Il nodo del reclutamento di massa

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente

spiana un bosco e sfracella cento uomini.

Ma ha un difetto:

ha bisogno di un carrista

(B. Brecht)

Tra i programmi ed i preparativi di guerra della borghesia non poteva mancare la questione del reclutamento umano. Che sia fatto per coscrizione obbligatoria, che si faccia ricorso a mercenari o a specialisti ad alte paghe, le “risorse umane” restano il problema principale anche in presenza di perfezionamenti e progressi degli armamenti. Naturalmente il capitalismo si accompagna alla ideologia con esso coerente e, in generale, usa tutta la gamma delle armi a sua disposizione: consenso e obbligo, persuasione e violenza, ombra del nemico straniero e fanatismo nazionalistico, insomma, ogni sorta di strumento per convincere gli strati sociali subordinati e, in particolare i proletari, ad andare al massacro di molti per gli interessi di pochi ed il frasario che mette in atto il governo Meloni è perfettamente in linea con quegli interessi.

Le “belle parole”, la propaganda di vario livello però non bastano e non sono certo l’unico mezzo che il governo usa per i preparativi di guerra. La dichiarazione più importante della ducetta è quella data ai soldati in Libano il mese scorso quando Meloni ha affermato che: “…la pace è soprattutto deterrenza e sacrificio”. Parole chiare che vogliono dire più armi per dissuadere l’avversario e disponibilità al sacrificio di vite umane: ecco il programma del governo ed ecco i fatti. Abbiamo già scritto sulla presenza “educativa” dei militari nelle scuole ma siamo ancora alla propaganda che però si fa più insistente e penetrante. Gli accordi di collaborazione tecnica e scientifica con gli stati guerrafondai, sempre per restare nell’ambito delle istituzioni scolastiche, puntano a ben altro che all’arricchimento culturale e non possiamo che esprimere la nostra solidarietà e la nostra vicinanza militante agli studenti in lotta contro gli accordi di guerra tra le università, in particolare quelle israeliane, ancora più difficili da accettare dopo che lo stato sionista ha raso al suolo tutte le università palestinesi e gli istituti formativi.

fatti del governo italiano proseguono con gli acquisti di ogni tipo di arma a partire dagli F351 il cui primo esemplare fu assemblato in Italia a marzo del 2015. Per chi si fosse accorto solo da poco delle manovre imperialiste dell’Italia ricordiamo che fu il parlamento del governo Conte Uno nel 2019 ad approvare l’acquisto di altri otto velivoli e confermare il piano di armamento2. Su questo piano il governo Meloni non contraddice il suo avversario politico e rilancia con la nuova generazione di questi caccia stavolta dotati di predisposizione al trasporto di bombe nucleari. Segue a ruota l’acquisto di un satellite da 300 milioni a fini di sicurezza nazionale – così dice il leghista Minardo, presidente della commissione parlamentare difesa – approvato col voto favorevole del PD e assente – guarda un po’ chi – il M5Stelle! In tutto, in questa sola legislatura siamo già a quota 12 miliardi di spesa in armi ma per la deterrenza auspicata da Meloni ancora ce ne vorrà.

Aerei, carri armati, sommergibili e strade ferrate di cui abbiamo già parlato ma a “guidare e manovrare” tutti questi sistemi occorreranno mani e menti umane. I capitalisti ne sono perfettamente consapevoli e affrontano il problema non solo nelle stanze delle direzioni ma anche sulla stampa. Il numero di “The Economist” del 17.04.24 dedica un ampio servizio all’esame del reclutamento militare dal titolo esplicito: “Moriresti davvero per il tuo paese?”. Il sottotitolo non è da meno: “La coscrizione militare è all’ordine del giorno nel mondo ricco”. Noi ci sentiamo di aggiungere, senza tema di smentita, che la questione è all’ordine del giorno di tutti i proletari, in armi e no, che stanno combattendo nel mondo.

Partiamo da questi materiali avvertendo che ci sono termini e definizioni su cui è necessario un supplemento di interpretazione. Ad esempio, nei primi righi di quell’articolo si cita “…il normale periodo di arruolamento di quattro anni” cui sarebbero sottoposti i giovani olandesi. A noi che siamo abituati a considerare l’ex arruolamento per obbligo di leva intorno ai 15 mesi in via ordinaria, questo appare un indicatore di vocazione bellicista che in realtà non trova corrispondenza: l’arruolamento di cui si parla riguarda la ferma volontaria che è altro dalla coscrizione obbligatoria. Il servizio militare obbligatorio in Olanda è stato sospeso (non abolito!) nel ’96 e da allora si è proceduto col normale arruolamento volontario che ora il governo intende implementare. Quest’avvertenza non inficia l’importanza dei contenuti dell’articolo del settimanale edito a Londra3 e che nutre di grande considerazione negli Usa.

