Il massacro a Gaza e l’Europa
Non ce lo dicono certo soltanto i numeri irrefrenabili del massacro della gente di Gaza. E nemmeno solo l’orrore con il quale esso avviene oppure le complicità che hanno fatto sì che esso divampasse. Con estrema lucidità, la nostra amica Nuria Alabao, giornalista femminista in Spagna, rileva che, per molti versi, ce lo dicono anche le cifre e le politiche della guerra contro le persone migranti e in cerca di rifugio che arrivano in Europa: i limiti di ciò che è tollerabile si stanno spostando verso l’abisso, in Medioriente, certo, ma anche qui. Eppure, nel frastuono del rumore di fondo del nefasto pantano mediatico, siamo certi che, perfino tra chi legge abitualmente queste pagine, non ci sia sempre la percezione completa di cosa c’entri l’infinita strage di Gaza con il destino delle democrazie europee. C’entra moltissimo, invece. Per molte e diverse ragioni, alcune delle quali vengono elencate in modo assai ben argomentato da questo ottimo articolo di Nuria. L’orrore quotidiano che divampa tra le macerie di Gaza ci rimanda infatti, come in un orrendo specchio, l’attrazione verso il baratro che da tempo attanaglia quel che resta delle logore democrazie nate sulle sponde a nord del Mediterrano. Nuovi razzismi, islamofobia, ritorno dell’antisemitismo, neocolonialismo, logiche emergenziali e securitarie che giustificano disumanizzazione e reificazione, indifferenza verso l’apartheid e perfino verso lo sterminio, repressione di ogni dissenso, censura e autocensura, ostilità diffusa verso la complessità e il pensiero critico… Forme crescenti di violenza crescono. Meglio, molto meglio accorgersene in tempo e dirselo
“Penso che Israele abbia questo diritto”, ha detto il leader laburista britannico Keir Starmer in riferendosi al taglio delle forniture di base a Gaza, mentre il contatore segnalava oltre 8.300 morti, di cui quasi 3.500 minorenni (ieri il conto dell’orrore era già salito a 10.022 con oltre 4mila e cento ragazzi e bambini, ndt). Con il massacro in corso in Palestina non possiamo evitare questa sensazione del raggiungimento di un limite. Se l’Unione Europea, la NATO e gli Stati Uniti permettono questo genocidio, da ora in poi forse vedremo cose molto peggiori. I limiti di ciò che è tollerabile si stanno spostando verso l’abisso, come abbiamo visto nel trattamento dei migranti e dei rifugiati che arrivano in Europa. Cosa c’entra tutto questo con il destino delle democrazie europee?
Ci sono invocazioni all’apocalisse quando si parla dell’arrivo delle estreme destre nelle istituzioni, ma a volte sembrano più uno strumento per puntellare le proprie posizioni di potere che un vero e proprio impulso a difendere principi etici inalienabili (Nuria si riferisce al caso della Spagna dove, a differenza che in Italia, sembra evitato per ora l’ingresso dei fascisti di Vox nel governo nazionale, ndt). Oggi la Palestina ci mette di fronte a uno specchio che deforma i volti della maggior parte dei leader europei, ma la giustificazione del bombardamento degli ospedali e dello sterminio dei bambini va molto oltre la politica professionale. L’islamofobia cresce nelle nostre società, mentre l’identità europea si costruisce sempre più in opposizione a ciò che è musulmano. Se l’Occidente si definisce cristiano, non è per rivendicare una fede, ma per opporsi all’Islam. In questa elaborazione è essenziale costruire i musulmani come altri, come nemici, anche in Palestina.
