Il nuovo disordine mondiale. La lunga frontiera della guerra in Europa
prima parte
L’eredità della Guerra Fredda, terminata senza che si fosse verificato un conflitto armato di grandi proporzioni in Europa, pareva configurarsi in un “nuovo ordine mondiale” a egemonia statunitense nel quale guerre a bassa intensità restavano confinate a quella “periferia” dove l’auto-dissoluzione dell’Unione Sovietica aveva aperto ampi spazi all’espansione dell’imperialismo occidentale e dove le guerre condotte dalle super e medie potenze potevano essere definite “interventi umanitari”.
Ma, a dispetto delle aspettative, l’eredità della Guerra Fredda è la guerra calda, e il suo epicentro è l’Europa.
FRONTE DELL’EST
La via per la ricolonizzazione dei Paesi dell’Est Europa è stata aperta dai bombardamenti NATO sulla Jugoslavia nel 1999. Mentre i grandi della finanza transnazionale, coperti dall’ombrello dell’Alleanza Atlantica, puntavano al controllo delle vie del petrolio e del gas, l’invasione dell’imprenditoria occidentale ha fruttato ingenti profitti alle aziende che là hanno investito e delocalizzato la produzione approfittando delle privatizzazioni, imposte dall’FMI, delle imprese statali o autogestite e dei conseguenti bassi salari. La liberalizzazione dell’economia ha causato un rilevante esodo di lavoratori impoveriti costretti ad emigrare verso quei Paesi dell’Europa occidentale responsabili dell’aggressione armata e sponsor delle cosiddette “rivoluzioni democratiche” in Slovacchia (1998) Romania (1998), Serbia (2000), Georgia («rivoluzione delle rose», 2003), Ucraina («rivoluzione arancione», 2004), Kirghizistan («rivoluzione dei tulipani», 2005)1. Le condizioni di supersfruttamento cui devono sottostare questi lavoratori qui da noi le conosciamo tutti.
La transizione al sistema economico pienamente capitalistico, oltre ad avere agevolato l’affermarsi sul piano economico e politico di oligarchie in molte repubbliche ex-sovietiche2 e in Ucraina3 in particolare, ha prodotto, nelle nazioni dell’Est europeo, una nuova classe imprenditoriale che si è largamente avvalsa dei fondi strutturali messi a disposizione dall’UE per favorire l’integrazione economica dei nuovi membri alle regole del capitalismo occidentale. La crescita economica che ne è conseguita (in termini di PIL pro-capite, non necessariamente di benessere materiale e sociale della popolazione) ha incoraggiato – forse inaspettatamente – spinte e ideologie nazionaliste-sovraniste sostenute proprio dalle nuove dirigenze che vedono ampliarsi notevolmente le opportunità di trarre profitti sempre più ingenti da investimenti diretti in competizione e, anche, in contrapposizione agli interessi di Paesi dell’Europa occidentale.
LA GUERRA DEGLI AFFARI IN UCRAINA
In competizione, per esempio, si pongono le nuove dirigenze negli enormi affari che si prospettano riguardo alla ricostruzione dell’Ucraina post-bellica per la quale le imprese polacche si sono già ben posizionate. Intellinews, agenzia di stampa con sedi a Berlino e Tallin, informa che «il 15 e 16 febbraio si è svolta a Varsavia la fiera Rebuild Ukraine, alla quale hanno partecipato centinaia di rappresentanti di istituzioni governative e imprese di paesi dell’Europa centrale come Cechia, Estonia, Lettonia, Polonia e Slovacchia, oltre che dell’Europa occidentale. La Polonia è stata più volte indicata come un hub per la ricostruzione dell’Ucraina. La Polonia è la più grande economia dell’Europa centrale e orientale (CEE), ha un lungo confine con l’Ucraina e Varsavia è stata uno dei più fedeli sostenitori di Kiev da molto prima dell’invasione della Russia»4.
Resta inteso che gli Stati presteranno i capitali necessari agli imprenditori e che saranno questi ad incassare i profitti delle opere della ricostruzione: normale trasferimento della ricchezza dal pubblico (cioè dai lavoratori) al privato.
In contrapposizione alla “vecchia Europa” e ai suoi programmi di “sviluppo”, le dirigenze di questi Paesi dell’Est Europa promuovono propri progetti infrastrutturali, compresi quelli riguardanti l’approvvigionamento energetico, in perfetta sintonia con i propositi delle Amministrazioni statunitensi in quanto tesi a compromettere definitivamente le relazioni di partenariato tra Europa Unita e Russia (nel corretto politichese si dice “dipendenza dell’Europa” dal gas russo).