Da paese a paese cambia l’uso di alcuni termini “tecnici” ma noi siamo interessati soprattutto alla tendenza alla guerra e questa si manifesta nel modo più vistoso con la corsa agli armamenti. Uguale importanza, ma visibilità molto minore, tocca alla ricerca tecnologica: il mito dell’arma “segreta” capace di risolvere o capovolgere l’esito di una guerra resta un fattore presente da sempre in tutte le imprese belliche e soprattutto in quelle di lunga durata. Naturalmente non escludiamo di voler considerare le volontà politiche che sfociano nella guerra, le crisi economiche, gli obiettivi che gli stati si pongono.

La variabile di maggiore importanza resta, almeno fino ad oggi e ancora almeno per il medio termine, quello dell’impiego della forza umana sul campo di battaglia e tutti gli sforzi per l’impiego e lo sviluppo della meccatronica, della robotica ancora non sfociano in una soluzione dal carattere sostitutivo. Per l’impiego umano diretto non si tratta di un problema tecnico ma di riflessi e collegamenti con questioni sociali della massima importanza e con forti implicazioni che fanno di questa variabile una vera e propria questione.

Tornando alle definizioni, in Italia intendiamo per “leva” un obbligo che riguarda un’intera classe di età fissata intorno al raggiungimento della maggiore età (19anni) e riferita anche al termine di un ciclo di studi previsto anch’esso dalla legislazione. In molti paesi, al di là dell’uso di questo termine, il servizio militare obbligatorio riguarda la coorte dai 19 fino ai 21 anni. Queste poche essenziali definizioni sono l’occorrente per distinguere la leva obbligatoria dal problema della composizione (più o meno specialistica, mercenaria, di massa, …) delle forze armate e, ancora, per distinguere il servizio di leva in condizioni “normali” dalla chiamata alle armi per mobilitazione generale a fini di guerra probabile o imminente.

Abbiamo quindi tre questioni (col termine intendo un complesso di problemi, volontà e condizioni): la leva obbligatoria, la mobilitazione generale, la strutturazione delle forze armate e tutte vanno esaminate nei loro due fondamentali (non unici) aspetti: la volontà politica delle parti in guerra e le condizioni sociali.

Nel mentre i governi studiano opportunità, tempi e modi delle misure in materia non stanno certo a guardare e la prima attenzione si rivolge – da almeno due anni con crescente intensità – alle forze di “prossimità”: i riservisti. Anche in questo caso vale l’avvertenza, se vogliamo studiare in profondità la questione, di considerare le differenze formali tra paesi e di ponderare i dati ponendo a base le rispettive popolazioni. Ad esempio, Israele dispone di 400mila riservisti ma il numero diventa più rilevante se si rapporta ad una popolazione di poco meno di 10milioni di abitanti – si tratta di un’intera popolazione in armi. In confronto i 19mila riservisti della Germania sembrano una cifra risibile. Altro dato interessante è l’impegno di Danimarca, Norvegia e Svezia a mobilitare una percentuale significativa e crescente di donne e ad innalzare numericamente tutto il contingente. La Svizzera, ancorchè neutrale per definizione, dispone di 300mila riservisti ma questa appare più come una tradizione “culturale”, di costume che una volontà di cimento bellico, sebbene le sorprese in questo campo non mancano mai. Il paese europeo che ha dato la maggiore accelerazione in materia è la Francia che è giunta in un sol anno alla cifra di 77mila riservisti ma si ripromette i più ambiziosi obiettivi in armonia con i suoi interessi coloniali mai sopiti del tutto, spesso gestiti in sordina con minima esposizione mediatica.

L’articolo di “The Economist” cita anche le diverse propensioni di popolazioni differenti a “lavorare” nell’ambito delle forze armate. Si tratta di considerazioni condivisibili e ragionevolmente vere anche senza ricorrere ad indagini sofisticate. Rimandiamo alla lettura di quelle citando solo le causali generiche: reddito, istruzione, aspettative di vita e disponibilità occupazionali.

Questa situazione generale suggerisce di considerare in maniera differente i paesi per i quali tentiamo una tipizzazione. I paesi a bassa popolazione che citavamo prima si affacciano tutti sul Baltico e per quest’ultimi spesso si invoca il peso dell’effetto Russia sulle loro decisioni ma in tutta franchezza e conoscendo sulla base dell’esperienza il valore della propaganda, sia per la preparazione sia per la conduzione di un conflitto, siamo propensi a credere che l’effetto nasca dall’alto e venga proposto per influenzare le popolazioni, per prepararle opportunamente. In altre parole gli scenari di guerra presentati come difensivi sembrano ragionevolmente preparativi di natura offensiva e coincidenti con l’espansionismo della Nato.

