Il governo manda gli antiabortisti nei consultori con i soldi del PNRR
Attraverso un emendamento all’articolo 44 del ddl per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ieri ha ottenuto il via libera in Commissione Bilancio alla Camera dei Deputati, il governo ha stabilito che le Regioni possano fare uso dei fondi del PNRR destinati alla Sanità per organizzare i servizi dei consultori che possano «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Così, nonostante solo una manciata di giorni fa il Parlamento Europeo abbia approvato una risoluzione per inserire l’aborto tra i diritti fondamentali dell’Ue, chiedendo di vietare i finanziamenti ai “gruppi anti-genere e anti-scelta”, ora l’azione dei movimenti cosiddetti pro-life nei consultori potrà essere direttamente finanziata con le risorse del PNRR. Tra le proteste delle opposizioni la Camera ha approvato la fiducia posta dal governo sul decreto legge PNRR con 185 voti a favore, 115 contrari e 4 astenuti. Ora la misura passa al Senato per l’approvazione definitiva.
Se il decreto legge PNRR dovesse ottenere il semaforo verde anche al Senato, entrerebbe in vigore l’emendamento – presentato dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia-, che propone la possibilità dell’introduzione degli antiabortisti nell’organizzazione dei consultori, ovvero le strutture sanitarie in cui viene effettuato il maggior numero di certificazioni per l’interruzione volontaria di gravidanza. Oggi pomeriggio, alle 14, proprio mentre alla Camera dei Deputati andava in scena la votazione sul decreto PNRR, la neonata Rete nazionale dei consultori e delle consultorie ha tenuto un presidio sotto Montecitorio, protestando contro i contenuti dell’emendamento approvato. «Siamo già in un contesto in cui 7 medici su 10 sono obiettori – ha dichiarato Eleonora, una delle fondatrici di Obiezione Respinta, che ha preso parte al presidio –. Sono anni ormai che vengono avanti questi attacchi e purtroppo a consentirli è anche la legge 194, non a caso da tempo pretendiamo “Molto più di 194″». E se è vero che la stessa legge 194/78 ad affermare che, «sulla base di appositi regolamenti o convenzioni», i consultori «possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita», la differenza è che ora le “associazioni pro-life” possano usufruire di fondi pubblici per la loro attività all’interno dei consultori.
A reagire alle polemiche è stata la Onlus Pro Vita, che da sempre fa della battaglia contro l’aborto la sua bandiera: «Vogliamo rassicurare il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e l’Internazionale Femminista: non abbiamo nessuna intenzione di entrare nei consultori – ha scritto in una nota -. Ma le donne che ci entrano meritano di trovarci persone che siano pronte ad accogliere il loro desiderio e diritto di un’alternativa all’aborto. Oggi questo non accade, ed è una vergogna che rende autodeterminazione e libertà di scelta vuoti slogan politici». In questo scenario di forte scontro ideologico, solo cinque giorni fa il Parlamento europeo ha dato l’ok a una risoluzione – non vincolante –, che chiede espressamente di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Nel testo, l’Eurocamera ha infatti chiesto che l’articolo 3 della Carta sia modificato, affermando che «ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva», nonché «a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale».
In Italia a frenare l’accesso all’aborto, sia farmacologico che chirurgico, sono ancora molteplici fattori. Prima di tutto c’entrano i medici obiettori: nel 2020 su scala nazionale ha presentato obiezione di coscienza il 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico, con ampie variazioni regionali per tutte e tre le categorie. Ma dietro c’è anche una questione assai più pratica. Nel nostro Paese ci sono troppo pochi consultori familiari rispetto ai bisogni della popolazione (1 consultorio ogni 35.000 abitanti sebbene siano raccomandati nel numero di 1 ogni 20.000) e spesso, al loro interno, è perfino difficile reperire ginecologi e personale ostetrico. Uno scenario di per sé già problematico potrebbe subire l’ennesimo scossone in seguito all’eventuale entrata in vigore dell’emendamento governativo, che comunque non costituisce il primo caso in cui si dà il via libera allo stanziamento di fondi pubblici verso le casse delle associazioni “pro life”. Su questo versante, la vicenda forse più emblematica è avvenuta in Piemonte il 30 settembre 2022, quando Maurizio Marrone, assessore regionale alle Politiche Sociali (anch’egli di Fratelli d’Italia), ha fatto approvare una nuova misura presentata come «in difesa della natalità». Ben 400mila euro sono stati infatti recapitati nelle casse delle associazioni “pro life“, cui è stato concesso di destinare i fondi in larga parte alle donne in difficoltà economica che decidono di non abortire e, in parte minore, per sponsorizzare il fondo stesso con campagne pubblicitarie.
Stefano Baudino
16/4/2024 https://www.lindipendente.online/
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