Il movimento universitario pro Gaza
Il mondo universitario e il boicottaggio accademico e culturale si sta rivelando il nuovo fronte caldo nel conflitto israelo-palestinese.”Un grappolo di studenti universitari ha più coraggio, integrità e passione per la giustizia dell’intero establishment giornalistico, politico e legale dell’intero mondo occidentale”. In effetti questi ragazzi stanno prendendo il controllo dei campus universitari in tutto il mondo, rischiando sospensione o espulsione, per la ragione più nobile.
“Una schifezza antisemita che dovrebbe sollecitare una mobilitazione di chi lavora nelle università europee.”[1] Questo il garbato commento, alcuni anni fa, di una nota firma del giornalismo italiano all’approvazione a grande maggioranza di una mozione di sostegno al boicottaggio accademico e culturale di Israele da parte degli studenti, docenti e altro personale della SOAS, Università di Londra. Il popolare opinionista concludeva la sua argomentazione chiedendosi “a quando una raccolta di firme tra gli accademici europei contro l’antisemitismo dei loro colleghi londinesi?” Oggi, forse ancora in attesa di risposta, rilancia deciso a proposito della strage in corso a Gaza: si tratta chiaramente di una “caccia all’ebreo!”[2]
Quanto sta accadendo nelle università americane, tuttavia, sembra indicare un diverso genere di caccia. Nel giro di pochi giorni, in decine di campus universitari degli Stati Uniti sono stati istituiti “accampamenti” solidali con Gaza, rivendicando lo spazio come “zone liberate” e “università popolari per Gaza” e chiedendo pacificamente di cessare il fuoco e interrompere la collaborazione accademica con Israele. Intorno agli accampamenti sono stati eretti pannelli dipinti con messaggi del tipo “Rivelare, disinvestire e riparare” e “In solidarietà con Gaza per sempre”. In altri, gli studenti manifestanti hanno piantato tende, unendo le braccia a propria protezione dopo essere stati minacciati di arresto. E così via, in oltre cento campus in tutto il paese. È il più grande movimento studentesco dalle proteste contro la guerra che travolsero le università statunitensi negli anni ’60.
Il più grande movimento studentesco contro la guerra dal ‘68
Il fenomeno si sta diffondendo anche al di fuori degli Stati Uniti, in molte altre università europee ed extraeuropee. Nelle ultime due settimane sono state segnalate oltre 160 azioni e 125 accampamenti in solidarietà con la Palestina in almeno 17 Paesi. La richiesta comune degli studenti è quella di disinvestire dalle compagnie che sostengono Israele e la guerra a Gaza.[3] Eppure, in risposta a queste pacifiche proteste studentesche contro la guerra, contro ciò che la Corte Internazionale di Giustizia ha definito come compatibile con il crimine dei crimini, il genocidio, molte università hanno sollecitato l’intervento repressivo della polizia. Innocue manifestazioni studentesche, di un genere considerato normale negli ultimi sessant’anni, sono state accolte dalla dura risposta di una polizia militarizzata[4] e da un atteggiamento senza precedenti di criminalizzazione da parte degli amministratori universitari. L’Associated Press ha registrato almeno 61 incidenti dal 18 aprile con oltre 2.400 persone arrestate durante le proteste in 47 campus.[5]
“Un grappolo di studenti universitari ha più coraggio, integrità e passione per la giustizia dell’intero establishment giornalistico, politico e legale dell’intero mondo occidentale” ha twittato qualcuno.[6] In effetti questi ragazzi stanno prendendo il controllo dei campus universitari in tutto il mondo, rischiando sospensione o espulsione, per la ragione più nobile.
Oltre a ciò, le 24 ore di violenze che hanno messo fine alla occupazione della UCLA (Università della California, Los Angeles) hanno visto agitatori sionisti nel campus circondare gli studenti che manifestavano contro le atrocità israeliane in corso a Gaza. In un video, si vede una donna che sventola una bandiera israeliana gridare agli studenti: “Andate in Palestina. Spero che vi violentino”.[7] Secondo il grande movimento ebraico, Jewish Voice for Peace (JVP), “vigilantes sionisti mascherati, fuori dal campus, hanno tentato di abbattere l’accampamento degli studenti. Li hanno picchiati con mazze, lanciato mattoni, spruzzato gas lacrimogeno e sparato petardi contro i manifestanti, il tutto mentre la polizia stava a guardare”. Gli stessi fatti erano riportati dal nostro RAI TG3 come “scontri tra manifestanti pro-Israele e pro-Palestina”.
