Il lavoro delle professioni per la salute

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Nel testo che segue proponiamo, a grandi linee, un ragionamento sulle professioni sanitarie che oggi potrebbero rimettere in piedi una nuova Riforma Sanitaria che prenda spunto da quella del 1978 e l’adegui ai nuovi bisogni di salute e alle nuove professionalità che operano con sofferenza ancora nel pubblico e quelle da incentivare a ritornarci. Un ragionamento che rappresenta anche la storia di Lavoro e Salute

Si fa un gran parlare e scrive dei medici, degli infermieri, degli OSS e molti lo fanno dopo decenni di silenzio o luoghi comuni. Decenni che rappresentano il retroterra di quanto oggi vivono (viviamo, tante e tanti di noi sono, o sono stati, operatori sanitari) e ci crea molto fastidio quando qualche saccente politico parlamentare o giornalista scoprendo l’acqua calda dà l’indirizzo da seguire per rattoppare buchi ormai troppo larghi per tentare di riparare ai torti fatti ai medici, e in particolare, a inferie e infermieri.

Da un pò di tempo questi signori lanciano allarmi sulle condizioni di lavoro nella sanità, di fuga verso il privato, di fuga all’estero, me nel comtempo continuano con le solite ricette, già inutili o donnose quando esisteva un Servizio Sanitario Nazionale ma oggi sono la negazione di un processo in atto di smantellamento definitivo della sanità pubblica, con loro, i signori sopracitati, che hanno consapevolmente contributo con leggi e pagine di giornali.

Questo stato di cose va affrontato con provvedimenti drastici per ridurre nel tempo le aggressioni della sanità privata che ha costruito veri e propri fortini ospedalieri sfruttando le convenzioni con il SSN e ingrassando con i finanziamenti pubblici, centrali e locali.
Questi provevedimenti andranno a buon fine solo se saranno elaborati e prodotti con la partecipazione diretta degli operatori sanitari.

Chi sono gli operatori della sanità, come percepiscono il proprio lavoro e come si rapportano ai cittadini utenti?
Innanzitutto dobbiamo provare a definire con chiarezza chi sono gli operatori della sanità: vanno suddivisi per ruolo, funzione, livello contrattuale? E ancora, sono soltanto quelli operanti nella sanità pubblica o anche in quella privata con le loro problematiche in una sanità, quella accreditata, pagata con soldi pubblici in base alle prestazioni fatturate ai Sistemi Sanitari Regionali?

La lettura delle soggettività professionali e la conseguente risposta non può certo essere banalizzata. Forse possiamo utilizzare una sorta di trucchetto identitario: è un operatore della sanità chiunque si senta tale. Ma cosa significa sentirsi tale? Qui dobbiamo introdurre il concetto relativo alla consapevolezza. Si diventa cioè operatore della sanità quando si diventa consapevoli del ruolo sociale che questo implica. In Italia questa funzione sociale è stabilita nella Carta Costituzionale che all’articolo 32 stabilisce: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Gli operatori della sanità realizzano, o almeno provano a farlo, un pezzettino di quanto prescritto dalla nostra Legge Fondamentale, ma sono contemporaneamente strumenti attivi dell’articolo 3 della Carta che non fa mai male ricordare e ripetere: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Quando si curano i cittadini senza distinzione alcuna, in società sempre più multietnica e senza diritti di cittadinanza per i migranti, non si cerca forse di rimuovere un ostacolo?
L’articolo 3 però ci porta immediatamente ad un’altra riflessione: la consapevolezza di svolgere una funzione sociale come lavoratori della sanità porta automaticamente al desiderio di partecipare proprio all’organizzazione, se non nel senso ampio inteso dall’articolo in questione, almeno del campo in cui si opera. Si vuole soprattutto far sentire la propria voce. Ed è il tema della partecipazione la ragione sociale di uno strumento di d’informazione dibattito collettivo.
Permettere agli operatori della sanità di manifestare il loro punto di vista, forte di cognizione di causa, è proprio uno degli obiettivi principali per cui è nato il nostro giornale “Lavoro & Salute” ormai 40 anni orsono. Anni durante i quali abbiamo espresso, nel nostro scrivere e nel nostro fare, un deciso rifiuto dello
storico meccanismo della delega, così rappresentativo della democrazia formale quanto distruttivo di quella sostanziale. Si può veramente anche solo immaginare che un lavoratore debba sempre operare nella veste di subordinato alla catena gerarchica, e possa esprimersi solo al momento del voto, se vogliamo percorrere caparbiamente il sentiero della partecipazione?

