Per il nuovo umanesimo… “digitale”

di Alba Vastano

Siamo tutti connessi. Anzi iperconnessi. In molti lo sono fino a h.24/24. L’iper ce l’ha imposto e potenziato l’esplodere e il dilagare repentino e improvviso della pandemia. O online o isolati da tutto. Con il lockdown di 2 mesi e passa, infine, la rete ci ha permesso, in versione ‘ai domiciliari’, di spaziare nei nostri territori usuali che da fisici sono diventati totalmente virtuali. E mentre, ante pandemia il nostro spazio e il nostro tempo in rete era più che altro ludico, relazionale e informativo, è diventato total time, colmo di tutte le nostre attività professionali lavorative, che, nonostante l’inseguirsi delle varie fasi legate alla pandemia (closed/ semiclosed/ open), continuano per molti a svolgersi online. Nel buio del lockdown buona parte delle attività hanno trovato il posto fisso online con lo smart working, sistema adottato da varie categorie di lavoratori. Dai dipendenti della Pa, al mondo della scuola con la Dad, ai liberi professionisti a partita Iva, senza partita Iva, alle consulenze professionali, alle video conferenze di carattere politico, ai video party galoppanti al nanosecondo sulle pagine degli attivisti dei movimenti giovanili.
Tutti a comunicare a distanza gestiti e dipendenti dalla connessione web, fondamentale per espletare la prestazione professionale. Accantonata e spodestata la vera comunicazione, quella intermediata con le presenze fisiche nei luoghi preposti. Il problema è culturale. Se continuiamo ad agire iperconnessi quanto perderemo in socialità e cultura, ma soprattutto nella trasparenza dei processi culturali? Tutto quello che passa per la rete, come informazione per gli addetti ai lavori, è spesso fittizio e non può essere sostenibile alla lunga. Nella situazione di emergenza dovuta alla pandemia possono anche essere giustificabili e utili le iperconnessioni che hanno mobilitato intere famiglie di lavoratori e studenti dietro un monitor. Fino a quando, però, rinchiudersi in un monitor h. 24 può essere sostenibile, senza che gli effetti della comunicazione a distanza disperdano il valore e l’efficacia indiscutibile della comunicazione reale? Considerando anche che, mentre alcune prestazioni lavorative professionali trovano una semplificazione nella rete, gli effetti, già subiti e che subiranno , se dovesse persistere il full time online, il mondo della scuola e dell’educazione, sarebbero devastanti per i necessari processi di apprendimento culturale tradizionali.
C’è da chiederselo e da allertarsi, perché la scuola ad esempio e tutto il sistema che le ruota intorno, inteso come agenzia educativa e culturale in presenza, ha subito il colpo più cocente inferto dai provvedimenti anti Covid e non può e non deve essere archiviata, come obsoleta, dalla Dad. Il rischio è di trasformare e ridurre i processi culturali ad un sistema di algoritmi ingovernabile che, alla lunga, distruggerà ciò che è rimasto del pensiero critico e autonomo, per veicolarlo inesorabilmente in un contenitore mass mediatico ove tutti sono al contempo produttori di cultura e consumatori. Ove la funzione docente viene demansionata e svilita da un codice fornito da un algoritmo e le lezioni dipenderanno, più che dall’impegno di ogni componente, da una connessione, talvolta altalenante e schizofrenica. Ѐ ben triste pensare che tutto ciò possa avere continuità, ma può accadere se si continuerà a praticare la Dad, anche a tempi alternati con la presenza a scuola, considerando che nel processo di apprendimento nulla è più fisico della scuola e dei libri. Le aule, le lavagne, l’odore inconfondibile del gesso, gli sguardi fra compagni. Volti accesi d’interesse dall’attenzione verso gli altri, corpi parlanti, emozioni. Questa è la scuola. Questa è cultura ed educazione alla cultura da cui si è dovuto staccare la spina, trasferendone la funzionalità alle piattaforme digitali.
In riferimento, invece, alle iperconnessioni, se questo è il nuovo che avanza, vogliamo retrocedere al ‘vecchio’, sommerso dalla rete. Salvare il vecchio che muore è l’essenziale tentativo finalizzato a salvare la cultura e salvare noi stessi e le nuove generazioni dall’annichilimento dovuto al costante uso dei sistemi digitali che ci renderà ancor più dipendenti dai sistemi dei poteri dominanti. C’è da chiedersi e da ragionare, mentre attendiamo il ripristino delle classiche intermediazioni culturali, su cosa sia questo nuovo che avanza inesorabilmente e che effetti sta producendo sulla trasmissione, sulla produzione e sul concetto tradizionale di cosa s’intende per cultura.