JVP si sofferma in dettaglio nel descrivere come gli agitatori filoisraeliani in tutto il paese stiano facendo tutto ciò che è in loro potere per diffamare i manifestanti e ottenere la chiusura degli accampamenti con la forza. Quando un uomo che sventolava una bandiera israeliana si è presentato all’accampamento di solidarietà con Gaza della Northeastern University (Boston, Massachusetts) e ha gridato “uccidete gli ebrei”, l’università in risposta ha fatto arrestare 100 studenti pro-Palestina. L’amministrazione dell’università ha giustificato la repressione citando in una dichiarazione la “minaccia antisemita”, ma trascurando di specificare che a fare quella minaccia era un provocatore filoisraeliano. JVP conclude: ”È chiaro che l’unica violenza che si verifica nei campus degli Stati Uniti è perpetrata dallo stato e dagli agitatori sionisti. Eppure, i media statunitensi e i politici pro-genocidio hanno fatto di tutto per ritrarre le pacifiche manifestazioni studentesche contro la guerra come violente folle antisemite, al fine di giustificare la sempre più brutale repressione del diritto di protestare.”
Perché una reazione così violenta
Senza dubbio, niente fa più infuriare l’establishment economico-politico di una manciata di accademici che dimostrano di avere un impatto sul mondo esterno costringendo a vedere con altri occhi le relazioni USA/Occidente-Israele[8] e spostando i sondaggi, per la prima volta, a favore di chi si oppone all’operato di Israele. È quanto sta accadendo con la campagna in corso per vietare le critiche a Israele nei campus universitari sulla falsa base che si tratta di antisemitismo. Gli intensi sforzi diretti a tale scopo suggeriscono che Israele indubbiamente vede l’accademia come un luogo di lotta politica. Da anni lo stesso Netanyahu, che già aveva definito il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (o B.D.S.) guidato dai palestinesi una “minaccia strategica” alla esistenza di Israele,[9] vede con preoccupazione il boicottaggio accademico alle università israeliane e il crescente sostegno alla causa palestinese nei campus statunitensi. Come risposta, riferisce The Nation[10], ha creato un fronte segreto per spiare, molestare, intimidire e mettere a tacere studenti, docenti e gruppi universitari americani che lottano per i diritti dei palestinesi. Fondamentale in questo sforzo è la poco conosciuta Israel on Campus Coalition (ICC), con sede a Washington.
Legata sia all’intelligence israeliana che all’AIPAC[11], l’ICC utilizza informatori studenteschi appartenenti a organizzazioni universitarie ebraiche e filoisraeliane negli Stati Uniti per raccogliere informazioni su studenti e gruppi filopalestinesi. Il suo direttore Jacob Baime, alla telecamera nascosta di un attivista infiltrato, ha descritto l’organizzazione come fondamentalmente un “comando militare israeliano clandestino” che raccoglie dettagli segreti su studenti e docenti americani filopalestinesi per poi passarli al Ministero degli Affari Strategici israeliano. Una volta trasmessi all’intelligence israeliana, questi dati possono essere utilizzati in operazioni segrete per “schiacciare” studenti e docenti, nell’espressione di Baime. L’obiettivo è l’intimidazione, il tutto senza timore di essere chiamati a rispondere o di rivelare legami diretti con il governo israeliano. La segretezza è quindi fondamentale. In “The trial of Israel’s campus critics”,[12] David Theo Goldberg e Saree Makdisi rivelano che almeno 33 organizzazioni tra cui, oltre alla potentissima AIPAC, l’Organizzazione Sionista d’America, l’Amercan Jewish Congress, il Jewish National Fund e StandWithUs sono membri e affiliati della Israel on Campus Coalition. Queste organizzazioni, scrivono Goldberg e Makdisi, non sono interessate alle “sottigliezze dello scambio intellettuale e del processo accademico. L’insinuazione, l’accusa e la diffamazione sono diventate le armi di prima istanza per rispondere alle argomentazioni e alle critiche rivolte alle politiche israeliane”. Un armamento strategico di tale violenza a difesa dell’accademia israeliana è indicativo di quanto essa sia fondamentale nel progetto coloniale di Israele.
