Il nemico interno: Il movimento NoTap a processo
Che cos’è la violenza ?
Quanto ne è permeato il nostro ordinamento giuridico ?
Il diritto penale è uno strumento per combatterla o per esercitarla?
L’11 settembre a Lecce, in due luoghi diversi della città, avranno
inizio in contemporanea le udienze per il maxiprocesso contro il
movimento No TAP e quelle contro i vertici della società Trans Adriatic
Pipeline.
Luoghi diversi, dicevo, perché 92 compagne e compagni salentini che in questi anni si sono oppost* alla devastazione del loro territorio verranno processat* nell’aula bunker attigua al carcere della città, mentre i 19 imputati di TAP e appaltatori si accomoderanno presso il tribunale di Lecce.
L’utilizzo delle aule bunker per i
processi ai movimenti fa ormai parte di una tradizione consolidata,
inaugurata nove anni or sono dalla magistratura di Torino che scelse
l’aula bunker del carcere delle Vallette per il dibattimento a carico di
due sindaci della Val Susa, inquisiti per una manifestazione No TAV.
Una decisione finalizzata evidentemente ad equiparare i movimenti per la
difesa ambientale e sociale alla lotta armata di quasi mezzo secolo fa
ed alla criminalità organizzata di ieri e di oggi, a cui l’aula in
questione era destinata.
Quei sindaci vennero assolti, ma la criminalizzazione rimase.
Contro il movimento No TAV venne ancora ampiamente utilizzata l’aula
bunker, così come gli strumenti della legislazione emergenziale
sviluppati contro le organizzazioni armate ed applicati a un’opposizione
popolare1.
La scelta della location ebbe un successo che riuscì travalicare i confini del Piemonte.
A Modena, come ci racconta su Carmilla
Giovanni Iozzoli, l’aula bunker adiacente al carcere viene usata per i
procedimenti contro gli operai e i sindacalisti del Si Cobas “colpevoli”
di lottare alla Alcar Uno e all’Italpizza, in un territorio che ha
fatto già da scenario al tentativo (fallito) della procura di
trasformare le vertenze per la regolarità salariale in reato di
estorsione, il riscatto della dignità del lavoro in attività
delinquenziale.
Domani l’aula bunker del carcere di Lecce vedrà alla sbarra 92 compagne e compagni salentin*, riunit* in un maxiprocesso potpourri che accorpa tre procedimenti diversi, per fatti avvenuti in tempi e luoghi differenti.
La
contestazione più frequente, con buona pace dei diritti costituzionali,
riguarda il reato di manifestazione non preavvisata, attribuito a
soggetti responsabili di aver “sventolato bandiere ed esibito striscioni con la scritta No TAP” , “usato il megafono per lanciare appelli e slogan“, “usato un fischietto per attirare l’attenzione dei passanti“.
Alcuni sono accusati di violenza per aver tentato di impedire il
transito delle autovetture di TAP stendendosi sul cofano col proprio
corpo, o ponendosi di fronte alle macchine.
E’ questa, dunque, la violenza, per gli esegeti del codice penale.
Fra gli imputati di domani vi sono anche
i 52 che il 9 dicembre 2017, dopo un corteo contro il gasdotto,
raggiunsero a piccoli gruppi attraverso le campagne uno dei cancelli
posti a delimitazione dell’area di cantiere di San Basilio (Melendugno),
fermandosi ad intonare dei cori di protesta.
Sulla via del ritorno vennero inseguiti nei campi dagli agenti in tenuta
antisommossa, con lanci di lacrimogeni e con l’elicottero della polizia
di Stato che calava bassissimo sulle loro teste.
Vennero catturati, ammanettati e costretti in ginocchio fra pietre e
rovi, con i cellulari requisiti per impedire che chiamassero gli
avvocati, aggrediti coi manganelli ad ogni tentativo di protesta.
Una delle ragazze inseguite dagli agenti, che era caduta rompendosi una
gamba, rimase a lungo senza soccorso. L’ambulanza del 118, giunta a San
Basilio su chiamata di altri manifestanti, venne infatti bloccata al
varco e respinta dalle forze dell’ordine, che poi si preoccuparono di
portare la compagna non all’ospedale ma alla questura di Lecce.
All’interno della questura, gran parte dei fermati vennero chiusi per
ore nelle celle di sicurezza senza poter andare in bagno per molto
tempo.
Le donne venivano accompagnate fin sulla soglia dei bagni da agenti di
sesso maschile, e una delle compagne ha avuto modo di denunciare insulti
sessisti e omofobi giunti a suo carico.
Solo dopo ore di attesa sotto la pioggia battente, gli avvocati presenti
vennero informati del fatto che tutti i manifestanti sarebbero stati
rilasciati, e che nei loro confronti sarebbe stata formalizzata una
denuncia a piede libero per i reati di riunione non preavvisata,
inosservanza dei provvedimenti dell’autorità ed accensioni pericolose2.
Con queste accuse andranno domani a processo, dovendo affrontare la
violenza di un giudizio che li vede sul banco degli imputati e non su
quello delle parti lese e, prevedibilmente, l’ulteriore violenza
dell’impunità riservata ai loro aggressori.
Inutile dire che le loro denunce per il trattamento subito rimangono
ancora “in fase di indagine e a carico di ignoti”, perché nel Belpaese –
come altrove – l’obbligatorietà dell’azione penale è uguale per tutti,
ma per qualcuno è più uguale che per altri.
