Il pensiero critico e la rana di Chomsky

Unicampus.it

In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute…/

archivio PDF http://www.lavoroesalute.org/

  • di Alba Vastano

Stiamo attraversando l’era delle catastrofi, alcune annunciate, altre imprevedibili. Dai cambiamenti climatici causa inquinamento da emissioni, alle migrazioni sempre più frequenti, provocate da guerre infinite, soprusi, terrore e violenze che stritolano la vita di poveri esseri umani, costretti a tentare l’incognito, anche a rischio di perderla la vita, ma con un barlume di speranza di viverne una migliore di là dal mare. La xenofobia radicata come un germe velenoso, ostile e cinico ad accogliere chi riesce a salvarsi dal mare. E poi la fame, solo in alcuni luoghi della Terra, mentre in altri luoghi il cibo sovrasta le nostre pinguedini. Nel 2050 si prevedono nove miliardi di persone sul Pianeta, ma le risorse naturali, aria acqua e cibo si avviano verso l’estinzione. E per chiudere questo triste elenco di catastrofi attempate è piombata sulla nostra vita una pandemia causata da un virus che ha stroncato milioni di persone.

Sulle cause di tutte queste catastrofi possiamo proclamarci incolpevoli? Non lo siamo. Le catastrofi accennate ce le siamo procurate tutte e gli effetti più devastanti avremmo potuto evitarle. Se non è possibile evitare uno tsunami, un terremoto, un’esondazione, sebbene se ne possano attutire per tempo gli effetti devastanti mettendo in sicurezza i territori, le altre catastrofi come: inquinamento, razzismo e disuguaglianze sì, possiamo evitarle. Abbiamo ancora qualche chance per allungare i tempi della fine delle risorse del Pianeta, ma dovremmo provare ad attivare sin da oggi una risorsa che appartiene ad ogni umano. Una risorsa che ci connota come privilegiati nella vita sul Pianeta, ma una risorsa che abbiamo da troppo tempo accantonato. Non siamo neanche più consci di averla naturalmente costruita questa risorsa nel corso della nostra vita. L’abbiamo disinnescata dalla nostra mente, dalla nostra socialità. E’ questa sparizione di un potenziale importante, che ci connota come esseri umani intelligenti, liberi e dignitosi, uno dei motivi basilari delle catastrofi in corso.

La risorsa a cui alludo è la nostra caratteristica primaria, quella con cui gradualmente formiamo la nostra personalità, la nostra coscienza, tramite la cultura e la socialità. E’ la capacità che abbiamo di ragionare sui fatti, sugli eventi. Di non farci travolgere da emozioni, impeti e passioni tossiche, vendette e gesti irrazionali, assumendoci responsabilità, da cui oggi decliniamo spesso, e agendo in tempo con le dovute precauzioni. Ed è anche la capacità di mettere in campo l’intelligenza emotiva che ci fa percepire il senso di umanità ed empatìa verso l’altro. Ogni speranza di salvezza necessita di posarsi a lungo sulla nostra capacità di ragionare, di attivare discussioni che siano ordinate e provviste di senso critico e logico. In mancanza di tale potenziale mettiamo a rischio tutte le nostre relazioni, la nostra socialità, le nostre stesse vite. La mina vacante si è insediata nella nostra mente, rendendola inattiva e incapace di ragionare autonomamente, accantonando le necessarie riflessioni e la logica. La causa prima è che siamo finiti in una spirale di distrazioni in misura esponenziale e abbiamo abdicato ad altre seducenti pseudo risorse che stanno agendo al posto nostro. Ci hanno ‘fottuto’ il pensiero critico. Nulla di più devastante e pericoloso che ci sta corrodendo ‘pezzo pezzo’ la libertà e la dignità, senza le quali siamo davvero povera cosa. Burattini appesi a fili in mano al grande manovratore.