Probabilmente questo è uno dei motivi più gravi del malcontento strisciante e della rassegnazione che qualsiasi attento ascoltatore può cogliere nel parlare con loro. Oggi si è consolidata una distanza abissale rispetto alle decisioni senza nessun confronto di merito e consultazione con e dei lavoratori.

Oggi come ieri quindi, e non si deve neanche lontanamente pensare che i lavoratori non ci abbiano provato a farsi sentire; le richieste di partecipazione sono state espresse in varie forme: sindacali, associative, assembleari, e per quanto ci riguarda direttamente, con questo strumento giornalistico.

Quindi “Lavoro & Salute” per tutta la sua storia è stato costantemente nel contesto problematico della vita professionale e relazionale dei lavoratori, si è offerto come cassa di risonanza, pur con tutte le difficoltà di un foglio finanziato tramite autotassazione dei promotori, sottoscrizione di sostenitori e lettori e sporadiche e modeste entrate pubblicitarie (esclusivamente se in linea con la nostra etica editoriale). Anche nel rapporto con le istituzioni ha esercitato un ruolo di collegamento con le esigenze espresse dalle professioni sanitarie, in particolare quella infermieristica.

Abbiamo costruito faticosamente relazioni e condivisioni, registrando anche rifiuti e incapacità di ascolto nelle sfere decisionali del mondo politico, ma quando viene a mancare del tutto la volontà di ascolto la delusione diventa forte, ci si rassegna e ci si rinchiudenel proprio spazio lavorativo scontando di fatto un isolamento fatto di impotenza e foriero di corporativismo professionale ed egoismo dei singoli.

In altre parole, si cerca in qualche modo di sopravvivere ma nel contempo si perde soprattutto la

capacità di mantenere viva una visione per il futuro.
Una delle conseguenze più preoccupanti di questi atteggiamenti – che stanno crescendo – è che si sviluppa sempre più un’indifferenza nei confronti dell’efficacia del proprio lavoro sulla salute dei cittadini. A sua volta questo porta ad un radicamento del conflitto tra cittadinanza e operatori che innesca un distruttivo circolo vizioso. Per rendersi conto della situazione in cui ci troviamo basta osservare quanto accade in un Pronto Soccorso.

Facciamo un esempio tanto per chiarire: un cittadino vi si reca per un doloroso mal di stomaco; l’infermiere professionale al Triage esamina i parametri vitali ed escludendo un pericolo imminente gli assegna un codice bianco o verde; data la presenza di molte persone l’attesa è lunga e nel frattempo il cittadino continua a soffrire di questi dolori; magari in quel periodo i media stanno pompando qualche caso di “malasanità”; quando finalmente il cittadino viene visitato dal medico del Pronto Soccorso è chiaramente arrabbiato; forse il paziente protesta in modo un po’ aggressivo e chissà uno degli operatori, particolarmente stanco perché ha dovuto saltare un turno di riposo, non gli risponde con la solita cortesia (probabilmente val la pena ricordare che anche i medici e gli infermieri sono fatti di carne ed ossa, nonostante quel genere di fiction che li descrive come eroi). Ci troviamo di fronte ad una miscela esplosiva. Il livello irrazionalmente conflittuale sale e non si riesce più a stabilire quel tranquillo rapporto di collaborazione tra sanitario e paziente.

Quali sono le conseguenze di questo mal celato stato conflittuale tra cittadinanza e sanità? I medici e più in generale gli operatori sanitari non lavorano con la dovuta serenità; i cittadini ricevono prestazioni anche non appropriate pur di tenerli buoni; la società tutta paga un costo economico maggiore del dovuto per quello che viene spesso definito come “consumismo sanitario”.