«È un’allegoria di quello che succede in Palestina», ha detto a Il Manifesto Tai Min, ventenne studentessa di sociologia, mentre l’accampamento veniva rifortificato. «Come succede ai Palestinesi, siamo stati letteralmente bombardati dall’esterno per poi essere accusati di essere terroristi ed antisemiti». Ed il paradigma dell’antisemitismo continua a prevalere su molta stampa mainstream e nelle dichiarazioni di politici.[13]
La complicità dell’accademia israeliana
Come descritto in profondità dalla ricercatrice ebrea-israeliana dell’Università della British Columbia, Maya Wind, “le università israeliane sono state progettate e costruite per fungere da pilastri dell’ingegneria demografica regionale e dell’espropriazione palestinese”.[14] Considerando l’iper-militarizzazione di questa società, è inconcepibile pensare che l’accademia funzioni in una bolla. In realtà, in Israele, l’accademia è coinvolta in modo molto connaturato in ogni aspetto del progetto coloniale. “Nessun rettore universitario ha denunciato la distruzione da parte di Israele di tutte le università di Gaza.[15] Nessun rettore universitario ha chiesto un cessate il fuoco immediato e incondizionato. Nessun rettore universitario ha mai usato le parole ‘apartheid’ o ‘genocidio’. Nessun rettore universitario ha chiesto sanzioni e disinvestimento da Israele” denuncia il giornalista Premio Pulitzer Chris Hedges. Al contrario, essi “riformulano il dibattito sul danno agli ebrei piuttosto che sul massacro quotidiano dei palestinesi” permettendo agli aggressori – lo stato sionista e i suoi sostenitori – di dipingersi come vittime. “Questa narrazione, che si concentra sull’antisemitismo, permette ai centri di potere, compresi i media, di bloccare il vero problema: il genocidio.”[16]
Le narrazioni – letterarie, storiche, antropologiche, ecc. – sono informate da, e a loro volta informano, la dinamica del potere e la politica. E poiché la produzione ufficiale di conoscenza sancita dallo Stato è concentrata nell’accademia, diventa ovvio che non c’è una “torre d’avorio”, un luogo di attività intellettuale che non si traduca nella pratica sul campo. Tutti i governi, a cominciare da Stati Uniti e Israele, si affidano a think tank composte da specialisti dei vari settori, laureati nelle università più prestigiose e spesso professori e borsisti. Tutta la produzione di conoscenza assume quindi connotati politici, la scienza o la scholarship non è neutrale e l’accademia non esiste isolata dal mondo in cui è immersa. Ne consegue che più una società è militarizzata, più la sua accademia è complice. Gli accademici, e le università in cui producono conoscenza, se non vogliono essere parte del problema, devono essere parte della soluzione.
Perchè il boicottaggio accademico
Alcuni sostengono che il boicottaggio accademico sia contrario alla libertà accademica perché “blocca gli scambi accademici e intellettuali” – ma la “libertà” che si dovrebbe proteggere è solo la libertà degli accademici israeliani, poiché il diritto palestinese all’istruzione è gravemente minacciato. Lo “scuolicidio”, o annientamento totale dell’istruzione in Palestina, era iniziato già prima del bombardamento di tutte le undici università di Gaza con l’annullamento sistematico della vita educativa e del diritto all’istruzione nell’intera Palestina occupata.[17] In realtà, i palestinesi non hanno libertà accademica, quindi ciò che si proteggerebbe in nome della “libertà accademica” è il privilegio dell’oppressore.[18] In effetti, come dimostra l’assalto a professori e studenti che hanno criticato Israele, se la libertà accademica non è disponibile per i palestinesi, non lo sarà nemmeno per gli accademici statunitensi. E la libertà accademica è stata negata ai palestinesi, non solo per legge, ma attraverso un continuo assalto da parte di Israele, il cui intento ultimo è quello di negare alla Palestina la capacità di riprodurre la sua cultura o di educare il suo popolo. Prima ancora che gli accademici palestinesi chiedessero il boicottaggio accademico di Israele[19], dei 9000 membri israeliani dell’accademia israeliana a cui un gruppo di studiosi palestinesi aveva scritto una lettera chiedendo di appoggiare la loro richiesta di revocare le restrizioni alla libertà di movimento degli studiosi palestinesi, non più di 400 avevano accettato di firmare la lettera. Il resto – circa il 90% – non avrebbe denunciato nemmeno le varie chiusure che sconvolgono l’anno scolastico palestinese.[20]
Come scrive la professoressa sudafricana Shireen Hassim sul ruolo delle università nella creazione e mantenimento dell’apartheid in Sud Africa: “Le istituzioni di istruzione superiore non sono al di fuori dei rapporti di potere nella società. Sono implicati nella difesa, nell’elaborazione e nell’applicazione delle tecnologie del potere e nell’addestramento delle élite che usano quel potere. Sebbene gli usi distruttivi delle scienze naturali e fisiche – per esempio lo sviluppo di meccanismi efficienti di uccisione – siano riconosciuti, anche gli scienziati sociali sono implicati – per esempio, nello sviluppo di argomenti antropologici e filosofici sulla presunta inferiorità razziale dei popoli colonizzati.”
E in italia?
