Il lato sommerso della cura


In Europa i dati sul lavoro domestico e di cura sono ancora insufficienti a descrivere un mercato caratterizzato da abusi e squilibri. L’indagine realizzata da una rete di organizzazioni sindacali restituisce per la prima volta una fotografia più precisa sulle condizioni delle persone che lavorano nel settore

La Strategia per l’assistenza della Commissione europea avrebbe potuto dare il via a una rivalutazione della cura in tutta Europa, soprattutto per via del fatto che chiedeva agli stati membri dell’Unione europea di ratificare la Convenzione 189 sul lavoro domestico dell’Organizzazione internazionale del lavoro (International Labour Organization, Ilo), e di occuparsi delle condizioni di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici nell’ambito della cosiddetta long-term care (assistenza alle persone non autosufficienti). 

Dopotutto, le stime indicano che il 4% del totale dell’occupazione si colloca nei settori dei servizi alla persona e alla famiglia (Spf; in inglese, Personal & Household Services, abbreviato in Phs).

La domanda di lavoro domestico retribuito – sia per l’assistenza diretta che per quella indiretta – è in rapido aumento a causa di vari fattori, tra cui la preferenza per l’assistenza domiciliare rispetto alle case di cura, l’aumento dell’impiego di babysitter e ragazze alla pari e la crescente spesa, da parte delle persone più benestanti, per i servizi di assistenza domiciliare.

La pandemia ha ulteriormente accelerato questa tendenza, legittimata da un certo tipo di discorsi sull’assistenza centrata sulla persona. Ciononostante, la strategia europea per l’assistenza ha sottostimato l’importanza di definire delle modalità per l’emancipazione economica dei lavoratori e delle lavoratrici domestiche e di chi si occupa di assistenza domiciliare, nonché di regolamentare il lavoro retribuito presso le famiglie.

Ad oggi, i dati ufficiali non sono in grado di descrivere la realtà dell’assistenza domiciliare e del lavoro domestico, a causa degli alti livelli di quello che la Commissione europea definisce “lavoro sommerso”, o che comunemente chiamiamo pagamento in nero per i servizi di assistenza diretta e indiretta. 

Come si legge in una dichiarazione delle parti sociali, “in base all’ultima indagine dell’Eurobarometro sull’argomento, è stato calcolato che circa il 34% di tutto il lavoro sommerso svolto nell’Ue nel 2019 è relativo al settore dei servizi per la persona e la famiglia. Stime recenti rivelano che, tra i 9,5 milioni di lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Europa, almeno 3,1 milioni svolgono lavoro sommerso”.

È questo il contesto da tener presente e all’interno del quale, per elaborare politiche e strategie e rivalutare questo tipo di occupazione, è necessario collocare le esperienze relative all’assistenza domiciliare, al lavoro domestico e ai servizi  alla persona e alla famiglia. 

Dopotutto, da un punto di vista politico questi lavoratori e lavoratrici possono essere considerati senza voce. Inoltre, il più delle volte non sono inseriti all’interno dei sindacati, fattore che contribuisce ad alimentare gli squilibri di potere nei loro rapporti di lavoro. 

Con l’indagine sull’occupazione nel settore dei servizi alla persona e alla famiglia (Phs Employment Monitor), abbiamo cercato di fare proprio questo, e di fornire una visione olistica delle condizioni occupazionali e sociali delle persone, che subiscono ulteriori svalutazioni a causa di razzismo, sessismo e status migratorio.

Per dare vita a quest’idea, abbiamo collaborato con dipendenti, utenti e datori di lavoro, ponendo a tutti domande simili. Tra i nostri partner ci sono la Federazione europea dei sindacati per l’alimentazione, l’agricoltura e il turismo (Effat, un sindacato gemello) e le associazioni datoriali Federazione europea per i servizi alla persona (Efsi) e Federazione europea per l’occupazione familiare e l’assistenza domiciliare (Effe), entrambe sostenitrici della Convenzione 189 dell’Ilo. 

Dopo aver già lavorato insieme nel 2021 a una grande conferenza per promuovere la ratifica della Convenzione, abbiamo approfondito la nostra collaborazione, con l’obiettivo di promuovere la contrattazione collettiva e il dialogo sociale sui servizi per la persona e la famiglia.

