Il lavoro nel 2019, ancora una corsa verso il basso
Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso Susan George definì «corsa verso il basso» il processo di globalizzazione e gli accordi internazionali che lo sostenevano. Corsa verso il basso ma non per tutti, solo per gli esseri umani coinvolti in un modello economico fondato sulla competitività a costi più bassi del lavoro, della sicurezza sociale e della protezione ambientale. Il lavoro è stato direttamente investito. È vero che il processo di globalizzazione ha favorito per alcuni decenni, sino alla crisi finanziaria del 2008, una diffusione delle attività economiche e manifatturiere che ha comportato in diversi Paesi una crescita dell’occupazione, o meglio un trasferimento di centinaia e centinaia di milioni di lavoratori dell’agricoltura verso l’industria e, progressivamente, verso i servizi, ma questo processo si va esaurendo. L’unica cosa che continua – come documentato nei resoconti mensili pubblicati in questo sito – è la corsa verso il basso di diritti, condizioni e rispetto dell’ambiente.
Il quadro internazionale
Come ogni anno l’Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO) pubblica alcuni dati e svolge alcune considerazioni. Va tenuto conto che è un organismo dell’ONU tripartito, composto cioè per un terzo da rappresentanti dei governi, per un terzo da rappresentanti degli imprenditori e per un terzo da rappresentanti dei lavoratori: i documenti sono valutati e condivisi considerando e mediando i tre punti di vista, ma i dati non si possono ignorare:
– l’8% degli occupati del mondo vive in povertà;
– il 55% della popolazione mondiale NON è coperta da alcuna forma di protezione sociale;
– il 51% dell’occupazione non agricola nel mondo è informale (senza riconoscimento e protezione sociale);
– esiste un divario retributivo globale di genere del 19% e le donne detengono solo il 27% delle posizioni manageriali;
– il tasso di disoccupazione globale è del 5%;
– il 21% dei giovani del mondo non ha impiego, istruzione o formazione;
– il 10% di tutti i bambini nel mondo è impegnato nel lavoro minorile;
– il 14% delle persone occupate nel mondo lavora nel settore manifatturiero;
– il 52% del PIL mondiale è destinato alla remunerazione del lavoro.
Dalla crisi del 2008 i salari dei lavoratori del gruppo dei Paesi più ricchi denominato G7 sono praticamente fermi. Erano invece cresciuti e parecchio quelli degli altri 13 Paesi del gruppo G20 ma questa crescita era fortemente influenzata dagli aumenti dei salari in Cina. Ora si sono fermati anche in Cina e dal 2016 si assiste a un lieve ma progressivo declino.
Tutto questo ha portato l’ILO a dichiarare: «la maggioranza dei 3,3 miliardi di persone impiegate a livello globale non ha potuto lavorare e vivere in condizioni di benessere materiale, di sicurezza economica, pari opportunità o possibilità di sviluppo umano. Il lavoro non garantisce sempre una vita dignitosa. Molti lavoratori si trovano a dover assumere lavori poco attraenti che tendono ad essere informali e sono caratterizzati da bassi salari e scarso o nessun accesso alla protezione sociale e ai diritti sul lavoro».
Circa 6.500 persone muoiono ogni giorno a causa di malattie professionali e 1.000 a causa di incidenti mortali sul lavoro. Sommati nell’anno i morti per ragioni di lavoro sono circa 2,4 milioni.
Circa 40,3 milioni di persone sono in condizione di moderna schiavitù, 24,9 milioni in condizioni di lavoro forzato e 15,4 milioni di matrimonio forzato. In larga parte il lavoro forzato rappresenta un modo per pagare debiti contratti, si chiama servitù del debito. Sorge spontanea una domanda: e quando il debito lo contrae uno Stato, ad esempio la Grecia, come lo dobbiamo chiamare?