Abbiamo delegato le nostre vite e quelle delle generazioni a venire a pochi uomini assetati di potere, piegandoci, spesso inconsciamente, ai loro voleri, turbati da paure irrazionali o perché così fan tutti, lasciando le lotte a quella sparuta minoranza che vi si oppone, arrivando persino a boicottarla. Il pensiero critico, la nostra unica arma di difesa è così sparito dalla nostra vita distratta da mille futilità, sopraggiunte nell’era della globalizzazione (dalle tecnologie esasperate ai mercati globali), in cui siamo finiti gradualmente in full immersion e da cui non siamo in grado razionalmente di prendere le distanze. C’è un esempio molto calzante, metafora della nostra attuale condizione. Si tratta di un principio metaforico, espresso nella storiella macabra della rana bollita, raccontata dal teorico della comunicazione Noam Chomsky.

L’ingenua e innocente bestiolina entra nel pentolone quando l’acqua è ancora fredda. Man mano la temperatura sale, ma la rana nell’iter che porterà l’acqua al bollore si adatta alla temperatura, finché finisce bollita. E per restare su esempi letterari di grande valenza metaforica, potremmo ricordare quanto rispecchi l’attuale condizione umana e sociale un saggio del grande scrittore portoghese Josè Saramago, quando nella sua opera allegorica ‘Cecità’, descrive un’umanità sui cui occhi scende un velo bianco lattiginoso che impedisce di vedere quanto di oscuro e distorto sta accadendo nella società. I nuovi ciechi finiranno per odiarsi tra loro per accaparrarsi le ultime scorte di cibo. In un saggio colmo di allegorie il grande Saramago riesce a cogliere il senso profondo della tragedia umanitaria dovuta alla scomparsa del pensiero critico e all’affermarsi del pensiero unico.

Oggi siamo tutti un po’ accecati da quel velo che inibisce l’autonomia del pensiero e favorisce il pensiero di gregge. La scomparsa del pensiero autonomo e critico spegne il desiderio di conoscenza e appiattisce le menti, omologandole. Così le dinamiche dei fatti, le cui motivazioni sono legate imprescindibilmente al rapporto causa/effetto, sono coperte dal velo lattiginoso e melmoso dell’ipocrisia, dell’ignoranza, dalla disonestà e dalle corruttele del potere dominante che da questo annebbiamento di massa ne trae profitto. E’ il Capitalismo bellezze! Il capitalismo tossico che sta annientando la nostra dignità e la libertà, procurandoci un’amnesia generale, facendoci dimenticare che, per natura, siamo creature dignitose e libere. Nessun potere può concederci la libertà che naturalmente abbiamo. Misero quell’uomo che la mendica per essere libero.

Della scomparsa del pensiero critico, della logica e del perché non possiamo rinunciare a ragionare con la nostra testa, ne scrive nel suo saggio ‘La scomparsa del pensiero’, Ermanno Bencivenga, professore ordinario di Filosofia presso l’Università della California. Un filosofo che ha dato notevoli contributi alla logica e alla Filosofia del linguaggio, alla filosofia morale e alla storia della filosofia. Nel saggio di Bencivenga ci sono motivazioni, analisi profonde e anche la cura e il rimedio per tornare ad essere ciò che naturalmente dovremmo essere, ovvero essere pensanti autonomamente, provvisti di logica e, soprattutto, esseri liberi. Ma chi s’impegnerà a ragionarci su?

Mutazione antropologica

Un’attenzione particolare nel saggio del filosofo è rivolta ai giovani. Sono loro i nuovi attori o vittime della metamorfosi antropologica che ha condotto alla crisi del pensiero critico. Ne sono stati indotti come nativi digitali. Non è loro la responsabilità, ma è ciò che si sono trovati a vivere e non conoscono altre modalità. La società e tutte le istituzioni che ruotano intorno al mondo dei giovani: famiglia, scuola e luoghi di intermediazioni sono state disintermediate dalla rete. Ciò li induce a vivere una vita parallela costantemente online in cui manca tutto il necessario per lo sviluppo del pensiero e della logica. Cosa manca ai giovani oggi? Sembra abbiano una vita agevole con i mezzi tecnologici a disposizione. In realtà sono stati deprivati del senso della vita, su cui non riescono a fare una riflessione che sia profonda e personalizzata. Sono stati deprivati di una vera intimità con se stessi, di una ricerca istintiva a pensare e a riflettere sulle dinamiche dei fatti e sul rapporto tra cause/effetto, di fare introspezione e di verificarsi con le riflessioni altrui con una dialettica aperta e basata su tesi opposte e su riflessioni logiche. I giovani tendono a rinnegare una disciplina che li aiuti ad autodisciplinarsi e difettano di concentrazione oltre il quarto d’ora nelle fasi di apprendimento. Non progettano un futuro. Per questo rinunciano a voler cambiare il mondo, salvo rare eccezioni che riguardano, ad esempio i movimenti per l’ambiente, su cui mostrano particolare sensibilità. Ma poi sanno argomentare sulle cause e gli effetti?