L’agenzia digitale e la cooperativa dei lavoratori Jarrow Insights, dall’Irlanda e dal Regno Unito, ci hanno supportato nello sviluppo del questionario, nella creazione del sito web e nell’analisi dei dati. Il loro coinvolgimento è stato fondamentale non solo per gli aspetti tecnici, ma anche per garantire che l’indagine fosse progettata in modo tale da fornire una fotografia esatta delle esperienze vissute dai lavoratori e dalle lavoratrici del settore dei Spf. 

Nonostante lo scetticismo iniziale di colleghi e colleghe sulla nostra capacità di raccogliere 1.500 risposte, ne abbiamo raccolte più di 6.500, di cui più di 4.500 da parte di lavoratori e lavoratrici. 

Questa partecipazione così massiccia testimonia l’urgenza di un cambiamento nel settore dei servizi alla persona e alla famiglia ed evidenzia, inoltre, la volontà di lavoratori e lavoratrici, utenti e datori di lavoro di condividere le proprie esperienze e di contribuire a uno sforzo collettivo per migliorarne le condizioni di lavoro.

Per quanto ne sappiamo, si tratta della più grande indagine condotta finora sui lavoratori della mobile care (assistenza a domicilio). Al nostro webinar online si sono registrate più di 300 persone. Un fatto che ha messo in luce la volontà delle persone di migliorare le condizioni di lavoro nel settore dei Spf e di costituire a questo scopo un movimento.

Migrazioni, sessismo e relazioni di lavoro 

Nell’ambito della nostra indagine, la questione dei lavoratori e delle lavoratrici migranti meritava un’attenzione particolare, alla luce del fatto che al Parlamento europeo è stato eletto il numero più alto di sempre di politici fascisti e di estrema destra, e tutto questo mentre la Commissione europea cerca di concludere accordi bilaterali con i paesi terzi per attirare nell’Ue persone migranti “qualificate”. 

Pur rappresentando la spina dorsale del settore dei servizi alla persona e alla famiglia, i lavoratori e le lavoratrici migranti sono spesso vittime delle più gravi forme di sfruttamento.

Questi lavoratori e lavoratrici vanno a colmare dei vuoti cruciali nell’infrastruttura dell’assistenza, e sono spesso sfruttati a causa delle disparità salariali presenti sia tra i diversi paesi dell’Unione europea che tra i paesi europei e quelli del Sud globale. 

Il nostro sondaggio ha rilevato che “nel complesso, circa il 40% dei lavoratori e delle lavoratrici migranti dei servizi alla persona e alla famiglia ha dichiarato di aver incontrato difficoltà amministrative legate al proprio status migratorio quando ha cercato di trovare un lavoro nel settore”.

In qualità di parti sociali e organizzazioni non governative, abbiamo sostenuto politiche migratorie eque, la regolarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici prive di documenti e la necessità di svincolare le ispezioni sul lavoro dallo status migratorio, per consentire alle persone di denunciare lo sfruttamento senza timore di recriminazioni.

Garantire un trattamento equo ai lavoratori e alle lavoratrici migranti non è solo una questione di giustizia, ma anche di sostenibilità del settore dei servizi per la persona e la famiglia. Promuovendo politiche migratorie eque e sostenendo la regolarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici prive di documenti, puntiamo a creare una forza lavoro più equa e stabile.

Un obiettivo che si scontra con il problema dei gravi squilibri di potere che si verificano nelle famiglie: la natura intima e isolata della gran parte di questo lavoro lo rende particolarmente soggetto agli abusi di questo tipo.

Lo studio ha rivelato livelli allarmanti di molestie e di violenza sul posto di lavoro. Circa il 28% dei e delle dipendenti dei servizi per la persona e la famiglia che hanno partecipato al sondaggio ha riferito di aver subito molestie, e il 15,9% ha sperimentato forme di violenza, con variazioni significative tra i vari paesi.

L’eccessivo sfruttamento si manifesta con orari di lavoro eccessivamente lunghi, aspettative di produttività elevate e frequenti cambi di mansione. Circa un quarto dei e delle dipendenti ha riferito di lavorare più di 40 ore alla settimana, e molte di queste persone hanno subito stress psicologico, peggiorato con l’aumento delle ore di lavoro. Gli alti livelli di sovra-sfruttamento e i conseguenti problemi di salute mentale tra i lavoratori e le lavoratrici dei Spf sono allarmanti.