Le diseguaglianze
Negli anni successivi alla crisi finanziaria il numero dei miliardari è raddoppiato e i loro patrimoni aumentano di 2,5 miliardi di dollari al giorno; nonostante ciò i superricchi e le grandi imprese sono soggetti alle aliquote fiscali più basse registrate da decenni. I costi umani di tale fenomeno sono enormi: scuole senza insegnanti, ospedali senza medicine. I servizi privati penalizzano i poveri e privilegiano le élite. I soggetti che risentono maggiormente di tale situazione sono le donne, su cui grava l’onere di colmare le lacune dei servizi pubblici con molte ore di lavoro di cura non retribuito. Forse non va ignorato il commento della segretaria del sindacato internazionale dei lavoratori dei servizi: «Il reddito di base universale senza servizi pubblici di qualità è un paradiso neoliberale». Illusorio, aggiungerei.
Immigrazione
Le stime attuali indicano che ci sono 244 milioni di migranti internazionali a livello globale (il 3,3% della popolazione mondiale). Mentre la stragrande maggioranza delle persone nel mondo continua a vivere nel paese in cui è nata, sempre più persone stanno migrando verso altri paesi, in particolare quelli all’interno della loro regione. Molti altri stanno migrando verso paesi ad alto reddito che sono più lontani. Il lavoro è la ragione principale per cui le persone migrano a livello internazionale e i lavoratori migranti costituiscono una grande maggioranza dei migranti internazionali del mondo: la maggior parte di quelli che vivono in paesi ad alto reddito è impegnata nel settore dei servizi.
Solo in Inghilterra esiste una norma che impone ai datori di lavoro di pubblicare informazioni sulla retribuzione su base etnica. Nel primo anno di pubblicazione dei dati sono emerse prove evidenti del divario retributivo.
Il blocco dell’immigrazione negli Stati Uniti e in Europa è una grande ipocrisia. Uno dei suoi massimi sostenitori, l’ungherese Orban, costruisce muri e blocca l’immigrazione dei musulmani ma grandi agenzie ungheresi organizzano l’immigrazione dalla Mongolia e dal Vietnam. L’obiettivo della destra nazionalista è quello di creare e mantenere un sottoproletariato senza riconoscimenti e senza diritti; eternamente ricattabile per poter ricattare così anche quei lavoratori che alcuni diritti li hanno e indurli ad accettarne una riduzione pur di lavorare ed evitare di diventare come degli immigrati.
Una diffusa lotta di classe, quasi sempre difensiva
Da ormai molti anni si va svolgendo un attacco ai diritti di libertà, rappresentanza e sciopero dei lavoratori e un attacco alle misure di protezione sociale, prima di tutto la sicurezza previdenziale rispetto alla vecchiaia.
Prima, ma soprattutto dopo la crisi del 2008 questo attacco si è svolto in Europa e in particolare nel Sud del continente con i tagli pesanti e ripetuti ai sistemi pensionistici e sanitari in Grecia, Italia, Francia, Spagna e Portogallo che hanno visto i lavoratori impegnati in decine di scioperi generali nazionali ma anche l’assenza totale di una azione del sindacato europeo. Lo stesso è avvenuto con il drastico depotenziamento, se non la demolizione, degli statuti del lavoro in Italia, Francia e Spagna. In Spagna la risposta è stata anche politica e il nuovo governo PSOE-Podemos ha nel programma il cambiamento delle norme volute da Rajoy; in Francia lo scontro è durissimo ma non si intravvede una proposta politica alternativa; da noi il problema non si pone, è prioritario “salvare la democrazia”.
Nel mondo. A gennaio si è svolto in India lo sciopero generale di due giorni che ha visto la partecipazione di quasi 200 milioni di lavoratori, il più grande sciopero della storia; a giugno lo sciopero unitario indetto dai sette sindacati brasiliani contro il governo ha visto partecipare 45 milioni di lavoratori. E poi: a fine giugno lo sciopero generale in Argentina contro i provvedimenti voluti dal Fondo Monetario (FMI); sempre nello stesso mese lo sciopero generale in Tunisia contro il governo e il FMI; a luglio sciopero generale in Uruguay contro la proposta dei padroni di cancellare la contrattazione collettiva nazionale, che vedeva disponibilità del governo a trovare una mediazione; a ottobre primo sciopero generale in Cile che proseguirà (e prosegue) con la costruzione del movimento Unidad Social mentre lo sciopero e le manifestazioni di dicembre hanno visto più di 2,5 milioni di manifestanti in piazza; nello stesso periodo lo sciopero generale in Ecuador e in Colombia; il 5 dicembre lo sciopero generale in Francia (e la continuazione della lotta è in corso ancora oggi).