Santiago Alba Rico ha spiegato la situazione in Palestina come conseguenza del secolare antisemitismo europeo. Esso conteneva due progetti per gli ebrei: uno di sterminio e l’altro di espulsione. Il primo è stato realizzato con successo dal nazismo. L’espulsione avvenne in diverse ondate – tra cui quella del 1492, una delle pietre miliari della fondazione della nazione spagnola – e culminò nel sionismo. La creazione dello Stato di Israele implica questo paradosso: gli ebrei lasciano finalmente l’Europa come auspicato dall’antisemitismo e, una volta lì, diventano la fortezza europea contro l’Islam in Medio Oriente. Questo è stato concordato nella Dichiarazione Balfour della Gran Bretagna, che ha aperto la strada all’espropriazione dei palestinesi del 1917. Solo quando vengono finalmente espulsi dal continente gli ebrei cominciano a esser considerati veramente europei, dice Alba Rico. Israele si identifica con i valori europei – così viene “venduta” l’occupazione e la guerra –, uno Stato che tutela i diritti delle donne e delle persone LGTBI. “Israele come occupante illuminato, come artefice benevolo della pulizia etnica, come uno Stato di apartheid progressista” che sostiene la fantasia di uno Stato democratico laico con sufficiente capitale morale per giustificare l’occupazione della Palestina all’interno e all’esterno del paese, secondo Ilan Pappé.
Il progetto coloniale è ancora in corso in Palestina, dove il ruolo di potenza coloniale nell’area è stato delegato a Israele per fare agli altri popoli quel che l’Europa ha sempre fatto agli ebrei. La colonizzazione, che ha fondato le democrazie occidentali, rimane ancora al centro del suo nucleo. La colonizzazione è disumanizzazione e reificazione; conduce il colonizzatore a rappresentare l’altro come bestia e a trattarlo come tale. Non è strano, quindi, che Netanyahu chiami i palestinesi “animali”, né che li paragoni ai virus o alle malattie, come faceva il nazismo con gli ebrei prima dello sterminio.
Oggi i musulmani sono i nuovi ebrei in Europa. In questo contesto di guerra, lo sfruttamento di nuovi razzismi e crescenti forme di violenza continuano a spingere verso l’abisso ciò che resta della democrazia nello stesso territorio europeo. Il razzismo si nutre di questa disumanizzazione e dell’attribuzione di un minor valore a certe vite che possono così essere annichilite. Lo stesso quadro coloniale che consente la distruzione di Gaza è quello che sta alla base delle morti nel Mediterraneo e del trattamento riservato ai non occidentali che cercano di raggiungere l’Europa. Dall’inizio della escalation della guerra abbiamo assistito anche alla crescita di un sentimento antipalestinese sovrapposto sia alla crescente islamofobia in molti paesi europei, sia alla pericolosa retorica della lotta al terrorismo, storicamente tanto utile a limitare le libertà e a perseguitare le politiche dissidenti. Il governo israeliano – attraverso il Mossad – attacca da tempo movimenti pacifici di solidarietà con la Palestina come il BDS – Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni –, una campagna di pressione affinché Israele rispetti le risoluzioni delle Nazioni Unite. Lo fa inserendoli nelle liste dei terroristi o perseguendo gli attivisti per farli abbandonare le loro azioni di sostegno, come è già successo in Spagna.
In Europa vengono messi in atto sia l’apparato repressivo che altre forme più subdole di repressione e censura. Oggi, sventolare una bandiera palestinese o intonare una canzone a favore della libertà degli arabi nella regione può costituire un reato nel Regno Unito, secondo la ministra degli Interni. In Germania, le manifestazioni a sostegno dei palestinesi sono state vietate, inclusa quella degli ebrei a Berlino, dove una donna israeliana è stata arrestata perché portava un cartello contro la guerra. Un gruppo di artisti e scrittori ebrei ha scritto una lettera per denunciare il clima di razzismo e xenofobia che si respira nel Paese, dove le autorità hanno preso di mira le popolazioni immigrate e le minoranze e dove “minacciano, arrestano e picchiano i civili, spesso in modo violento, solo con il minimo pretesto”. Viene denunciato che a Berlino, il quartiere di Neukölln, dove vivono grandi comunità turche e arabe, è ormai un quartiere occupato dalla polizia. La stessa polizia, che ha arrestato noti attivisti siriani e palestinesi, pattuglia le strade in cerca di segni di solidarietà con Gaza, e nelle scuole sono state bandite bandiere e sciarpe palestinesi. Ma la repressione delle proteste contro la guerra non impedirà gli atti antisemiti che cominciano a verificarsi e che vengono compiuti soprattutto da membri dell’estrema destra, ricordano i firmatari della lettera. L’odio genera odio. Nemmeno il mondo della cultura è estraneo a questo tipo di conflitto e i musei e i centri culturali di tutta Europa stanno cancellando gli artisti palestinesi; mentre alcune università espellono gli studenti e mettono a tacere gli accademici ebrei contro la guerra, come denunciano i docenti universitari britannici.
