Il Paese della sanità al macero. Ecco come è stata regalata al privato
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Consapevole di correre il rischio di confermare ciò che, a proposito di dubbio e certezza, sembra (1) sostenessero Voltaire (2) e Nietzsche (3), ribadisco il personale convincimento che, nel corso degli ultimi 30/40 anni, nel nostro bistrattato Paese è stata condotta una prolungata, sottile ed efficace opera di maquillage semantico.
In estrema sintesi, ritengo si possa sostenere che siano state messe in campo particolari operazioni di stampo comunicativo mimeticamente tese al servizio dell’ideologia neoliberista. Infatti, contrariamente a quanto ancora in tanti – a sinistra – credono di poter vantare, le classi dominanti del Paese sono riuscite ad affermare una vera e propria egemonia culturale coinvolgendo tanta parte di popolazione che avrebbe avuto fondati motivi per collocarsi su tutt’altro fronte.
In questo senso, ciò che è accaduto appare inverosimile. Si è consolidata l’idea che la c.d. nuocesse alla società contemporanea, che l’esasperata flessibilità normativa e salariale avrebbe (finalmente) prodotto la piena occupazione e che qualsiasi livello di precarietà lavorativa e massificazione dei profitti avrebbe risposto, prima ancora (e piuttosto) che agli interessi dei datori di lavoro, a quelli dei lavoratori che altrimenti sarebbero stati destinati a patire le pene della disoccupazione.
Gli stessi lavoratori ed i poveri dei Paesi occidentali sono stati irretiti e resi vittime ma, contemporaneamente, (inconsapevoli) carnefici nei confronti di enormi masse di disperati del terzo e quarto mondo, pagati con salari da fame e spesso costretti in condizioni di vera e propria schiavitù, per soddisfare la richiesta di prodotti a basso e bassissimo costo.
E’ in questo contesto, quindi, che è stato infranto il vincolo tra il concetto (nel senso del significato) e il termine (la parola) che lo comunica. L’esempio più eclatante e deleterio delle gravissime conseguenze prodotte da questa mistificazione semantica, è rappresentato dai contenuti che una volta, a differenza di quanto avviene oggi, si assegnavano al concetto di .
Venivano legittimamente definite riforme quelle ad esempio negli anni ’60 e ’70, all’epoca della tanto vituperata Prima Repubblica – politicamente caratterizzati dall’unica e, direi, autentica esperienza di governo riconducibile alla formula del Centro/Sinistra – che furono in grado di determinare effetti sociali straordinari. Provvedimenti che concorsero al concreto riconoscimento di diritti costituzionali e a determinare uno stato di garanzie e tutele collettive, fino al punto di realizzare condizioni di diffusa vivibilità prima di allora inimmaginabili.
I tempi e lo spazio disponibili impediscono di riportare il lungo elenco delle benefiche conseguenze realizzate attraverso il combinato disposto delle leggi di riferimento e mi limiterò, quindi, all’essenziale.
Basti ricordare gli effetti realizzati a partire dal 1962 grazie al processo di dell’energia elettrica (4) quale servizio essenziale per lo sviluppo reale del nostro Paese, capace di spezzare gli interessi consolidati dei tanti monopoli privati esistenti e, contemporaneamente, favorire una gestione più democratica dell’economia nazionale. Non meno dirompente risultò, nello stesso anno, la riforma dell’allora c.d. che, grazie alla legge 1859, del 31 dicembre, affermò un moderno concetto di equità educativa, realizzando quanto previsto dall’art. 34 della Carta costituzionale (5) ed estendendo l’obbligo scolastico fino all’età di 14 anni.
Di altrettanto valore sociale e civile furono poi le riforme degli anni successivi.
A cominciare dall’approvazione delle norme sulla tutela e la dignità dei lavoratori, previste dallo , di cui alla legge 300 del 20 maggio 1970.
Risale invece al 1978 quella che amo definire realizzate in Italia. Quella legge nr. 833, del 23 dicembre 1978, che consentì all’Italia di inserirsi tra le nazioni più avanzate per il livello di assistenza erogato alla popolazione: la istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Un complesso di norme e disposizioni che cambiarono la vita di milioni di persone in precedenza costrette a convivere in un sistema che, in sostanza, prevedeva cittadini di serie A e B; garantiti e paria.
Infatti, mentre i primi – appartenenti a una classe di eletti – erano coperti da una assicurativa che garantiva il rimborso delle cure mediche, i secondi pagavano le prestazioni di tasca propria o, se impossibilitati a farvi fronte, restavano affidati alla carità pubblica.
L’effetto della riforma fu travolgente.