In tutti questi casi le ragioni della lotta sono state l’opposizione alla precarizzazione del lavoro, alla riduzione dei diritti sindacali e di sciopero, al taglio dei servizi pubblici in particolare delle pensioni. I due scioperi generali in Algeria, ma anche quello di dicembre in Cile, hanno avuto al centro la riaffermazione della democrazia contro le derive elitarie e oligarchiche, prima di tutto militari. Nello Zimbabwe lo sciopero è stato represso a colpi di arma da fuoco che hanno provocato 12 morti e l’arresto di diversi dirigenti sindacali tra cui il segretario della confederazione sindacale del continente africano.
Gli arresti di dirigenti sindacali è fenomeno sempre diffuso nel mondo. Spiccano quelli in Russia, Bielorussia e Kazakhstan ma soprattutto la frequenza quasi mensile in Algeria anche in contemporanea con le elezioni politiche. Ma quello che colpisce è la frequenza degli omicidi dei dirigenti sindacali in Colombia con 18 vittime e nelle Filippine che ha provocato l’intervento di Sharan Burrow, segretaria del sindacato internazionale, indicando il governo Duterte come responsabile di 43 omicidi.
Le lotte delle insegnanti negli Stati Uniti
Nell’ultimo anno ci sono state negli Stati Uniti importanti e diffuse lotte delle lavoratrici delle scuole, insegnanti e assistenti. Lo scontro si è svolto a partire dal West Virginia contro le privatizzazioni, il trasferimento di servizi scolastici alle “scuole charter”, e a visto una importante vittoria delle decine di migliaia di lavoratrici in lotta per diverse settimane. Sempre sugli stessi temi si sono svolte lotte analoghe in California dove sono scesi in sciopero 30mila insegnati a Los Angeles. Alcune settimane fa sono scese in lotta le insegnanti di Chicago contro la scelta di privatizzare dell’amministrazione comunale, criticando il voltafaccia del sindaco che in campagna elettorale aveva chiesto i voti per un programma contro le privatizzazioni.
I 33 giorni di sciopero dei lavoratori della General Motors
A mezzanotte del 16 settembre i 50.000 lavoratori della General Motors (GM) sono scesi in sciopero. È stato il primo sciopero dal 2007. Gli obiettivi erano: l’abolizione del sistema di retribuzione “a due livelli”; il contrasto al continuo aumento di esternalizzazioni e di utilizzo di lavoro temporaneo; oltre ad aumenti salariali generalizzati e a miglioramenti nell’assistenza sanitaria contro il progetto di GM di far pagare ai lavoratori una quota maggiore di spese mediche; infine, il no alla chiusura di impianti negli USA.
Si sono ottenuti significativi aumenti salariali per tutti. Il “doppio livello” era stato introdotto negli anni passati e comportava il fatto che a svolgere la stessa mansione ci fossero operai retribuiti 30 e altri 15 dollari l’ora, in ragione del momento dell’assunzione. Questa differenza è stata superata per gli operai delle linee di montaggio ma permane per i lavoratori che operano direttamente nella componentistica e nella logistica dell’impresa. Differenze analoghe permangono per i contributi per l’assistenza sanitaria e per le pensioni.
Comunque il problema è stato risolto per la maggioranza dei lavoratori e la maggioranza ha approvato l’accordo.
Rider di tutto il mondo unitevi
Praticamente in ogni mese del 2019 s’è avuta notizia di scioperi, proteste, cause giudiziarie o sentenze che hanno visto protagonisti lavoratori delle piattaforme della logistica che qui chiamiamo “fattorini”.
I conflitti si sono svolti sempre sugli stessi problemi: l’imposizione del lavoro autonomo al posto del rapporto di lavoro subordinato, l’avviamento al lavoro da parte di agenzie in Belgio o di cooperative in Spagna, il taglio delle retribuzioni orarie o il mancato pagamento del salario.
In Europa ma anche in America Latina il più delle volte le controparti sono state Deliveroo, Glovo, Uber, Eat o Stuart. In Argentina lo scontro è avvenuto anche contro imprese nazionali come Pedidos Ya e Orden Ya. In Cina contro il gigante della logistica YTO Express e le principali piattaforme di distribuzione alimentare, Meituan ed Ele.me, oppure collegate al crollo del noto corriere Rufengda Express, mentre le altre proteste si sono verificate in piccole società di corrieri regionali nello Jiangxi, nello Yunnan e Shandong.