Se l’Europa vuol prendere atto e porre rimedio alle proprie responsabilità per il suo storico antisemitismo, non può farlo sostenendo che lo Stato di Israele possa fare con gli altri popoli ciò che gli europei hanno fatto con gli ebrei. Deve ammettere le proprie colpe e chiedere scusa anche a tutti i popoli che ha colonizzato e a quelli che ha maltrattato. Per farlo, dovrebbe “prendere sul serio i valori che enuncia pomposamente, difendere i diritti umani e la legalità internazionale, perché da questo dipende la stessa sopravvivenza dell’Europa”, dice Alba Rico. Il giornalista israeliano Gideon Levy ha affermato che è impossibile imprigionare – e uccidere, espropriare, rapire, assediare, sottomettere a pulizia etnica… – due milioni di persone “senza poi aspettarsi di dover pagare un prezzo crudele”, riferendosi ai recenti crimini di guerra di Hamas. Possiamo aspettarci la stessa cosa in Europa per il sostegno a questo massacro. “Nessuno può stupirsi che tutti questi popoli abbandonati finiscano per rifugiarsi in sinistre dittature o in organizzazioni terroristiche o in forme di violenza che ignorano completamente qualsiasi orizzonte democratico”, dice ancora Alba Rico.
Quella minaccia incombe su di noi, così come il suo rovescio trasformato in odio verso i migranti. Sono in gioco le stesse democrazie, perché quando una religione, o un popolo, vengono disumanizzati, questo influisce sulla cultura e sulla politica della società nel suo insieme. L’islamofobia mina la nostra democrazia perché fa crescere le estreme destre che si sviluppano con la creazione di capri espiatori per i problemi sociali. Le politiche criminali delle nostre frontiere sono sostenute anche da questi discorsi di paura. E anche per questo dobbiamo continuare a esprimere ferma opposizione, se serve disobbedendo ai governanti, denunciando sia il massacro in Palestina che le conseguenze che esso genera nelle società europee. Una denuncia che include l’aumento dell’islamofobia, ma anche gli attacchi antisemiti che hanno cominciato a verificarsi. Proprio contro la semplificazione che alimenta il razzismo, gli ebrei non possono essere collettivamente incolpati per le azioni del governo israeliano, così come non bisogna farlo con i musulmani per le azioni militari di Hamas. In tempi di guerra, coloro che soffrono di più sono civili innocenti, siano essi pacifisti israeliani laici, gli ostaggi sequestrati da Hamas, i palestinesi in fuga o coloro che si rifugiano nell’ospedale di al-Ahli, come ci ricorda l’Institute of Race Relations. Il contesto della guerra non può bloccare il pensiero, la pluralità né la nostra capacità di azione. Andremo in piazza per i palestinesi, ma anche per noi.
Nuria Alabao
Fonte e versione originale in spagnolo qui. Nuria è, tra molte altre cose, responsabile della sezione dedicata ai femminismi di Ctxt, Contexto y Acción, una delle espressioni più libere, indipendenti e plurali dell’informazione in Spagna.
Ph. Mohammed Zaanoun for Activestills, la cui pubblicazione su Comune-info è autorizzata dal collettivo dell’agenzia, grazie a Pasquale Liguori
7/11/2023 https://comune-info.net
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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