L’adozione di un sistema sanitario universalistico produsse, in pochi anni, il drastico contenimento dell’indice di mortalità materna, l’altrettanto notevole riduzione della mortalità infantile – tra le più basse al mondo – e pose il nostro Paese ai vertici delle classifiche degli indicatori sanitari mondiali; con un’aspettativa di vita inferiore solo a quella dei giapponesi.
Quella sanitaria rappresentò, dunque, l’ennesima riforma tesa a garantire il più importante tra i diritti che – insieme a quelli del lavoro, dell’economia, alla sicurezza, all’istruzione e alla casa – si definiscono e tendono a rendere migliori le condizioni di vita dei cittadini.
D’altra parte, è importante rilevare che quello alla salute è l’unico diritto definito dal Costituente (8).
Contemporaneamente, è anche il caso di evidenziare che il combinato disposto di quanto previsto dall’art. 32 della Costituzione non esclude che le prestazioni sanitarie possano essere gratuite oppure offerte con qualche forma di partecipazione o a totale carico del beneficiario.
Ciò comporta l’inevitabile conseguenza di rendere la spesa sanitaria complessiva una variabile dipendente dalle disponibilità previste dal bilancio dello Stato.
Oggi è dunque urgente porsi alcune – ineludibili – domande: il nostro SSN è ancora sostenibile? Potrà continuare ad offrire ai nostri figli e nipoti ciò che ci è stato, almeno fino ad oggi, garantito?
Prima ancora, però, di abbozzare qualsiasi tipo di considerazione – rispetto allo stato e al prevedibile futuro della sanità in Italia – reputo opportuno tornare a quella che definivo la operata, nel corso degli anni, rispetto al significato del termine riforma al solo fine (recondito) di alterarne i contenuti.
Al riguardo, ribadisco che è stata svolta una sottile e subdola operazione manipolatoria attraverso la quale le peggiori espressioni della politica – in circolo vizioso con la comunità degli affari – hanno perseguito quella che l’economista francese Thomas Piketty definì “La rivoluzione conservatrice anglosassone degli anni ottanta e novanta” ed il nostro mai sufficientemente compianto Luciano Gallino, con felice ed efficace intuizione, indicò quale: “La lotta di classe contro la lotta di classe”!
Relativamente al significato distorto assegnato alle c. d. operate nel corso degli ultimi anni – da quelle del Mercato del lavoro (9) e della Legislazione(10) del lavoro a quelle previdenziali (11), fino a quelle sulla legge elettorale, sulla giustizia e sull’assetto istituzionale – è opportuno stendere un velo pietoso.
Gli effetti e le nefaste conseguenze sono patrimonio collettivo.
Nostro particolare interesse è, piuttosto, quello di rilevare le attuali difficoltà di funzionamento e le diseguaglianze sui territori prodotte dalle c.d. cui è stato interessato il SSN a partire dagli anni ’90.
Al riguardo, la prima ed importante testimonianza è costituita dai dati che emergono dal 6° Rapporto della Fondazione Gimbe sul SSN.
L’incipit è dirompente perché il Rapporto evidenzia “una frattura strutturale Nord-Sud che sta per essere normativamente legittimata dall’autonomia differenziata”!
Nel 2021 delle 14 regioni adempienti, rispetto ai livelli essenziali di assistenza sanitaria, solo 3 sono del Sud: Abruzzo, Puglia e Basilicata.
E’ ormai radicata una frattura che, secondo il Rapporto, “è certificata dai dati sulla mobilità sanitaria e dai flussi economici che scorrono prevalentemente nel senso da Nord a Sud del Paese”.
Il settore è sempre più saldamente nelle mani dei privati e sempre più diseguale.
Dei tre miliardi destinati al Fondo sanitario dalla recente Legge di Bilancio del governo fascioleghista, ben 600 mln. sono destinati a pagare visite specialistiche ed esami diagnostici presso strutture private convenzionate.
A ciò si aggiunga che anche dall’analisi della Corte dei Conti emerge la conferma che negli ospedali si riscontrano condizioni decisamente differenziate: alta qualità a Trento e in Emilia Romagna, ma massimo livello di uscite in Molise, con i risultati peggiori d’Italia.
In Molise, Valle d’Aosta, Abruzzo e Liguria la spesa ospedaliera supera la media nazionale, ma i risultati sono modesti.
Trento, Bolzano, Basilicata e Sardegna spendono più di 1.300 euro per medici di famiglia e assistenza territoriale, ma il servizio risulta migliore in Emilia Romagna, Veneto, Toscana e Lombardia con costi pro-capite inferiori.
Contemporaneamente, nella stessa Toscana la sanità sta lentamente ma costantemente scivolando nell’inefficienza.
Nella stessa Lombardia, che rimane fra le eccellenze sanitarie a livello specialistico, si scoprì nel 2019 che l’eccessiva spinta alla privatizzazione delle strutture e delle eccellenze mediche aveva tanto impoverito il territorio da offrire al Covid il terreno più fertile per propagarsi (12) e fare migliaia di morti.