Questo è particolarmente vero per chi lavora nell’assistenza domiciliare. Circa un quarto delle persone intervistate vive nella casa della famiglia per cui lavora, e molte di loro si trovano in situazioni di precarietà. Gli accordi di coabitazione possono essere particolarmente problematici a causa della mancanza di confini chiari tra lavoro e tempo libero.

Infatti, se, da un lato, gli accordi che prevedono una coabitazione offrono sicurezza dal punto di vista dell’alloggio e dei pasti, dall’altro spesso pongono i lavoratori e le lavoratrici alla mercé dei loro datori di lavoro, esacerbando le difficoltà a cui dover far fronte. Spesso, ai lavoratori e alle lavoratrici che si trovano in situazioni di questo tipo viene richiesta una disponibilità costante, che rende più complicato il riposo e il tempo per recuperare le forze.

Contrattazione collettiva e dialogo sociale

Migliorare le condizioni del settore dei servizi per la persona e la famiglia richiede un cambiamento multidimensionale, che investe la sfera economica, politica e culturale.

Il fattore chiave per innescare un cambiamento negli atteggiamenti culturali è strettamente connesso all’aumento dei livelli di sindacalizzazione. Storicamente, il settore dei Spf è stato difficile da organizzare a causa della natura dispersiva del lavoro e della mancanza di luoghi di lavoro formali.

La sindacalizzazione del settore rimane comunque scarsa, e i gruppi auto-organizzati non sono in grado di negoziare salari e condizioni di lavoro. Dall’altra parte del tavolo, anche le organizzazioni dei datori di lavoro sono deboli, il che significa che i lavoratori e le lavoratrici non hanno nessuno con cui negoziare nemmeno a livello settoriale.

Questo è il motivo per cui Effat e Uni Europa – la Federazione sindacale europea che rappresenta 7 milioni di lavoratori e lavoratrici del settore dei servizi, ndr – hanno avviato un dialogo sociale a livello europeo con Effe ed Efsi. Crediamo che questo permetterà a noi di rafforzare i sindacati, e alle nostre controparti di fare lo stesso con le associazioni dei datori di lavoro, con l’obiettivo di negoziare salari e condizioni di lavoro migliori.

La nuova direttiva europea sul salario minimo offre ai sindacati l’opportunità di negoziare condizioni migliori, ma è necessario che intervengano anche i governi. I sindacati e i datori di lavoro possono organizzare sia chi lavora nei servizi che chi ne usufruisce, facendo attività di sensibilizzazione sulle condizioni di lavoro e sostenendo pratiche occupazionali etiche.

Tuttavia, per sostenere la contrattazione collettiva e arrivare a una formalizzazione dei rapporti di lavoro nel settore è necessaria un’azione governativa. 

Un approccio globale al miglioramento del settore dei servizi per la persona e la famiglia non può limitarsi ad affrontare questioni immediate come i salari e le condizioni di lavoro, ma deve anche concentrarsi su problemi sistemici più ampi, fra cui la promozione di politiche che sostengano una migrazione equa, la riduzione del divario retributivo di genere e l’insistenza su politiche che promuovano la “parità di retribuzione per lavoro di pari valore“. 

In conclusione, il Phs Employment Monitor rappresenta un passo significativo per colmare le lacune nella nostra conoscenza delle condizioni di lavoro nel settore dei servizi per la persona e la famiglia, il cui futuro dipenderà dalla nostra capacità di riconoscere ed elaborare soluzioni per le sfide specifiche che le persone che lavorano al suo interno si trovano a dover affrontare. 

Attraverso iniziative come l’indagine sull’occupazione nel settore dei servizi per la persona e la famiglia, possiamo raccogliere i dati necessari per informare le politiche e gli sforzi di advocacy, costruire organizzazioni più forti per rappresentare i lavoratori e le lavoratrici e promuovere una cultura di rispetto ed equità.

Questa crescente domanda sottolinea l’importanza di garantire condizioni di lavoro eque e sostenibili per la forza lavoro dei servizi per la persona e la famiglia: dal momento che sempre più famiglie e persone si affidano a questi servizi, risolvere le problematiche legate al lavoro in questo settore è fondamentale. 

Insieme a Effat, Effe, Efsi e alle nostre organizzazioni nazionali, istituiremo degli osservatori settoriali per identificare le sfide comuni e sviluppare soluzioni comuni ai problemi occupazionali del settore. 

Mark Bergfeld, Alessandra Giannessi

18/7/2024 http://www.ingenere.it/

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