Ma esiste anche un altro costo indiretto molto importante di cui la società è costretta a farsi carico: si tratta di quello relativo al non completo sfruttamento del capitale umano degli operatori sanitari impossibilitati a partecipare alla buona organizzazione della sanità. Gli economisti definiscono il capitale umano come l’insieme delle conoscenze e delle abilità acquisite da un individuo non solo attraverso la scolarità ma anche attraverso l’esperienza lavorativa (quello che in inglese si definisce learning by doing). Chi lavora quotidianamente in sanità possiede, cioè, un capitale immenso di conoscenze e capacità che corre il rischio enorme di non essere completamente sfruttato. È un po’ come pagare l’affitto di una casa senza utilizzarla. Ci possiamo veramente permettere come società un simile spreco? E a proposito di sprechi, chi può conoscerli meglio degli operatori stessi? E le denunce di questi sprechi non sono state fatte oppure sono rimaste inascoltate?
Ma è stato sempre così?

Sino a qualche anno fa gli operatori della sanità hanno cercato di leggere il proprio lavoro anche con l’ottica della cittadinanza, combattendo i corporativismi e l’autoassoluzione sui casi di “malasanità” tutti; quelli quotidiani e non solo quelli che diventavano mediatici.
Stanno a testimoniarlo i 297 numeri di “Lavoro & Salute” pubblicati in tutti questi anni, con i suoi articoli scritti da oltre 2600 autori (oltre 1400 dei quali sono operatori della sanità), le oltre 650.000 copie stampate e distribuite negli ospedali, negli ambulatori e in altri luoghi “sensibili”. Oltre 3 speciali – 7 tematici – 1 referendum nazionale sul contratto sanità.E da alcuni annni produciamo inserti tematici allegati a ogni numero. Per quanto riguarda le lettrci e i lettori sul sito web il numero di avvicina ai tremlioni di visitatori.
Veniva rifiutata cioè quella subdola e sempre latente visione del mondo che vuole i lavoratori come semplici esecutori di più alti progetti stabiliti da determinate gerarchie. Come ha spiegato magistralmente e con un’accezione più ampia Norbert Wiener, matematico statunitense, nel suo libro “Introduzione alla cibernetica” : […] la nostra concezione della società differisce dalla società ideale prospettata dai fascisti e da molti magnati del mondo degli affari e della politica. Essi preferiscono una organizzazione in cui tutti i comandi provengono dall’alto senza che sia possibile nessuna riversibilità. Sotto di essi gli uomini sono stati ridotti al livello di esecutori degli ordini di un centro nervoso che pretende di essere superiore. Desidero che questo libro sia inteso come una protesta contro questa utilizzazione inumana degli esseri umani, poiché sono convinto che impiegare un uomo richiedendogli e attribuendogli meno di quanto comporta la sua condizione umana, significa abbruttire questa condizione e sperperare le sue energie. È una degradazione della condizione umana legare un uomo a un remo e impiegarlo come sorgente di energia; ma è altrettanto degradante segregarlo in una fabbrica e assegnarlo a un compito meramente meccanico che richieda meno di un milionesimo delle sue facoltà cerebrali [come far seguire rigidi protocolli ad un infermiere o ad un medico, ndr].

Cosa proponiamo dunque?
Vogliamo ricostruire uno spazio in cui collegare ed intrecciare le esperienze dei lavoratori della sanità con la parte più “alta”: le istituzioni, la politica, i cosiddetti “decision-maker”. Bisogna ricostruire quindi le Politiche sanitarie attraverso la condivisione, il dibattito, il confronto.
La partecipazione deve avere ricadute immediate e tempestive, non legate cioè alle campagne elettorali quando, come per magia, tutti si accorgono dei problemi della sanità.

Nel nostro piccolo vogliamo contribuire offrendo il nostro giornale “Lavoro & Salute” come uno strumento, un luogo ideale di incontro tra operatori, cittadini e istituzioni e politica; in modo più chiaro, vogliamo essere strumento di ascolto di operatori e cittadini e strumento attivo come megafono rispetto alla politica.
Chiediamo in cambio l’attenzione sull’immediato e la partecipazione ai progetti di intervento e alle decisioni. È d’obbligo un’ultima avvertenza: sappiamo riconoscere la concessione di una falsa partecipazione rappresentata magari dalla scelta tra due alternative tra cui effettuare una scelta obbligata. Noi siamo decisi a non porre limiti al numero di opzioni di scelta ed a cercare di proporre sempre quella in cui prevale maggiormente l’interesse pubblico.

Redazione Lavoro e Salute

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