Oltremodo sconfortante, quindi, rilevare che Meloni, intervenendo a Torino al Festival delle Regioni, nonostante l’ammissione che “siamo una Nazione nella quale i divari tra città e aree interne, tra Nord e Sud, tra costa tirrenica ed adriatica, tra pianura e montagna, sono sempre molto evidenti e, per paradosso, rischiano di aumentare” ha seraficamente dichiarato – senza preoccuparsi della palese contraddizione – che “l‘autonomia differenziata proseguirà senza stop”!
In questo quadro, l’ulteriore aggravante è costituita dal particolare che il diritto alla salute finisce con l’essere negato soprattutto alle cittadine e ai cittadini che si trovano in condizioni di difficoltà economiche.
Infatti, come riportato dal 10° Rapporto sulla Povertà Sanitaria di Banco Farmaceutico, la povertà sanitaria ha ormai assunto un carattere “autoctono e quindi endemico”, che più semplicemente significa “tipico ed esclusivo di un determinato territorio”.
Tra l’altro, la povertà sanitaria è la più immediata conseguenza della fragilità economica.
Una condizione particolarmente odiosa che non dipende, però, solo dalle barriere economiche ma anche, per esempio, dalla geografia (territorio isolato), dalle infrastrutture (mancanza di ospedali), dalla scarsa consapevolezza (conoscenza delle strutture e delle cure disponibili) e dalla qualità dell’offerta sanitaria.
Un dato su tutti conferma una condizione di assoluta e profonda diseguaglianza nel diritto all’accesso sanitario nel nostro Paese: secondo una ricerca del 2021, una persona in condizioni di indigenza economica dispone di un budget per la salute pari a soli 10 euro al mese, mentre una persona sopra la soglia di povertà ha a disposizione ogni mese quasi sette volte tanto, ovvero 66 euro. Per quanto riguarda unicamente le risorse per l’acquisto di farmaci, un individuo fragile può stanziare ogni mese 5,85 euro mentre uno sopra la soglia quattro volte di più: 26 euro.
Lo stesso rapporto illustra situazioni che non esito a definire indegne di un Paese civile.
Si scopre, ad esempio, che negli ultimi 8 anni le famiglie fragili hanno sostenuto con le proprie risorse economiche una spesa sanitaria mensile pro-capite compresa tra 9 e 11 euro, destinando oltre il 60% delle loro risorse per la salute all’acquisto di farmaci.
Le famiglie benestanti, invece, spendono in farmaci molto meno, destinando a questo capitolo di spesa solo il 39-44% della spesa generale, lasciando quindi maggior spazio all’acquisto di altri servizi sanitari.
In altri termini: chi è in condizione di povertà sanitaria ricorre al farmaco molto di più che ad altri servizi sanitari, come per esempio la prevenzione e le cure specialistiche, in quanto queste ultime sono ancora meno sostenibili.
Aggiungo inoltre che recenti statistiche Istat sulle disuguaglianze che determinano le diverse cause di mortalità tra la popolazione con trenta e più anni di età mostrano anche l’influenza diretta ed indiretta del livello di istruzione. I dati raccolti dall’Istituto nazionale si riferiscono al 2019 e rappresentano un’assoluta novità. Quello che appare drammaticamente vero è che: “il livello di istruzione ha anche influenza sulla salute delle persone perché è uno dei fattori che determinano il livello di reddito”. Ciò rende ancora più plausibile sostenere che i tassi di mortalità per patologie mediche si riducono con la crescita del reddito. Ne consegue che la probabilità di morire di malattia per una persona con bassa scolarità è molto più alta di quella di un laureato.
Tra l’altro, il fenomeno della povertà sanitaria non è un’esclusiva delle famiglie indigenti. Negli ultimi quattro anni infatti la diminuzione della spesa per la prevenzione e, in certi casi, la rinuncia totale a visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo (dentista, mammografie, pap-test, screening oncologici) ha riguardato una famiglia italiana su sei.
Tale situazione produce poi un impatto dalle conseguenze inimmaginabili su quella parte di soggetti ancora più vulnerabili dei nostri connazionali indigenti: quei migranti extracomunitari che, come a tutti ampiamente noto, di norma già fuggono da condizioni di diffusa povertà in Paesi le cui ricchezze sono state preda di lunghe ed esose colonizzazioni europee.
Rappresentano dunque un’insopportabile beffa ed un vero e proprio accanimento xenofobo i recenti provvedimenti meloniani tesi a monetizzare tanto la libertà(13) personale dei richiedenti asilo che la salute(14) di tutti coloro che non sono nostri connazionali né appartengono a un Paese dell’Unione europea.
