Il lavoro regolare dei migranti, il 9% del Pil, aiuta sanità e pensioni

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I dati che la Fondazione Leone Moressa e la Cgia di Mestre hanno raccolto nel settimo Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione raccontano ciò che si può ben presumere stando con gli occhi ben aperti nelle nostre città (e campagne), e che si può riassumere più o meno così: il contributo economico che gli immigrati forniscono in un anno con il loro lavoro regolare in Italia è – per fare solo un esempio – pari alla spesa sanitaria annuale italiana, sostenuta dal pubblico e dal privato insieme. I 2,4 milioni di occupati migranti hanno infatti prodotto nel 2016 quasi 131 miliardi di valore aggiunto, l’8,9% del Pil. Poco meno di quel 9% del Pil che l’Istat ha conteggiato come la spesa sanitaria totale nello stesso anno.

Per avere un altro parametro di riferimento, è bene sapere che il valore aggiunto dagli stranieri che lavorano regolarmente in Italia è superiore, secondo il rapporto della Fondazione Moressa, al Pil di Paesi come Ungheria, Croazia o Slovenia.

E, tanto per rimanere con i piedi per terra, può risultare interessante per i cittadini veneti alle prese con il referendum consultivo di domenica prossima il fatto che i 485 mila immigrati residenti e le 47 mila imprese straniere in Veneto (una presenza più alta che nelle altre regioni) nel 2016 hanno prodotto 13,8 miliardi di ricchezza, pari al 10,1% del Pil regionale.

Sono 570 mila le imprese straniere sul nostro territorio, e grazie ai loro contributi (11,5 miliardi quelli previdenziali) e alle imposte versate (7,2 miliardi di Irpef), servizi pubblici e pensioni sono ancora possibili: «Senza immigrati i conti dell’Inps peggiorerebbero – ha detto il presidente dell’Istituto, Tito Boeri, ieri durante la presentazione del rapporto alla Farnesina – Gli immigrati di fatto impediscono che la popolazione italiana sparisca in futuro. I dati demografici dell’Istat stimano una riduzione della popolazione italiana di 6 milioni al 2070 e 3,5 milioni già nel 2040».

Ma è lavoro sottratto agli italiani? Nessuna concorrenza, spiega il direttore scientifico della Fondazione Stefano Solari: si tratta invece di occupazione «complementare» perché gli immigrati – laureati per l’11%, contro il 31% degli italiani – fanno lavori diversi e coprono vuoti lasciati dall’imprenditoria italiana. Così, se è straniero il 74% dei lavoratori domestici, il 56% dei «badanti» e il 52% dei venditori ambulanti, anche il numero di imprese condotte da immigrati continua a salire (+25,8% negli ultimi cinque anni) mentre diminuiscono quelle degli italiani (-2,7% nello stesso periodo). Sono in prevalenza imprenditori marocchini (11%) e cinesi (10%) anche se i bangladeshi sono in aumento. Il fenomeno è particolarmente rilevante in Veneto dove le imprese straniere sono aumentate del 19%, mentre le italiane sono diminuite del 5,2%.

Ecco perché, come ha spiegato il direttore generale delle politiche migratorie della Farnesina Luigi Vignali, «l’economia dell’immigrazione è una vera e propria economia dell’integrazione».

Eleonora Martini 

19/10/2017 IL MANIFESTO

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