La percezione comune che offre a larghe mani la nuova forma di cultura digitale è quella che si stia tutti partecipando ad un ‘processo corale’ in cui tutti possiamo trovarci contemporaneamente davanti e dietro una ‘cattedra’, provvisti di immaginarie, quanto falsate competenze in ogni campo delle conoscenze. I connessi alla rete presumono di essere culturalmente multifunzionali. Possono essere contemporaneamente docenti e discenti appunto. Tutti si diventa produttori del sapere e utilizzatori dello stesso. Siamo tutti dei prosumer, sia producer che consumer. Ѐ l’era della cultura faidate e ognuno se la costruisce come più gli aggrada e secondo le tendenze del momento. Ridotte ad ombre in cerca della perduta identità professionale, tutte le mediazioni culturali come gli insegnanti, i giornalisti, gli editori e così via. Con il costante utilizzo dei sistemi digitali siamo tutti, di volta in volta, insegnanti, giornalisti, editori, politici ecc.. Tutti siamo convinti di sapere tutto,di essere iper informati su tutto ed enunciamo assunti e diktat, nei nostri post sui social, di cui non abbiamo alcuna competenza, infine.
Non servono più i professionisti che si sono formati in lunghi anni di studi e approfondimenti se la cultura oggi è quella del faidate, tramite il pret a porter, versione digitale, per ogni uso e consumo del sapere. Parliamo di una cultura spiccia e pressappochista che si acquisisce, in modo veloce e superficiale, direttamente dai vari siti d’informazione online. Un cultura orizzontale che sembra non necessitare della precedente modalità verticale, sicuramente più autorevole e garante dei saperi. Il contrastare queste nuove forme di cultura è assolutamente necessario per prendere coscienza su quanto l’uso e l’abuso della rete abbia appiattito e omologato il pensiero critico derivante da ‘processi culturali atti ad una progressiva conquista degli strumenti critici attraverso cui impadronirsi di contenuti articolati e complessi, fino a raggiungere le competenze in uno specifico campo del sapere’.
Il sociologo, scomparso alcuni anni orsono, Zygmunt Bauman descrive perfettamente questo concetto nel suo saggio ‘Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi’. “Il nome cultura venne assegnato a una missione di proselitismo progettata e intrapresa nella forma di tentativi di educare le masse e di raffinarne i costumi, facendo così progredire la società e facendo avanzare il popolo (ossia coloro che stavano negli strsti bassi della società) verso chi stava in cima…”. Bauman è l’inventore dell’idea di una società liquida in cui la cultura ha totalmente sovvertito la sua funzione educativa e culturale appunto: “Nella modernità liquida la cultura non ha un volgo da illuminare ed elevare; ha, invece, clienti da sedurre…”. E il cliente nella società liquida non deve mai esser soddisfatto, altrimenti non avrebbe nuovi bisogni da soddisfare. Non più, quindi, operazione stimolante del sapere, ma tranquillizzante per la soddisfazione di sempre nuovi bisogni.
Il nuovo umanesimo digitale
La domanda che nasce spontanea, dopo questa disquisizione fra cultura tradizionale e il nuovo paradigma della cultura orizzontale gestita dalla rete è la seguente: Ѐ possibile ricomporre la frattura evidente fra cultura tradizionale e cultura derivante dall’utilizzo costante della rete che ci rende tutti prosumer?’
Alessandro Baricco è fiducioso ed esprime l’idea di un nuovo Umanesimo digitale nel suo saggio ‘The Game’ . “Entrare nel Game, senza paura, affinché ogni nostra inclinazione, anche la più personale e fragile, vada a comporre la rotta che sarà del mondo intero. Usarlo il Game, come una chance di cambiamento invece che come un alibi per ritirarci dalle nostre biblioteche op generare diseguaglianze economiche ancora più grandi…Lasciare che i più veloci vadano avanti, a creare il futuro, riportandoli però tutte le sere a cenare al tavolo dei più lenti, per ricordarsi del presente
Per uscire da questa inerzia culturale in cui siamo più o meno tutti piombati, finendo come pesci ubriachi nel mondo della rete, senza più riuscire ad emergere nel mondo reale, occorrerà liberare le intelligenze, di cui tutti noi pensanti siamo dotati, dal pensiero unico. Occorrerà non smettere di leggere libri, quelli veri fatti di carta da odorare, da stringere, da evidenziare, da farli nostri fino in fondo all’ultimo neurone. E leggere, leggere ‘fino a quando l’immagine di una nave piena di profughi e senza un porto che li accoglie sarà un’immagine che ci fa vomitare’ (A. Baricco). Allora saremo davvero il nuovo Umanesimo. Allora il ‘digitale’ sarà un optional che sapremo governare. Solo allora potremo entrare, con dignità, nel nuovo umanesimo digitale.

Fonti:
‘Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi’- Zygmunt Bauman -Ed. Laterza
‘The Game’ – Alessandro Baricco –Ed. Einaudi
‘Il volto oscuro della rivoluzione digitale’- Federico Rampini –Ed. Feltrinelli
‘La cultura orizzontale’ G. Solimine/ G. Zanchini- Ed. Laterza

Alba Vastano

Giornalista. Collaboratrice redazionale del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

20/6/2020 – Pubblicato sul numero di giugno del mensile

Foto: Sandro Zilli

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