In definitiva, come se tutto ciò non fosse già ampiamente sufficiente a descrivere una situazione a , con qualche luce ma con troppe ed insopportabili ombre, altri foschi presagi incombono sul futuro del SSN.
Di conseguenza, allo scopo di ripristinare un Servizio sanitario effettivamente di carattere nazionale ed uniforme, non appaia peregrina l’ipotesi di valutare la possibilità di riportare alcune materie ritenute strategiche per l’unità del Paese – a partire proprio dalla tutela della salute collettiva – sotto la potestà esclusiva dello Stato.
A questo scopo esiste già una Proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, promossa dal “Coordinamento per la Democrazia Costituzionale”, che ha raccolto oltre 100 mila firme.
Si tratta, allora, di approntare un progetto ambizioso. Operare dal per determinare linee di indirizzo che impediscano irragionevoli e, soprattutto, ingiustificate diversificazioni territoriali dei servizi e dei livelli di assistenza. Naturalmente, appare chiaro che sarebbe sciocco pretendere un’assoluta omogenizzazione degli standard operativi in un sistema così complesso e parcellizzato come attualmente radicalizzatosi nel nostro Paese. Eppure, un punto rispetto al quale il Legislatore nazionale non dovrebbe prescindere è che il diritto alla tutela della salute rappresenta un bene comune che oggi resta fin troppo spesso colpevolmente inevaso.
Quando poi alla consapevolezza di livelli di assistenza sanitaria locale particolarmente modesta e/o inadeguata si aggiunge l’ancestrale angoscia di un pur breve soggiorno in una qualsiasi struttura ospedaliera – con i colori tristi dei reparti, la proverbiale irraggiungibilità dei Primari, la sufficienza dei medici dal gergo (volutamente?) incomprensibile, il tipico odore del disinfettante misto al quasi sempre impresentabile cibo e l’anonimo rapporto con il personale infermieristico ed ausiliario – l’acuirsi dello stato di malessere e di ulteriore prostrazione è garantito. Siamo così a un altro rilevante aspetto cui, di norma, si presta ben poca attenzione: l’esigenza di esercitarsi rispetto a un concetto di salute che non si limiti solo a considerare gli aspetti di carattere clinico ma comprenda anche la dimensione umana, affettiva e sociale del paziente di turno.
Ciò premesso e considerato sempre legittimo non smettere mai di denunciare le carenze storiche, la frequente disorganizzazione, il cattivo funzionamento, la scarsità e talvolta l’inadeguatezza di personale, mezzi e strumentazioni tecnico/operative – che concorrono a rendere l’offerta sanitaria presente sul territorio assolutamente insufficiente – considero però doveroso evidenziare che anche laddove meno ce lo si aspetta esistono eccellenze spesso ignorate. Alludo ai colpevoli silenzi dei media che prediligono la notizia dell’errore, delle peggiori forme di mala-sanità e, soprattutto, sbattere il mostro in prima pagina. Non è invece raro scoprire che la tanto bistrattata sanità pubblica talvolta si presenta con il volto di chi opera con spirito di sacrificio, alti livelli di professionalità e tanta umanità da indurci a superare la nostra fragilità e le paure che l’accompagnano.
NOTE
A Voltaire (pseudonimo di Francois-Marie Arout) ad esempio, è sempre stata erroneamente attribuita la famosa frase:“Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”.
“Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono”.
“Non c’è dubbio, è la certezza che rende folli”.
Legge 1643 del 6 dicembre 1962.
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
Legge 898 del 1° dicembre 1978.
Comunemente si parla di tre generazioni di diritti.
Altri diritti, altrettanto importanti, sono definiti soltanto .
Moltiplicazione delle Tipologie contrattuali, acasualità dei rapporti di lavoro a termine, ecc.
Sostanziale cancellazione del vecchio art. 18 dello Statuto e Job-act.
Vedi c.d.“Legge Fornero”.
Fonte: “La voce del Serchio”, del 7 agosto 2022.
I richiedenti asilo provenienti da Paesi extra Ue dovranno versare una cauzione pari a 4.938 euro per evitare di essere rinchiusi in un CPR in attesa dell’esito della loro domanda.
Per i residenti stranieri, cittadini non aderenti all’Ue, si prevede la possibilità di iscriversi al SSN previo contributo di euro 2.000 annui.
“La mia disperazione dice: abbandonati allo sconforto, perché il giorno è racchiuso tra due notti. la falsa consolazione urla: spera, perché la notte è racchiusa tra due giorni” (Stig Dagerman, poeta e scrittore svedese).
Da Pangloss, personaggio del “Candido” (di Voltaire) secondo il quale tutto volge al meglio, a dispetto dei più atroci impedimenti e crede di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Renato Fioretti
Esperto Diritti del Lavoro. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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