Il movimentismo al tempo del covid 19

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Il protrarsi dell’emergenza sanitaria mondiale ha prodotto, tra le altre cose, un moltiplicarsi di gruppi e aggregazioni di vario genere, che agiscono in prevalenza sui social e in alcuni casi organizzano proteste di piazza. Naturalmente i temi riguardano da vicino i gravi problemi legati alle restrizioni imposte dalla pandemia.

Si distinguono, in particolare gli oppositori alla “dittatura sanitaria” ( no vax, no mask, negazionisti vari) che abbiamo visto in azione anche come inseguitori di ambulanze per dimostrare che è tutto finto, un teatro allestito per oscuri motivi, con il personale ospedaliero impegnato in allegre festicciole. I numerosi gruppi di ” no vax” esprimono, con differenti gradi di violenza, lo scetticismo e i dubbi sull’opportunità di sottoporsi ai vaccini contro il coronavirus. Si va dalle fantasiose ipotesi di microchip installati con il pretesto della vaccinazione, alla rivelazione di contenuti improbabili, al limite della stregoneria.

Purtroppo queste estremizzazioni emergono anche nel mondo reale, fuori dai social, ad esempio nelle parole di un parroco di Cesena che durante l’omelia tuona contro i vaccini, prodotti, sostiene, con feti abortiti( ed appositamente concepiti). Il livello di aggressività può essere abbastanza alto, sia nelle manifestazioni di piazza contro le misure del governo, sia in forma di attacchi verbali a chi indossa la mascherina (io mi sono sentita apostrofare “collaborazionista”…) o peggio ancora a chi chiede il rispetto delle regole; sui social gli attacchi di gruppo seguono vere tattiche d’assalto, uno squadrismo mediatico piuttosto incivile, in cui i fanatici si coalizzano e tempestano di messaggi spesso standard chi propone o esprime pareri contrari al loro.
I più moderati si dedicano all’allarmismo generalizzato sugli effetti collaterali, il livello delle sperimentazioni, i meccanismi di azione del vaccino, gli interessi delle case farmaceutiche. C’è da dire che la comunità scientifica a volte offre visioni e dati diversi che possono essere interpretati in maniera differente.
La realtà è che si tratta di una malattia poco conosciuta, della quale anche gli studiosi non conoscono tutto. Questo tipo di informazione di protesta non rende un buon servizio a coloro che magari hanno preoccupazioni o dubbi legittimi, e che finiscono per essere etichettati come negazionisti tout court.

Molto più seri, tragicamente seri, i comitati, i gruppi, le pagine che si propongono di diffondere informazioni scientifiche attendibili, i dati sull’andamento della pandemia, ed anche condivisione di esperienze dei malati e delle terapie adottate. Ha un particolare significato il “ Comitato popolare verità e giustizia per le vittime del covid 19” costituito da cittadini che vogliono la verità sulle scandalose mancanze e le responsabilità della gestione del pronto soccorso di Alzano Lombardo nel febbraio 2020 e che vogliono un reale cambiamento strutturale della sanità.

Un altro grande fronte di discussione, che ormai assomiglia a tifoseria, è quello relativo alla scuola.

In tutta Italia, sono sorti, e si moltiplicano, comitati e gruppi di opposizione alla didattica a distanza, attivata in sostituzione della scuola in presenza, anche in questo anno scolastico, negli ordini di scuola superiori, e in parte, in alcune regioni e in alcuni periodi, anche nell’infanzia e nella primaria. Il dibattito sulla scuola in presenza vede in campo movimenti ( diciamo “ aperturisti”, convinti che la scuola sia luogo sicuro ) come “ Priorità alla scuola” e la recente “ Rete nazionale scuole in presenza “( che ha raccolto una ventina di gruppi diversi) ed altri, come “ Scuola bene comune”o “ La scuola non è malattia, non c’è istruzione senza salute” che ritengono prioritaria la sicurezza, non garantita. I gruppi sono composti di genitori, insegnanti, studenti,organizzazioni sindacali. Le rivendicazioni sono diverse, ma sarebbe opportuno sottolineare sempre che tutti considerano la scuola in presenza insostituibile. Per tutti la didattica a distanza è faticosa ed insoddisfacente.

Cambiano, fondamentalmente, le opinioni sulla sicurezza delle scuole in relazione al contagio e di conseguenza la pericolosità riconosciuta alla frequenza della scuola in presenza. È molto difficile, però, sostenere in modo intellettualmente saldo una posizione o l’altra, per diverse ragioni: primo fra tutti, la mancanza di certezze sull’effettiva incidenza dei contagi in ambito scolastico.

Ci sono studi contrastanti, al riguardo, e anche i pareri degli esperti sono ambigui ed ondivaghi, non concordi.
Nella prima fase della pandemia, la primavera e l’estate scorsa , si sono via via modificati protocolli e parametri per consentire la riapertura delle scuole a settembre, ignorando però le uniche necessarie misure che avrebbero consentito, probabilmente, la frequenza a tutti gli studenti : aumento degli spazi, riduzione numero degli alunni, tracciamenti accurati, adeguamento dei trasporti,ecc.
Misure imponenti, strutturali, che richiedono pianificazione e grande sforzo economico e politico.

L’altro fattore che condiziona la decisione sulla scuola in presenza è squisitamente politico- sociale ed ha a che fare (soprattutto per i bambini più piccoli) con la difficoltà dei genitori di conciliare attività lavorativa e custodia dei figli ( i più piccoli hanno anche necessità di essere seguiti durante la didattica a distanza).I media e i social danno molto più risalto alle richieste di apertura delle scuole che alle posizioni differenti.

I rischi concreti di pretendere la riapertura “ whatever it takes” per dirla alla Draghi, sono molteplici: da un lato, l’ accantonamento delle misure necessarie alla sicurezza scolastica ; tutti quei provvedimenti che da oltre un anno vengono invocati e ignorati, le richieste a cui si risponde con misure alternative (come, esempio paradigmatico, i famigerati banchi a rotelle) non vengono più dati per imprescindibili, perchè la scuola DEVE riaprire. La pressione sociale induce a decisioni che tendono ad accontentare la piazza, senza che esistano davvero le condizioni per riaprire in sicurezza.

L’altro grande danno collaterale è la contrapposizione di genitori ed insegnanti, e/o tra insegnanti “appassionati“ e “ fannulloni” o pavidi.

Questa frammentazione all’interno della comunità scolastica, che avviene per lo più nell’assoluta incertezza scientifica, è particolarmente deleteria per il futuro della scuola, perchè produce un clima che favorisce provvedimenti demagogici e che soddisfano altri interessi rispetto a ciò di cui la scuola ha davvero necessità.

Chissà quale forza e quali effetti si potrebbero ottenere con un’azione compatta, incisiva, non disposta ad accontentarsi di misure d’accatto, decisamente irricevibili, come ridurre i parametri di sicurezza (indimenticabile l’accorciamento dei due metri di distanza ad un metro tra rime buccali) per legittimare un rientro praticamente nelle stesse condizioni del pre-pandemia, solo con aggiunta di mascherine e gel disinfettante.
Strategia fallimentare, visto che ad un anno di distanza si continua a dover fronteggiare gli stessi numeri di decessi e contagi.

Loretta Deluca

Insegnante Torino. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Articolo pubblicato sul numero di aprile del mensile

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