Tra gli affari più lucrosi, naturalmente, c’è quello del gas e delle pipeline che lo trasportano.
LA GUERRA DEL GAS NEL MAR NERO
Che il basso costo dell’energia proveniente dalla Russia sia stato uno dei fattori che ha maggiormente facilitato lo sviluppo economico nei Paesi dell’Europa occidentale e abbia, in particolare, favorito la crescita economica della Germania è un fatto. Questo fatto è stato alla base della interconnessione energia russa-tecnologia tedesca che ha fatto dell’Europa un temibile concorrente per l’economia americana e per i giochi geostrategici della superpotenza. Inceppare il motore trainante del progresso e dell’espansione tecnologica europea privandolo del suo carburante è stato per almeno due decenni un non dichiarato obiettivo statunitense.
Nel 1991, il 95% delle esportazioni di gas russo verso l’Europa avveniva attraverso l’Ucraina; nel 2021 la quota era pari a circa il 42%. Dal canto suo la Russia, che da anni forniva a Kiev energia a prezzi irrisori pagando contemporaneamente le royalties dovute per il transito attraverso la pipeline sul territorio ucraino, ha inteso sganciarsi da questa dipendenza finanziando e impegnandosi nella costruzione del gasdotto North Stream 1 e, in seguito, del North Stream 25, destinato a trasportare il gas russo verso la Germania passando sotto il Mar Baltico e, quindi, aggirando l’Ucraina. Un’impresa fino dall’inizio osteggiata da Washington6, così come la realizzazione del Turkish Stream che, con il ramo serbo (Balcan Stream), trasporterebbe il gas naturale russo proveniente da Turchia e Bulgaria attraverso la Serbia fino all’Ungheria raggiungendo l’Europa attraverso l’Austria.
Indipendentemente dall’interesse a commerciare il proprio gas liquefatto trasportato via mare, ciò che preme a Washington è proprio interrompere gli assi orizzontali di trasferimento dell’energia, assi corredati da corridoi infrastrutturali che permettono alle potenze dell’Est (Russia e, soprattutto, Cina) di espandere la propria influenza economica nel vecchio continente fino al Mediterraneo e di predisporsi a difenderla con insediamenti militari.
Sostituire questi corridoi orizzontali con percorsi verticali di infrastrutture e pipeline (Baltic Pipe) che convoglino, tra l’altro, il gas della Norvegia verso le regioni orientali dell’Europa, incluse Polonia e Ucraina, fino al porto conteso di Odessa è obiettivo condiviso tra Washington e Varsavia. Così come condiviso è il progetto di interconnettere in direzione sud la regione baltica con quella mediterranea, dalla Lituania alla Croazia: la Polonia diventerebbe potenza regionale dominante in questa vasta area, e gli Stati Uniti otterrebbero di dividere l’”Europa Unita” attraverso una nuova cortina di ferro che separi i fedelissimi Stati orientali dai riluttanti dell’Ovest.
In questa prospettiva diventa chiaro come il controllo del Mar Nero, passaggio chiave alle acque del cosiddetto mare caldo, sia diventato una questione di grande interesse strategico.
IL MARE DELLA GUERRA
«(…) Ora, c’è un’attenzione crescente a Washington, a Bruxelles e nelle capitali occidentali ma soprattutto si è consolidata la determinazione, una volta messo al sicuro il Baltico con l’allargamento dell’alleanza a Svezia e Finlandia, a collocare il Mar Nero al centro della strategia della NATO. La senatrice democratica Jeanne Shaheen e il senatore repubblicano Mitt Romney hanno sollecitato in modo bipartisan il presidente americano Biden a elaborare una strategia per il Mar Nero e spingere per una maggiore presenza militare e impegno economico degli Stati Uniti nella regione. Mara Karlin, assistente segretario alla difesa Usa, ha sostenuto che “la regione del Mar Nero è un’area di fondamentale importanza geostrategica ed è un nodo chiave per le infrastrutture di transito e le risorse energetiche (…) Continueremo a incoraggiare una più profonda cooperazione tra alleati e partner del Mar Nero per scoraggiare e difenderci dall’aggressione in corso della Russia in Ucraina e nella più ampia regione del Mar Nero. Questa cooperazione include ulteriori sforzi per aumentare la condivisione delle informazioni per costruire una consapevolezza comune nel settore marittimo e oltre”. Ciò significa che nella regione del Mar Nero “gli Stati Uniti continueranno a lavorare con gli alleati della NATO per far avanzare la modernizzazione militare per affrontare la minaccia militare della Russia, anche attraverso una migliore postura ed esercitazioni per migliorare la sicurezza e la prosperità della regione”»7.
