Il pane e le rose

Le Marche restano, nell’Italia centrale, la regione più anonima nonostante una storica rete di scambi con le popolazioni costiere venete, albanesi, jugoslave e greche, e tale evoluzione storica può giustificare le differenti aggregazioni abitative, spesso penalizzate dalla carenza di infrastrutture, che si sono susseguite e gli approcci articolati alle politiche sociali, che vanno da buchi neri e pregiudizi, ad un melting pot di cattolicesimo di sinistra, cooperazione, volontariato scout, istituzioni locali alle volte capaci di grande ascolto, e una fitta rete di centri sociali più portati al lavoro autogestito.

Nel quadro istituzionale fra gli esiti positivi ne derivano la legge 13 del 2009 sull’immigrazione e la legge 28 del 2008 sulle persone private di libertà, entrambe uscite da tavoli di partecipazione attiva.

La legge sulle carceri era nata dal lungo lavoro che ha visto assieme psicologi, operatori pedagogici, di polizia penitenziaria, amministratori e volontariato, quella sull’immigrazione era nata sulle stesse basi nel 1998; purtroppo nel 2009 la Regione ha perso l’occasione di proseguire su questa strada.

Attraverso un budget ricevuto dallo Stato che si sta attestando mediamente sui 600.000 € dal 2010 vengono ogni anno gestite attività pedagogiche, artistiche e lavorative atte a sviluppare le attitudini inespresse degli stessi detenuti.

Gli studi, le esperienze, le statistiche tutte affermano che i detenuti che sono stati affidati ai servizi sociali hanno una percentuale di recidiva inferiore al 20% e di non recidiva del 80%, mentre sono del 68% i recidivi contro il 32% se l’esecuzione è stata tutta fra le mura.

Stiamo parlando di una regione in cui il tasso di sovraffollamento va dal 98% di Fermo al 255% di Montacuto, passando per situazioni comunque critiche. Camerino è inagibile dal terremoto del 2016, anche se le sue presenze erano molto ridotte. La presenza è in massima parte maschile, ma le attività sono articolate senza discriminazione di genere, grazie anche alla preponderante quantità di donne dirigenti e responsabili di settore pedagogico.

Gli episodi di criticità si sono susseguiti anche negli ultimi tempi, con rivolte ad Ascoli, Pesaro ed Ancona. In quest’ultima i detenuti avevano chiesto nelle notti seguenti al terremoto del 9 novembre 2022 di poter dormire con le celle aperte. In Italia, è bene precisarlo, il rapporto fra agenti e detenuti è dell’1,67%, mentre il personale educativo rappresenta solo il 2,87% del personale totale. Siamo sotto alle medie europee.

Infine, e questo non è cosa chiara a chi vive in libertà, tanti sono gli interventi che non comunicano fra di loro anche per rigidi protocolli di sicurezza.

L’errore commesso nella maggior parte dei casi dalle autorità è trattare detenuti e agenti di Polizia penitenziaria come “noi e loro”: si tratta di insiemi disuguali, e su questo va agito. Rafforzando, sia nelle leggi che nelle circolari, le contrapposizioni, con tanto di ritardi nell’applicazione della riforma sanitaria e tentativi di non valorizzare il volontariato e l’assistenza.

L’atteggiamento dei sindacati stessi, soprattutto di quelli autonomi che sono maggioritari, è piuttosto corporativo.

Compito non facile di questo articolo è fare luce sulle capacità che vengono aiutate ad emergere nei detenuti, e di riscontro in tutti gli operatori, per dare forza al ribaltamento della logica di punizione retributiva.
Ascoltiamo Vito Minoia, presidente del Coordinamento Nazionale Teatro in carcere:

“Il carcere non deve essere un luogo di conferma del destino segnato, fatto di marginalità ed esclusione. Grazie alle sue peculiarità creative e artistico espressive, il linguaggio teatrale diventa uno strumento privilegiato di intervento, fuoriuscendo dagli schemi imposti e individuando forme di conoscenza in grado di far fronte a una vera e propria emergenza educativa”.
Nel 2011, sotto l’egida del Dipartimento Amministrativo Penitenziario viene istituito il Coordinamento Regionale Teatro in Carcere con 5 associazioni No Profit iniziali (Teatro Enigma, Art’O, Il sasso nello stagno, la Pioletta e Kinematosti), coordinato dall’ATS di Pesaro.
Nel 2013 nasce il Sistema Bibliotecario Carcerario Regionale, attraverso la collaborazione con l’Associazione Italiana Bibliotecaria, e viene coordinato dai tre ambiti dei Monti Azzurri, dell’ormai ex carcere di Camerino, reso inagibile dal terremoto.
Entrambi i protocolli sono stati rinnovati puntualmente, e la motivazione va trovata nella capacità che queste attività hanno di costruire momenti di autostima, consapevolezza e sviluppo di lavoro di gruppo.
Ricordo al proposito un “Don Giovanni” presentato al Carcere di Barcaglione di Ancona, a due passi dalle coltivazioni di ulivi sempre gestite dai detenuti, in una platea con postazione improvvisata e vista sul mare: l’esplosione di sudore, gioia, rossetto dei detenuti trasmettevano a noi spettatori la loro speranza e la convinzione a continuare.
“Un clown alla corte dello Zar”, visto a Caldarola(MC) nel locale teatro vedeva anche vari operatori ed agenti occupare i posti esterni alla platea, per motivi di sicurezza neanche troppo dissimulati.