Fra
i militanti del movimento molti hanno già ricevuto pesanti sanzioni
amministrative (soprattutto per blocco stradale) per aver tentato di
ostacolare la costruzione di un’opera devastante, climalterante,
platealmente speculativa.
Multe insostenibili per giovani disoccupati e precari o per chi vive del
proprio lavoro, con mutuo e figli a carico, in una regione del sud e in
tempo di crisi.
La repressione economica è una forma di violenza ampiamente utilizzata
contro i movimenti, secondo un copione ancora una volta sperimentato in
Val di Susa3.
Una forma di violenza particolarmente ricattatoria, nel momento in cui
costringe a mettere su un piatto della bilancia la difesa della propria
terra, e sull’altro quanto costruito col lavoro di una vita.
Al momento gravano sul Movimento No TAP € 240,000 per sanzioni
amministrative a carico dei militanti e € 70,000 per spese legali.
Gravano le sanzioni comminate tramite i
decreti penali di condanna per le violazioni dei fogli di via,
distribuiti dalla questura a piene mani4.
Grava indirettamente il prezzo pagato da chi ha perso il lavoro a causa
delle restrizioni nella libertà di movimento, visto che molti
destinatari dei fogli di via da Melendugno lavoravano come dipendenti
negli alberghi delle sue marine.
Ma al di là dei risvolti economici, al
di là dei manganelli e delle restrizioni alla libertà personale, la
violenza più grande è quella degli uliveti espiantati, dei fondali
marini distrutti, dei pozzi avvelenati, dei danni irreversibili causati
alla Natura.
Alcuni
aspetti di questa violenza saranno oggetto del processo contro i
vertici di TAP: le violazioni delle prescrizioni della VIA, i lavori
svolti in assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche,
paesaggistiche ed edilizie, gli espianti irregolari.
L’inquinamento delle falde attorno al pozzo di spinta, avvelenate con
nichel, arsenico, manganese, bromo e soprattutto cromo esavalente, un
potente cancerogeno e genotossico5.
Tutte violazioni al vaglio di una magistratura che non ha comunque
fermato il cantiere, attuate all’interno di una Zona Rossa sottratta al
controllo popolare per decreto prefettizio, perpetrate davanti a un
nutrito schieramento di forze dell’ordine che non solo non le ha
bloccate, ma le ha difese manu militari contro una popolazione che
voleva impedirle.
Non mi aspetto, dati i precedenti sull’impunità di chi inquina (dal
disastro di Seveso all’Ilva di Taranto …), che qualcuno paghi per tutto
questo.
Il diritto penale ambientale è strutturato per tutelare il profitto, e non nei tribunali otterremo giustizia.
Ma nel coltivare la capacità di una risposta dal basso, a partire dalla
abilità del Movimento di trasformare il terreno della criminalizzazione
giudiziaria in una occasione di lotta, in un momento di verità.
Sostieni la Cassa di resistenza No TAP !
Ci siamo.
L’11 settembre partirà il maxi-processo
contro 92 attivisti notap, colpevoli di aver lottato per difendere un
territorio e un ideale.
Quasi cento imputati riuniti in un’aula bunker, di massima sicurezza,
come fosse uno di quei processi che fanno la storia dell’avvocatura
Italiana.
E noi, in quell’aula, la faremo davvero la storia!
Perché continueremo a camminare a testa alta, rivendicando i diritti di
un intero territorio, perché non ci tireremo indietro davanti a chi
cerca di imporre un modello di sviluppo anacronistico e imposto.
Perché siamo sempre più convinti di non essere nel torto.
Tutto il territorio é a processo quel giorno.
Tutta quella popolazione che, unita, continua a dire NO a chi vuole
costringerci a un sistema estrattivista che non ci appartiene.
Lo stesso 11 settembre andranno a processo anche i vertici di TAP e le
ditte esecutrici dei lavori, per reati a nostro giudizio ben più gravi.
E noi saremo presenti anche a quel processo, perché la nostra lotta non
si ferma davanti a nulla, la nostra lotta va avanti sempre più forte.
Non si potrà mai processare la voce di una lotta che cerca di difendere il futuro.
Il nostro crimine è soltanto quello di essere in grado di sognare…
Movimento No TAP
Alexik
10/9/2020 https://www.carmillaonline.com
- Per approfondire: Livio Pepino (a cura di), Come si reprime un movimento: il caso TAV. Analisi e materiali giudiziari, Quaderni del Controsservatorio Valsusa, Edizioni Intra Moenia, 2014. ↩
- Avv. Elena Papadia, Difendere i Difensori della Terra. un dossier sulla repressione dei movimenti salentini, opuscolo dell’Associazione Bianca Guidetti Serra, ottobre 2018, pp.56. ↩
- Per approfondire: Prison Break Project, Ultimi sviluppi della criminalizzazione delle lotte: la “repressione economica”, p. 9, luglio 2015. ↩
- Alcune sentenze, come questa, ne hanno ratificato l’illegittimità. ↩
- Agostino di Ciaula, Il rilascio di cromo esavalente da opere realizzate nel cantiere TAP impone la rapida adozione di misure finalizzate alla tutela di ambiente e salute, ISDE, 12 agosto 2019. ↩
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