Karlin parla di incoraggiare la cooperazione tra i partner del Mar Nero e gli alleati della NATO. Sì, ma i Paesi dell’Europa occidentale membri dell’Alleanza non hanno interessi comuni con i partner americani del Mar Nero al di fuori delle relazioni di interscambio con alcuni Paesi rivieraschi. I partner affidabili per Washington non sono quelli che, non avendo la forza politica di fare altrimenti, si disciplinano alle direttive NATO, ma quelli, come gli Stati baltici e la Polonia, che ne condividono gli interessi strategici e possibilmente contemplino l’opzione militare per perseguirli.
LA POLONIA SCENDE IN CAMPO PER COMPETERE SUL MAR NERO
Le guerre che danno forma alle frontiere politiche ed economiche nel 21° secolo – e che prospettano il costituirsi di nuovi blocchi contrapposti Occidente e Oriente – le grandi o le maggiori potenze usano combatterle con il sangue altrui scatenando conflitti in aree “di crisi”. Così scorre il sangue delle popolazioni dell’Ucraina nella guerra che, comunque si voglia pensare che sia iniziata, oppone ora gli Stati Uniti alla Russia. Ma, nel contesto della complessa interdipendenza dei sistemi nazionali nel mondo attuale, le potenze regionali con aspirazioni globali crescono di importanza.
Per quanto allineata alle prescrizioni di Stati Uniti e NATO, la classe dirigente polacca lavora in proprio e per i propri interessi, e, per quanto la riguarda, euroscetticismo e adesione formale alla UE a leadership geostrategica americana non si pongono in contraddizione8.
Da anni la Polonia si è posta alla guida di un gruppo di Paesi dell’Europa centro-orientale con il fine di sbarrare la via orizzontale degli scambi tra Europa centrale e Russia – costituita dai corridoi del petrolio, del gas e delle infrastrutture – creando un asse verticale per il transito dell’energia che, partendo dalla Lituania, arrivi alla Croazia e interconnetta i bacini del Mar Baltico, del Mar Nero e del Mediterraneo. Lo scopo è quello di cancellare l’egemonia economico-politica degli Stati euroccidentali incoronando la Polonia come prima potenza. E di offrire alla sua classe dirigente, oltre che ai falchi dell’imprenditoria internazionale, opportunità di investimenti e profitti protetti dalla “NATO dell’EST”.
Al prezzo di un intervento militare contro la Russia in Ucraina per arrivare primi sul mercato della ricostruzione e, in un futuro prossimo, associare l’Ucraina al grande gioco della Three Seas Initiative. Questa sarà la nuova frontiera, e non è detto che sarà una frontiera pacifica.
LA THREE SEAS INITIATIVE, I TRE MARI
L’iniziativa dei tre mari (Baltico, Mar Nero, Adriatico) è stata lanciata nel 2016 da Polonia e Croazia, con l’adesione successiva della Romania.
Attualmente la piattaforma comprende dodici Paesi membri dell’Unione Europea (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovenia e Austria).
Obiettivo dell’Iniziativa è proprio quello di creare una rete continentale di infrastrutture di trasporto, pipeline e tecnologia digitale secondo una direttrice Nord-Sud in contrapposizione a quella Est-Ovest che, dai tempi della Guerra fredda, ha avuto un ruolo predominante nel rifornire di energia l’Europa occidentale. Si tratta, dunque, di sganciare l’UE dai suoi più importanti partner commerciali via terra, la Russia e la Cina, di acquisire un più rilevante peso politico ed economico nell’Unione e di diventare l’interlocutore privilegiato di Washington nel Continente favorendo, tra l’altro, una molto maggiore affluenza del gas naturale liquefatto (Gnl) americano sulle piazze europee e garantendo un’efficace copertura militare sul fianco Est della NATO.