Anche il mondo universitario italiano si sta facendo sentire con settimane di mobilitazione in tutti gli atenei seguite in decine di città da manifestazioni contro gli accordi di collaborazione universitaria e di ricerca tra Italia e Israele. Queste iniziative hanno preso il via da una lettera che docenti, ricercatori, tecnologi e personale delle università e degli enti di ricerca, hanno pubblicato lo scorso febbraio chiedendo al Ministero degli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale (MAECI) la sospensione del bando per progetti di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele per il rischio di dual use e violazione del diritto internazionale e umanitario. Alla lettera hanno fatto seguito mozioni rivolte ai senati degli atenei e ai CdA degli enti di ricerca affinché́ prendano posizione contro la partecipazione al bando del MAECI. La Scuola Normale Superiore di Pisa, le Università̀ di Torino, Bologna e Bari e il CNR hanno aderito agli appelli adottando delibere critiche del bando o sospendendo la loro partecipazione a esso. Ma gli attivisti sono consapevoli che il bando è solo la punta dell’iceberg del più ampio problema delle commistioni tra università̀, industria bellica e complicità̀ con il sistema di occupazione e apartheid in Palestina. Gli studenti tornano a chiedere il boicottaggio contro gli istituti di ricerca israeliani come anche “le dimissioni dei rettori della fondazione Med-Or di Leonardo Spa”.[21]
Conclusione
Mentre Israele cerca febbrilmente di correggere la sua immagine gravemente offuscata, mascherando i suoi crimini con una facciata di eccellenza accademica e culturale e accusando di antisemitismo (se non addirittura usando la violenza fisica contro) chi non si allinea alla sua narrazione, il mondo universitario e il boicottaggio accademico e culturale si sta rivelando il nuovo fronte caldo nel conflitto israelo-palestinese.
Angelo Stefanini. Medico, volontario del PCRF (Palestinian Children’s Relief Fund), ex-direttore OMS nella Palestina occupata.
[1] https://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/commento-delleditorialista-pierluigi-battista-al-boicottaggio-antisionista-promosso-da-un-importante-universita-britannica/
[2] https://www.la7.it/tagada/video/medio-oriente-volano-stracci-tra-peter-gomez-e-pg-battista-25-10-2023-510057
[3] https://www.pressenza.com/it/2024/05/india-messico-giappone-regno-unito-australia-francia-canada-usa-la-protesta-pro-palestina-continua-in-tutto-il-mondo/
[4] https://it.euronews.com/2024/05/02/proteste-universita-stati-uniti-polizia-a-ucla-a-los-angeles-contro-manifestanti-pro-gaza
[5] https://www.voanews.com/a/student-protests-mostly-muted-some-arrests-on-virginia-campus-/7598465.html
[6] Tiberius @ecomarxi
[7] https://www.jewishvoiceforpeace.org/2024/05/01/will-they-crush-the-biggest-student-movement-since-vietnam/?sourceid=1001761&emci=22ba2e9d-3007-ef11-96f3-7c1e521b07f9&emdi=4db8f9db-e807-ef11-96f3-7c1e521b07f9&ceid=196629
[8] https://electronicintifada.net/content/why-we-must-boycott-israeli-universities/12945
[9] https://www.theguardian.com/world/2015/jun/03/israel-brands-palestinian-boycott-strategic-threat-netanyahu
[10] https://www.thenation.com/article/world/israel-spying-american-student-activists/
[11] American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) è la più potente lobby americana a favore dello Stato di Israele.
[12] David Theo Goldberg e Saree Makdisi, “The trial of Israel’s campus critics”, Tikkun, settembre/ottobre 2009, a tikkun.org
[13] https://ilmanifesto.it/scontri-e-repressione-la-polizia-sgombera-gli-studenti-dellucla?_sc=NTc5MTYxNyMyMjU1OA%3D%3D
[14] https://jacobinitalia.it/torri-davorio-e-acciaio/
[15] https://edition.cnn.com/middleeast/live-news/israel-hamas-war-gaza-news-01-20-24/h_06d1fdd709d1c7ef793f4afc27df029e
[16] https://chrishedges.substack.com/p/revolt-in-the-universities
[17] https://theconversation.com/the-war-in-gaza-is-wiping-out-palestines-education-and-knowledge-systems-222055
[18] https://www.saluteinternazionale.info/2014/02/sul-boicottaggio-accademico-di-israele/
[19] https://bdsitalia.org/index.php/campagna-bac/317-appello-pacbi
[20] Shireen Hassim citata da Nada Elia, The brain of the monster, in The case for sanctions against Israel, 2012, Verso.
[21] https://www.ilsole24ore.com/art/le-proteste-campus-usa-riaccendono-mobilitazioni-anche-italia-AFMINtpD
Angelo Stefanini
13/5/2024 https://www.saluteinternazionale.info
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