In alcuni casi, come è avvenuto a Torino (conosceremo tra alcune settimane la definitiva sentenza della Corte di Cassazione), si è ricorso alla magistratura.
Due recenti decisioni di un tribunale di Amsterdam segnano una vittoria nella lotta contro Deliveroo con il riconoscimento che i lavoratori svolgono l’attività come dipendenti, non come imprenditori autonomi.
Interessante è stata la sentenza di un tribunale a Valencia, in Spagna, dove un analogo riconoscimento è avvenuto dopo il ricorso del locale ispettorato del lavoro: inimmaginabile in Italia.
Le lotte e la drammatica repressione negli ultimi sei mesi
Drammatica è stata la repressione perché in essa hanno perso la vita quasi 1500 persone, più di 10mila sono rimaste ferite da armi da fuoco, gli arresti sono stati in numero ancora superiore. Ci sono stati casi di tortura ma quello che colpisce è lo stupro di centinaia e centinaia di donne, soprattutto in America Latina dove da anni le donne erano entrate in campo contro la violenza di genere e la libertà dell’aborto diventando un soggetto sociale protagonista. Sempre la polizia è stata affiancata dall’esercito e nei casi del Cile e dell’Ecuador il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e d’assedio. Parliamo delle manifestazioni ad Haiti e subito dopo in Ecuador, poi in Cile e a fine anno in Bolivia. Contemporaneamente si sono svolte analoghe proteste in Iraq e in Iran.
In Ecuador, Cile e, per ultimo, le lotte contro il golpe in Bolivia e lo sciopero generale in Colombia di dicembre hanno visto tra i protagonisti in prima fila le popolazioni indigene. La protesta in Haiti era stata definita levantamiento de los hambrientos, rivolta degli affamati. In Argentina l’opposizione al governo neoliberale ha vinto le elezioni e il primo provvedimento, contenuto in un accordo con le organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori, è garantire l’alimentazioni a tutti, come hanno scritto “a partire dagli ultimi”.
Alcune riflessioni
Gli avvenimenti prima descritti sono una delle espressioni della fase ormai di esaurimento del trentennio dell’economia globale. L’illusione si trasforma in dura realtà: non ce n’è più per tutti; una parte degli esseri umani deve essere abbandonata al suo destino.Sovranismo, Guerre
Tra “noi” e “loro” vanno costruiti muri e siamo ormai giunti nel mondo a 55 muri per un totale di 40mila chilometri, metà dei quali costruiti dopo il 2008, e altri sono in costruzione. Se non basta vendere le armi perché si ammazzino tra loro, prima di tutto alimentando gli integralismi religiosi (i golpisti boliviani salutano con il tradizionale saluto militare ma con l’indice e il dito medio della mano incrociati appunto a forma di croce), allora li bombardiamo o appoggiamo in silenzio chi bombarda. Tutto questo mentre la crisi climatica incombe e già oggi – come ha segnalato l’organismo dell’ONU preposto ai diritti umani – oltre 120 milioni di esseri umani a sud dei muri vivono in una sorta di apartheid climatico, mentre palestinesi e kurdi in quello materiale.
In un contesto di questo tipo i lavoratori si battono, eccome… Non sono tutti come i lavoratori italiani! Eppure la prospettiva è incerta. Come scriveva Luciano Gallino «i lavoratori non pensano più di avere un destino comune», ma come possono pensare di averlo nel pieno della frantumazione del lavoro e quando, come scrive il sindacato internazionale dei lavoratori dell’industria, è venuta scemando la solidarietà internazionale? Se lo sguardo non va oltre al proprio villaggio anche quando sei subissato di notizie dai social e la speranza non va oltre la giornata o la settimana quando sei fortunato e lavori, viene anche a mancare la speranza individuale. Le contraddizioni impongono una nuova progettualità. Per ora è importante schierarsi, almeno idealmente, con quelli che stanno a sud dei muri.
Fulvio Perini
8/1/2020 volerelaluna.it
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