Già Trump, partecipando al vertice di Varsavia del 2017, aveva assicurato il proprio appoggio alla TSI anche in relazione alle prospettive di vendita del Gnl (molto più costoso di quello russo e non solo) e dell’esportazione di tecnologie militari9. Nel giugno 2022 il Segretario di Stato americano Blinken ha sottolineato l’interesse degli Stati Uniti a sostenere l’Iniziativa in ambito economico e, in particolare, militare (senza dimenticare la disponibilità dei Paesi aderenti allo sviluppo del nucleare sui propri territori). Scrive Blinken: ≪La guerra scelta dal Presidente Putin ha evidenziato l’importanza fondamentale di forti infrastrutture di trasporto. Le strade, le ferrovie e gli aeroporti della regione sono stati utilizzati dalla NATO per spostare personale e attrezzature al fine di rafforzare il fianco orientale dell’Alleanza. (…) Il fatto che queste reti siano utilizzate anche per condividere informazioni sensibili tra alleati e partner rende la loro sicurezza e resilienza ancora più cruciali. In ciascuna di queste tre aree prioritarie, i Paesi membri di Three Seas stanno adottando misure significative, spesso con il sostegno degli Stati Uniti. (…) Stiamo lavorando in tutta la regione per sostenere lo sviluppo di un’energia nucleare sicura, pulita e conveniente, dalla fornitura di supporto tecnico all’aiuto nello sviluppo di progetti con la tecnologia dei reattori statunitensi. E in quasi tutti gli Stati membri, il settore privato statunitense è da tempo la principale fonte di investimenti diretti esteri al di fuori dell’Europa. Alcune delle aziende americane di maggior successo parteciperanno al Business Forum del vertice, a testimonianza delle prospettive che vedono nella regione. (…) sono lieto di annunciare che il DFC [Development Finance Corporation] fornirà nuovi importanti finanziamenti per il Three Seas Investment Fund, che catalizzerà ancora più investimenti privati nella regione≫10.
In sintesi, mentre gli Stati Uniti cercano di abbattere la concorrenza economica e geopolitica russa e cinese in Europa e nel mondo marginalizzando nel contempo l’economia europea, la Three Seas Initiative offre la sponda militare per realizzare gli intenti dell’Amministrazione.
Già nel novembre 2021, poco prima dell’invasione russa, Andrew A. Michta, personalità accademica legata a importanti think tank americani, spiegava quale fosse la valenza militare dell’Iniziativa. «Oltre all’evidente impatto economico della TSI, vi è un chiaro imperativo geostrategico per la comunità transatlantica di investire nelle infrastrutture dell’Europa centrale, con un impatto diretto sulle capacità militari della NATO e sulla pianificazione operativa degli Stati Uniti. Il corridoio “intermarium” [attuale TSI] è ancora alle prese con le infrastrutture ereditate post-imperiali, in particolare le sue reti di trasporto che hanno favorito i flussi. (…) I 700 chilometri previsti di nuova ferrovia ad alta velocità devono essere classificati secondo lo STANAG [Standardization Agreement] della NATO per lo spostamento di attrezzature militari. Affinché la NATO rafforzi la deterrenza lungo la frontiera e risponda efficacemente alla pianificazione della guerra di nuova generazione della Russia, l’infrastruttura esistente est-ovest deve essere integrata dalla necessaria connettività nord-sud. A questo proposito, la Three Seas Initiative è trasformativa, ampliando le opzioni di pianificazione operativa e rafforzando così la deterrenza lungo il fianco orientale»11. E guerra fu.
Agli Stati Uniti, la TSI offre la possibilità di potenziare la capacità militare della NATO e la pianificazione operativa degli Stati Uniti nel Mar Nero contro la Russia e nei Balcani per contrastare l’avanzare dell’influenza cinese in Europa. Ma anche per isolare la Turchia ad Occidente. E, in ogni caso, la partecipazione dell’Ucraina, che ha ottenuto lo status di partenariato, al progetto è condizione necessaria per aprire la navigazione attraverso il Mar Nero. La Polonia interverrà, dunque, nel conflitto armato?
Ripeto, la costruzione di questa frontiera non sarà necessariamente un processo pacifico.
Del resto, al di là del fatto che “volontari” polacchi sono già attivi sul fronte ucraino12, è l’ex segretario generale della Nato Anders Rasmussen, già consigliere ufficiale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo quanto riporta il Guardian e come asserisce il Fatto Quotidiano nel gennaio 202313, a sostenere che la Polonia sarebbe il primo Paese NATO a considerare di intervenire in armi, al di fuori dell’Alleanza, se quest’ultima non dovesse dare sufficienti garanzie per l’ingresso di Kiev al suo interno.
Gli Stati Uniti e gli europei occidentali no, non li vogliono mettere gli scarponi sul terreno, ma quello che sta diventando il più grande esercito europeo è già pronto a fare della lunga frontiera un terreno di scontro militare che arriva potenzialmente fino all’Adriatico.
(Fine prima parte– continua)
Valeria Poletti
10/9/2023 https://www.carmillaonline.com
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