Il mercato si mangia i servizi pubblici
Accade in Toscana: l’operazione Multiutility, promossa dai sindaci Pd con l’appoggio della destra, trasforma in Spa beni comuni e pezzi di welfare. Ma esiste un’opposizione dal basso che sta mettendo in discussione il progetto
Caduta definitivamente ogni maschera, il vero volto del potere politico in Toscana è quello della Multiutility. Espressione anglosassone che indica una società che si occupa dell’erogazione di più servizi pubblici: da quello idrico a quello di raccolta e smaltimento dei rifiuti, dalla distribuzione di gas alla fornitura elettrica. Ma che nasconde una realtà molto meno edulcorata. Cioè quella di un gigantesco aggregato di società ex municipalizzate solo apparentemente in mano pubblica, che ha spesso bisogno di ricapitalizzazioni miliardarie – generalmente finanziate attraverso la quotazione in borsa – per poter competere in enormi gare di appalto per la gestione dei servizi pubblici locali.
L’ultima frontiera, quella che i cittadini credevano di aver messo al sicuro partecipando in massa al referendum vinto nel 2011, sta per cadere insomma anche in Toscana. In una terra che un tempo era rossa e che adesso è nera per le tonnellate di Keu, lo scarto residuo prodotto dalla concia delle pelli, seppellite in questi anni con il beneplacito di amministratori e politici locali. In una regione che vorrebbero far passare per il Klondike, evocando una nuova corsa all’oro, ma di fatto realizzando alla lettera le stesse ricette liberiste che già non hanno funzionato altrove. Quelle che hanno portato a un aumento dei costi in bolletta, a fronte di minori investimenti e di un servizio peggiore. Come in Lombardia, tra Milano e Brescia, dove opera la Multiutility A2A. O nelle principali città del Piemonte e della Liguria, dove i servizi sono gestiti da Iren. O ancora in Emilia e nel Friuli, dove c’è Hera. Per non parlare del Lazio, con Acea.
Perché Multiutility significa proprio questo: estrazione di profitto da beni inalienabili, da monopoli pubblici messi sul mercato a scapito dei cittadini e a vantaggio dei grandi investitori privati. Dove evidentemente a chiagnere sono i primi e a fottere i secondi. Sotto lo sguardo interessato della politica.
L’unica speranza affinché non si realizzi questo progetto sono i comitati che in Toscana si stanno attivando principalmente sulle numerose vertenze ambientali aperte negli ultimi anni e che rimangono l’ultimo – ma non per forza perdente, come la mobilitazione contro il gassificatore nel territorio Empolese Valdelsa dimostra – baluardo per arginare lo strapotere liberista.
Il progetto Multiutility in Toscana
Il padre putativo di cotanta ingegnosità è un personaggio più che noto. Ex presidente della provincia di Firenze e successivamente sindaco del capoluogo, presidente del Consiglio tra il 2014 e il 2016, attuale senatore di Italia Viva e fresco fresco direttore de Il Riformista: Matteo Renzi. L’idea di questa Multiutility, infatti, nasce proprio quando lui è primo cittadino di Firenze. Negli anni in cui a dirigere Publiacqua, la società di gestione del servizio idrico fiorentino, c’è Alberto Irace. Ovvero colui che è attualmente l’amministratore delegato in pectore della nuova holding. Un manager cresciuto in Acea e presto inviato in Toscana, dove passa appunto da Publiacqua ad Alia, per approdare finalmente al vertice della Multiutility.
Renzi, tuttavia, non si limita a ideare l’impianto di questa mega società che dovrà inglobare le varie partecipate toscane operanti nei servizi elettrici, idrici e di smaltimento rifiuti. Ma una volta al governo gli spiana letteralmente la strada con una riforma – quella sulla pubblica amministrazione firmata dall’allora ministra Marianna Madia – che riduce le possibilità di gestione dei servizi a due opzioni: o sono direttamente gli enti locali a farsene carico («in house») oppure devono essere affidati a una società tramite una gara aperta.
Ed ecco che magicamente il modello Multiutility diventa l’unico possibile, a meno che i servizi non siano già o non si abbia l’intenzione di riportarli «in house». Ma succede di rado, specie se a governare i territori è il Partito democratico. Seppure altre forze non facciano meglio, come bene emerge dalla vicenda della spartizione delle quote di Iren tra Comune di Genova e Comune di Torino tra il 2016 e il 2018.
Il risultato è un’accelerazione di processi che una volta messi in atto sembrano sempre più difficili da arrestare. La finanziarizzazione, giustificata dal fatto che servono enormi ricapitalizzazioni per fare investimenti. La polarizzazione, perché per poter competere in gare di interesse internazionale ci vogliono soggetti grandi e strutturati, più grandi e strutturati possibile. L’allontanamento dei centri decisionali dai territori, perché i consigli comunali contano sempre meno e solo le città principali possono mantenere una qualche voce in capitolo (nel caso specifico solo Firenze). Ma anche perché, come decretato dal Codice civile e dal Testo unico delle società pubbliche, la Multiutility è a tutti gli effetti una società di capitale (nella fattispecie una Spa) e in quanto tale decade per i sindaci dei comuni azionisti ogni possibilità di controllo sulla sua attività ordinaria, in favore del consiglio di amministrazione.
