Il lavoro si sta mangiando le nostre vite
L’INAPP (l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche)* ha appena pubblicato i risultati di un’indagine sui tempi di lavoro, dalla quale emerge come ormai più della metà degli occupati sia obbligata a lavorare in orari che l’istituto definisce “antisociali”, cioè di notte o nei festivi o di sabato. Ci sono delle professioni, come la sanità, in cui l’orario notturno o festivo dipende dalle caratteristiche del servizio. Ma l’INAPP rileva che c’è una tendenza sempre più forte ad adottare orari antisociali in molti altri settori dove non ce ne sarebbe bisogno, se non per interessi meramente economici.
Assistiamo insomma ad uno sbilanciamento fortissimo dell’orario di lavoro e del sistema delle turnazioni dalla parte degli interessi delle aziende, con la scomparsa del tema dei tempi di vita e della necessità di bilanciare l’organizzazione del lavoro con le esigenze affettive, al riposo, alla socialità ecc. di chi lavora.
Sono tempi di lavoro “antisociali” che impattano, ancor più pesantemente, sulla condizione delle donne e che aumentano, per tutti e tutte, i rischi sul piano della salute e della sicurezza sul lavoro.
Un’indagine che, senza dirlo esplicitamente, ci racconta di come sia cresciuto in modo esponenziale lo sfruttamento nel nostro Paese.
Si sa che il 60% degli occupati in Italia fa gli straordinari, perché le aziende preferiscono non assumere anche di fronte alla carenza di personale o alla crescita dei carichi di lavoro così alti che non basta l’orario regolare per completare le attività. Lo straordinario, il lavoro notturno e nei festivi, compensa in maniera distorta la necessità da parte dei lavoratori di far fronte a salari che sono fermi da anni.
Dai dati che riporta questo studio appare evidente che l’innovazione tecnologica, che doveva avvenire grazie alla nuova Sabatini, ai super ammortamenti e ora al PNNR, non viene utilizzata per aumentare la produttività e ridurre l’orario di lavoro, ma piuttosto si perde nei meandri della speculazione pubblica e privata.
E l’INAPP calcola che addirittura un lavoratore su 6 non riceve alcuna retribuzione per le ore in più di lavoro.
L’indagine, che ha coinvolto 45mila persone tra i 18 e i 74 anni e che vanta quindi un alto tasso di rappresentatività, verrà pubblicata nella sua interezza nei prossimi giorni. L’Istituto ha però voluto anticipare i risultati più clamorosi con un comunicato consultabile qui.
Unione Sindacale di Base
*L’INAPP è un istituto di ricerca pubblico, fino al 30 novembre 2016 si chiamava ISFOL. In occasione del cambio del nome subì un ridimensionamento, perse una parte che si trasformò in ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro), ma riuscì a mantenere il suo carattere di ente di ricerca interamente pubblico grazie anche alla forte battaglia che condusse allora l’USB Ricerca.
Fotogallery
12/2/2023 https://www.usb.it/
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!