I giovani sono la parte più fragile della società e sono anche la parte più a rischio, poiché vittime inconsapevoli di una corrente che li travolge uniformandoli al pensiero unico.
Facili prede, a rischio automatizzazione, del potere dominante. C’è un problema a monte che prescinde da ciò che pensano, o meglio, non pensano le nuove generazioni native digitali. E’ un problema che ci riguarda tutti. Come riappropriarci della capacità individuale di ragionare con la propria testa? Come seguire un metodo di ragionamento e di logica personali, senza essere condizionati dal ‘Così fan tutti’? E come evitare di dedurre irrazionalmente che se lo fanno tutti è l’unica cosa giusta da fare? Qual è la cura per uscire da questo loop lesivo della ragione e della logica?

La Cura

Una prima considerazione da fare è che la perdita della logica e del pensiero autonomo è sicuramente una catastrofe, sia pur gentile perché silente, non apparentemente invasiva, ma lesiva della nostra autonomia e della libertà personale. E questo è un assunto inconfutabile. Pertanto la catastrofe gentile va combattuta con il riattivare i dialoghi nei luoghi fisici di intermediazione adatti. (ndr, pensando alle Agorà dell’antica Grecia, in cui si trascorrevano le giornate a discutere e a trovare il filo logico delle questioni da risolvere) e disciplinarli a quella modalità, ad esempio, proposta da Aristotele nella Retorica. Modalità basate su tre strumenti: Il logos, l’ethos e il pathos. Attenzione al pathos quando diventa tifoseria e all’ethos quando fa emergere e rende centrale la figura del leader-capetto a cui dare assoluta fiducia. Resta più che attendibile come strumento il logos che, infine, convince con l’autorevolezza della ragione e della logica. Il logos non parla con voce tonante. Ha bisogno di silenzio, perché le lievi emozioni, mai prorompenti come da un pathos che infiamma gli animi, possano essere intercettate da chi ascolta. Il logos, per essere efficace, ha bisogno di tempi lieti, di pace e di pazienza.

E anche di tempi in cui sentiamo la noia che è quel tempo in cui si colgono sensazioni segrete fuori e dentro di noi. Oggi, sovrastati come siamo da mille input delle informazioni da social, ci si annoia di meno, ma si pensa autonomamente di meno. E’ un gran ‘fracasso’ scrive Bencivenga nel suo saggio. Abbiamo tutti una gran fretta di arrivare a fare più cose possibili. E nella fretta e nel rumore continuo il logos viene irrimediabilmente sommerso. Il pericolo che corriamo in questo caos che è oggi la nostra vita consiste nel non saper riconoscere più le nostre incoerenze, affidando ad altri la nostra capacità di ragionare autonomamente, non essendo più allenati a farlo. Le insidie per una mutazione antropologica, che ci sottrae la risorsa più preziosa che è il pensiero critico, sono tutte in atto. Fermiamo le insidie. Apriamo la mente. Torniamo nelle Agorà.

Fonti:
‘La scomparsa del pensiero’ Ermanno Bencivenga ed. Feltrinelli

‘La fabbrica del consenso’ Noam Chomsky ed. Il saggiatore

‘Cecità’ Josè Saramago ed. Feltrinelli

Alba Vastano
Giornalista. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute…/

archivio PDF http://www.lavoroesalute.org/

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e testo
0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *