Il “modello” Israele influenza anche l’Italia per l’utilizzo di tecnologie di controllo e segregazione

Protesta dei pacifisti israeliani davanti al centro di detenzione di Sde Teiman – Ph: @Celestemarcus3

La Palestina negli anni è diventata il laboratorio per lo sviluppo di queste tecniche

Di Ginevra Canessa 1.

In seguito agli eventi del 7 ottobre, esponenti della politica e del giornalismo italiano hanno aderito all’appello del Foglio “Israele siamo noi”. Il comunicato racchiude il forte coinvolgimento italiano con Israele con frasi come quella del Ministro Fontana “difendere Israele significa difendere la libertà dell’Occidente”. A quale libertà Fontana si stesse riferendo non è chiaro vista l’occupazione militare che Israele infligge dal 1948 in terre palestinesi. Ma è proprio su un modello che le libertà personali e i diritti umani della popolazione, divisa tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, non li rispetta a cui l’Italia si ispira.

Lo Stato italiano intrattiene rapporti politici ed economici con Israele sin dalla sua nascita, tramite accordi bilaterali su energia e sicurezza e la presenza di numerose aziende italiane in territorio israeliano. Tra le più importanti, la Leonardo S.p.a, azienda italiana produttrice di armi che ha visto un forte incremento dei profitti a partire dallo sterminio a Gaza. 

Il concetto del military-industrial complex descrive l’intricato sistema di relazioni tra Stati e aziende private per il commercio di armi e tecnologie di controllo a livello globale. Israele è tra le nazioni più influenti all’interno di questo sistema. L’export principale: la sorveglianza e l’annientamento sistematico della popolazione palestinese, come sottolineato dall’ultimo lavoro di Antony Loewenstein “Laboratorio Palestina”

Negli ultimi mesi Gaza ha svolto infatti la funzione di showroom per l’utilizzo di nuove armi come ad esempio la Iron Sting bomb, prodotta dall’azienda inglese Elbit systems nel 2021 e testata per la prima volta sulla popolazione di Gaza. A differenza di altri missili, la Iron Sting bomb, si caratterizza per una maggiore precisione e forza in grado di penetrare edifici cementati. Fonti dal Ministero della Salute di Gaza hanno riportato le devastanti conseguenze a livello medico per le persone colpite. In seguito all’esplosione, la bomba ha un effetto a frammentazione che causa severe bruciature per chi ne viene colpito. 

La Palestina come “laboratorio” per testare tecnologie di controllo e segregazione precede gli attacchi su Gaza e risale agli anni del mandato britannico. In questo periodo ha origine la detenzione amministrativa, una forma speciale di custodia cautelare, introdotta dalle autorità coloniali britanniche e traslata nell’ordinamento israeliano.

Nella Cisgiordania occupata, una persona può essere trattenuta senza aver commesso nessun reato sulla base di un sospetto da parte delle forze israeliane. L’ordine che regola la detenzione amministrativa prevede il carcere senza accuse ufficiali, a cui i legali dell’accusato non hanno accesso. Prevede inoltre una durata di sei mesi, rinnovabile senza limiti di tempo. Dal 7 ottobre, la detenzione amministrativa ha toccato nuovi record. 

Secondo un rapporto di Amnesty International, la cifra di 1.391 trattenuti del 1° ottobre è infatti salita a oltre 2.070 il 1° novembre. Molte sono inoltre le testimonianze che riportano casi di tortura e morti verificatesi in custodia. Il 23 ottobre, le autorità israeliane hanno annunciato la morte di Omar Daraghmeh, 56enne palestinese trattenuto nella prigione di Megiddo. Daraghmeh era stato arrestato il 9 ottobre nella città di Tubas senza soffrire di nessuna condizione medica. Il referto medico rivela emorragie interne probabilmente causate, secondo la famiglia, da pestaggi all’interno del carcere. 

Il modello della detenzione amministrativa sviluppato da Israele ha negli anni influenzato politiche europee, specialmente nell’ambito della gestione dei flussi migratori. Dalla “crisi dei rifugiati” del 2015, le istituzioni europee hanno finanziato la costruzione di decine di campi di confinamento sia all’interno degli Stati membri che alle sue frontiere esterne. Con il recente Patto sull’Immigrazione, approvato dal Parlamento Europeo agli inizi di aprile 2024, la detenzione amministrativa si estende ulteriormente e diventa un requisito a cui richiedenti asilo si devono sottoporre per la richiesta della procedura d’asilo. 

Le violazioni e gli abusi che avvengono all’interno di campi di confinamento sono ormai un dato di fatto. I governi si riferiscono alle definizioni di ‘accoglienza’ e ‘transito’ quando vogliono enfatizzare un approccio umanitario. Ma sono etichette false, questi termini nascondono in realtà violazioni di diritti umani che avvengono in luoghi confinati a livello sociale e spaziale. In quanto architetture di contenimento, i campi includono infatti la possibilità di mutare la propria funzione a seconda di politiche dall’alto. Ne è un esempio la Serbia, dove da ottobre 2023 è in corso un’operazione militare e di polizia che ha portato a violenti sgomberi da campi di transito e accoglienza in zone di confine. Campi di ‘transito e accoglienza’ sono diventati centri di detenzione amministrativa dove le persone sono trattenute senza alcuna spiegazione e per tempi indefiniti. 

Nel tracciare una connessione tra Israele e le politiche migratorie europee è importante ribadire che la detenzione amministrativa nei confronti della popolazione palestinese si configura in un contesto di occupazione coloniale basata sulla logica di maximum land, minimum PalestiniansNel contesto europeo, la detenzione amministrativa mantiene una logica carceraria tipica dei regimi coloniali: confinamento e segregazione di settori della popolazione non desiderabili. La Palestina è diventata negli anni il laboratorio per lo sviluppo di queste tecniche, importate dall’Europa per il controllo della migrazione e la fortificazione dei confini. 

Con la legge Turco-Napolitano del 1998, anche l’Italia importa il modello della detenzione amministrativa. Nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), le persone straniere possono essere trattenute per una mera irregolarità amministrativa, come la scadenza del permesso di soggiorno. Molto spesso le persone non vengono informate riguardo il motivo del trattenimento e la quasi totale assenza di supporto legale all’interno dei centri alimenta stati di disorientamento e confusione. Le condizioni degradanti e di abuso sistematico a cui le persone trattenute sono sottoposte contribuiscono inoltre al deterioramento della salute, come riportato dalla Colazione Libertà e Diritti Civili nel report Buchi Neri. La gestione dei CPR da parte di aziende private suggerisce come il controllo e la segregazione di settori della popolazione si inquadri nel military-industrial complex. SERCO, azienda inglese specializzata nella gestione dei centri detentivi in Australia e Regno Unito, ha acquisito ORS nel 2022, entrando nel mercato della detenzione amministrativa anche in Italia. SERCO ha inoltre contratti in Israele dove si è occupata principalmente di difesa navale. Sono infine i numeri che parlano chiaro: negli ultimi cinque anni sono 14 le persone che hanno perso la vita all’interno dei CPR. Queste morti non sono incidenti, ma sono frutto di scelte politiche securitarie e criminogene di cui le persone straniere in Italia sono le principali destinatarie. Si inquadrano inoltre in un contesto di profitto che non rispetta la vita ma ne trae lucro. 

Quando i politici italiani annunciano che “Israele siamo noi”, evidenziano il ruolo che Israele già da lungo tempo ha nelle nostre vite.

Per il controllo e la segregazione delle persone straniere, il sistema detentivo italiano trae spunto dalla detenzione amministrativa dei prigionieri palestinesi.

Nel settore della lotta al terrorismo, Israele fornisce programmi di addestramento per i Reparti Speciali della polizia italiana. La legittimazione da parte dell’Italia del progetto sionista coloniale di Israele rivela la fondante ipocrisia delle democrazie liberali. L’auto-rappresentazione di difensori della democrazia e dei diritti umani si combina al supporto militare e ideologico ad un genocidio e a regimi dittatoriali. Si fonda anche sull’importazione di sistemi di controllo e segregazione usati regolarmente in territorio italiano e che non rispettano i più fondamentali diritti umani. Ma d’altra parte l’Italia e l’Europa hanno imparato anche questo da Israele. Un linguaggio emergenziale di lotta al terrorismo e difesa nazionale rimane la soluzione migliore per implementare misure carcerarie anti-costituzionali contro cittadini italiani e non. 

Di fronte al genocidio di Gaza, l’ipocrisia delle democrazie liberali è più evidente che mai. Se ne sono rese conto le migliaia di persone che protestano ogni settimana contro l’occupazione e il genocidio in Palestina, i gruppi di azione nonviolenta e di boicottaggio del progetto sionista, e gli studenti che non accettano collaborazioni accademiche con università israeliane. La società civile ha espresso la sua posizione su Israele. L’élite della democrazia liberale continua a promuovere la sua farsa. 

  1. Sono laureata con un Master in Diritti Umani presso la London School of Economics and Political Science. Ho svolto attivismo nel Regno Unito con Soas Detainee Support per contrastare la detenzione amministrativa di migranti e rifugiati. Al momento mi trovo in Serbia come referente per la comunicazione di No Name Kitchen.

30/4/2024 https://www.meltingpot.org/

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