca soprattutto da don Luigi Di Liego, è passato alla storia come il convegno sui “Mali di Roma”)
Daniele Leppe, avvocato, si occupa di diritti del lavoro e di diritto all’abitare. Fa parte dell’associazione Nonna Roma.
26/10/2024 https://comune-info.net/
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