Il governo Meloni si distingue per la più ipocrita delle ipocrisie con parate militari e volti severi e marziali della ducetta e del suo accompagnatore Crosetto e con la continua produzione di comunicati di pacifica verginità. Brilla Salvini che condanna le dichiarazioni di Macron e grida che mai nessun italiano andrà in guerra anche se smentito dall’attenzione bellicista del suo partito, gestita dal presidente della commissione difesa, il già citato Minardo. E’ a lui che dobbiamo l’aver rispolverato la legge 119 introdotta dal governo Draghi e “lavorata” dall’allora ministro della difesa Guerini – ora PD ed ex democristiano. Questa legge non ha avuto seguito per le note vicende politiche del governo Draghi e per l’assenza dei decreti attuativi della stessa che non furono emanati all’epoca.

La propaganda di Salvini, ora pacifista e/o neutralista, si può attribuire senza tema di smentita al metodo del terrore positivo: è una definizione forse del tutto originale ma che si spiega facilmente con la pratica propagandistica di negare affermando. Non siamo quindi sorpresi dalla sua recente maggiore attenzione all’instaurazione della leva ed i suoi “contrasti d’opinione” col ministro Crosetto: ne discuteremo in un prossimo articolo dedicato all’Italia nel quale cercheremo di smascherare anche le fintopposizioni che trovano più conveniente e meno dispendiosa la produzione ed il commercio di armi e che questa avvenga senza “gli effetti secondari” della discesa sul campo di guerra.

Tornando alla legge 119 (approvata nell’agosto 2022, quindi elaborata, considerando i numerosi passaggi istituzionali, almeno un anno prima) questa è centrata sui riservisti ed è condita dalle consuete dichiarazioni di ipocrisia come quelle di Cavo Dragone che avverte che i riservisti “…non saranno mandati necessariamente in prima linea”; come quelle di Crosetto che ne sottolinea gli scopi pacifici e di difesa; come quelle di Mattarella che tesse sperticate lodi degli uomini in divisa che difendono tutti i cittadini della patria.

Altra copertura che valutiamo del tutto propagandistica è l’effetto Trump. Molti stati europei si preparano ad una annunciata riduzione, da parte del probabile prossimo presidente Usa, della quota dei finanziamenti destinati all’armamento per la difesa dell’Europa, cosa che costringerebbe i paesi del vecchio continente ad impegnarsi nella formazione di un esercito targato UE. Allo stato attuale appare impossibile un’impresa del genere visto che nessuno degli storici ostacoli a questo pio desiderio è stato rimosso o significativamente ridotto. Il fatto che se ne discuta e che si facciano piani, anche se diversi da stato a stato, mostra comunque la tendenza in atto al rafforzamento militare in armi e forza umana di ciascuno degli stati dell’UE4.

Potremmo aggiungere qui alcune considerazioni sulle condotte belliche considerando alcuni aspetti che certamente variano da guerra a guerra ma che comunque ripropongono aspetti nuovi delle guerre moderne e condotte belliche del passato che non si ripresenteranno più, salvo possibili circostanze particolari di alcune battaglie ma questo non vuol dire che il sacrificio umano di vite proletarie, arruolate o meno, e della cd popolazione civile si spenga nella tecnologia, anzi è esattamente il contrario. Rispetto agli sbocchi delle iniziative degli stati è certo che in fondo al percorso c’è la mobilitazione generale. Possiamo ragionevolmente sostenere che essa procederà con una discreta varietà di forme ed intensità secondo i paesi ma che comunque richiederà la ricerca di una corretta presa di posizione da parte nostra sullo svolgimento dei fatti il cui corso prevediamo.

Note

1 ) Ricordiamo che la “nostra” Leonardo dal 2017 (precedentemente Finmeccanica) fa parte dell’équipe di costruttori dell’F35 insieme alla Lockeed Martin (Usa) e alla Bae Systems (GB).

2 ) La vicenda degli F35 ha avuto fasi alterne e su hptts://sbilanciamoci.info c’è una puntuale e precisa ricostruzione dei fatti che proponiamo pur non condividendo la linea politica che non conduce fino in fondo una conseguente critica di sistema.

3 ) Nel 2015 la holding finanziaria olandese Exor ha acquisito il controllo del gruppo editoriale cui fa capo la rivista che tira quasi un 1,6 milioni di copie e che è ritenuta “…in assoluto la fonte d’informazione più autorevole da parte del pubblico statunitense” – fonte Wikipedia

4 ) Segnaliamo “il Sole 24ore” del 15 marzo 2024, e seguenti.

15/5/2024 https://pungolorosso.com/

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