I passaggi
Il progetto, rimasto in gestazione per dieci anni, riemerge con forza nel 2020. I grandi sponsor sono i sindaci di Firenze, Prato ed Empoli (tutti a marca Pd e, fino alla caduta del «gigante», fieramente renziani): Dario Nardella, Matteo Biffoni e Brenda Barnini. Mentre il primo cittadino di Pistoia Alessandro Tomasi (FdI) all’inizio mostra insoddisfazione, ma poi sposa il progetto. Sullo sfondo il nuovo presidente regionale Eugenio Giani.
Ci vogliono altri due anni per arrivare a darle forma e struttura. Inizialmente la Multiutility opererà nel territorio dell’Ato Toscana Centro, quello più omogeneo e anche più popoloso, in attesa di allargare la struttura alle restanti aree della regione. Alla fine del 2022 i consigli comunali di quasi tutti i 67 comuni interessati approvano le delibere che danno il via alla creazione della società e alla contestuale cessione delle quote detenute dentro le partecipate coinvolte nell’operazione. A fine gennaio 2023 arriva l’atto di fusione per incorporazione di queste ultime prima in Alia e poi nella nuova Multiutility: si tratta appunto di Alia Servizi Ambientali, Publiservizi, Consiag e Acqua Toscana. In sostanza, le società che gestiscono il servizio idrico e quello di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella Toscana centrale.
Ma vediamo quali sono le condizioni della neonata Multiutility. Al momento Firenze ha la quota più grande (il 37,1%), a seguire Prato (18,1%), Pistoia (5,54%) ed Empoli (3,4%). Mentre gli altri più di sessanta comuni pesano in tutto il 35,9%. Nel primo nucleo di aggregazione la società detiene circa il 40% delle quote di Entra, il 58% di Publiacqua, il 19% di Acque Spa e il 31% di Toscana Energia. Nel complesso vanta 700 milioni di euro di ricavi annui, ha un margine operativo lordo di 170 milioni e potrà fare investimenti per 170 milioni di euro.
Tutto questo non basta, perché per poter funzionare ed essere competitiva la società ha bisogno di ricapitalizzarsi. Sia perché nel frattempo i comuni dovranno riacquistare tutte le quote delle società partecipate che sono state cedute ai privati negli ultimi venti anni, sia perché si dovranno fare tutti quegli investimenti promessi e solo in minima parte realizzati in questo stesso periodo. Nel complesso si parla di 3,5 miliardi di euro. Una cifra mostruosa che, tuttavia, non sembra spaventare gli ideatori del progetto. Anche perché pur sempre di servizi pubblici, indispensabili e autofinanziati (attraverso le bollette), si tratta. I primi 1,2 miliardi di euro dovranno essere messi dai Comuni. Quindi scatterà la quotazione in Borsa, dalla quale si reperiranno altri 2,3 miliardi di euro.
La foglia di fico dietro la quale i cosiddetti progressisti si nascondono è il mantenimento – per statuto – della maggioranza azionaria in mano pubblica. La Multiutility, infatti, sarà gestita da una holding, in cui il 51% delle quote sarà detenuto dai Comuni. Una foglia di fico, appunto. Visto che comunque di una società di capitali si tratta e visto soprattutto che a guidarne l’operatività sarà il consiglio di amministrazione, il quale avrà come scopo principale la creazione di profitto per poter dividere gli utili con i propri azionisti.
L’opposizione
Il percorso della Multiutility della Toscana non è stato dei più lineari e, a dispetto di una malcelata compattezza, non mancano delle contrarietà interne al fronte promotore. Tali posizioni rischiano, tuttavia, di non avere impatto su un processo di tale portata senza una mobilitazione che riesca ad aggregare pezzi ampi di società.
La speranza in questo senso arriva dai territori, dai comitati e dalle assemblee che in questi anni si sono attivati sulle numerose vertenze ambientali aperte e che in alcuni casi hanno ottenuto anche vittorie importanti. Dalle mamme No inceneritore della Piana fiorentina ai No Keu della Valdelsa e della Valdera, dai movimenti pisani No Base a Coltano ai comitati contro la realizzazione del gassificatore a Empoli, solo per citarne alcune. Proprio quest’ultima mobilitazione – legata a doppio filo alla questione Multiutility, perché l’impianto sarebbe servito come macchina da soldi per la nuova società – ha messo in luce le potenzialità di queste realtà in una fase come quella attuale. Non solo nella capacità di lotta, attraverso l’attivazione di larghi strati di popolazione contro un singolo progetto. Ma anche nell’elaborazione di nuovi modelli teorici a partire da temi complessi come quello della gestione del ciclo dei rifiuti. E ancora nella tessitura di reti con altri comitati e soggetti sociali e politici.
Potenzialità che non si sono esaurite con la sostanziale marcia indietro sul progetto che Comune, Regione e Alia sono stati costretti a fare. Ma che continuano a esprimersi nella più ampia mobilitazione contro la Multiutility stessa. A partire da questa vittoria, infatti, sono state avanzate le prime proposte di referendum comunale per l’abrogazione delle delibere di avvio in territori importanti come Pistoia ed Empoli. E contestualmente si sono formati soggetti più larghi come il Coordinamento dei comitati per il No alla Multiutility e altri hanno trovato nuova linfa e si sono riattivati.
Marco Pagli, giornalista e scrittore. Collabora con quotidiani locali, riviste cartacee e online su temi di economia dei territori e politica locale e internazionale. E’ autore di due libri sulla storia di Empoli e della Valdera.
14/4/2023 https://jacobinitalia.it/
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