Opere di valore, registi ed attori al genere plurale.
La rete di giornalini scritti in ogni istituto, “La parola ai detenuti” è coordinata dall’Ambito di Fermo, che nel 2003,  diede vita alla rassegna L’altra chiave, dalla quale uscirono anche progetti di teatro-film indipendenti.
Una selezione della rassegna“Corto Dorico”, altra eccellenza iniziata in sordina dai giovanissimi soci di “Nie Wiem” una ventina di anni fa mi ha visto mischiato fra i detenuti  assistere alla votazione che ne ha decretato i vincitori.
L’AIB programma da anni “Nati per leggere” anche fra le sbarre, corsi di scrittura creativa, interventi volti alla paternità responsabile. Non è raro entrare in carcere per un’attività di lettura e incontrare i parenti dei detenuti, che si indirizzano ai colloqui.

Eccoci alle emozioni più fresche.
All’interno di una attività legata al Concorso Storie da Musei Archivi Biblioteche nelle Marche, nata dal geniale impegno di Silvia Seracini, bibliotecaria amante della narrazione attraverso molteplici linguaggi tutti volti al coinvolgimento dei non professionisti, alcuni detenuti sono stati chiamati su espressa richiesta degli organizzatori a passare da concorrenti, con tanto di premi conquistati nelle precedenti edizioni, a giudici del concorso stesso.
Non è corretto ridurre il passaggio ad un escamotage dovuto alle difficoltà della pandemia, quanto ad un coraggioso tentativo di promuovere i loro sforzi, e loro stessi.
Fra i risultati più notevoli è da rilevare la crescita di consapevolezza nel giudicare dopo essere stati giudicati, e il notevole senso della cosa pubblica cresciuto nelle loro annotazioni.
Il primo incontro tenutosi il 4 febbraio fra un gruppo di giurati della Casa Circondariale di Pesaro ed alcuni vincitori, scrittori e fotografi, grazie alla spinta dell’area pedagogica condotta da Enrichetta Vilella, è stata la prima di una serie di restituzioni nelle quali gli autori venivano chiamati a raccontare le loro scelte e le loro sensazioni, e i giudici narravano il loro minuzioso percorso che si era dipanato in numerose sedute assieme a Lorenzo Sabbatini, bibliotecario responsabile del Sistema Bibliotecario Carcerario Regionale.
A cavallo fra riflessioni degli autori nasceva nella mattinata stessa la necessità di trovare un perché a tutto da parte dei giudici.
Diamo il dovuto rilievo all’osservazione di una scrittrice che ha trovato nel carcere tutto meno che silenzio, ma ritmi scanditi, rumori che ingabbiano, dirigono, concedono o negano, a differenza della sala della biblioteca descritta nel suo racconto. Un’altra perla che resterà nascosta nell’anonimato del suo autore, ma che custodiamo, è il segreto di un pittore che non aveva gli strumenti per esternare le immagini che aveva in sé, e le descriveva nei suoi manoscritti.
Senza voler pretendere di essere esaustivi, questo collegamento fra l’esigenza di “sprigionare l’arte” appuntamento esterno più che decennale della Casa Circondariale di Pesaro, e una serie di normative aderenti allo spirito dell’articolo 27 della Costituzione che restano inattuate, privilegiando la sicurezza, sono la base che chiamerei “Il pane e le rose”.
Prendo esempio da una lezione sulla giustizia tenutasi in collaborazione col DAP in un liceo di Ancona, usando le parole di una studentessa. “Si fa prima a studiare la lezione per il giorno seguente, invece che a imbottirsi di appunti da leggere non avendo studiato; ma si fa fatica meno a far passare il tempo al detenuto invece che mettergli paura ogni momento”.

In un’epoca in cui tutti diventano accademici senza tirare conclusioni, il dovere è passare dall’osservazione dell’esistente all’azione.
Il volontariato e il trattamento da stampella dell’esistente, che produce mostri, devono diventare leva del cambiamento.

Marcello Pesarini

15/2/2023 https://transform-italia.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *