Il Piemonte manda gli antiabortisti a fare sermoni alle donne incinte, con soldi pubblici
La Regione Piemonte ha messo a disposizione delle associazioni pro vita fondi per quasi un milione di euro per la realizzazione del progetto Vita Nascente, volto alla “promozione del valore sociale della maternità”, al “sostegno delle gestanti e/o neomamme” e alla “tutela della vita nascente”. Si tratta di organizzazioni che hanno nella propria mission obiettivi quali la revisione o la completa abolizione della legge 194, ovvero quella che tutela il diritto all’aborto. La nascita del progetto risale all’inizio del 2023 ma, con l’arrivo del nuovo anno, la Regione ha raddoppiato i fondi a disposizione. Risorse pubbliche messe in mano ad associazioni private e ben schierate per realizzare progetti volti a dissuadere le donne dall’abortire sulla base di posizioni ideologiche, che avrebbero potuto essere destinati agli enti pubblici già esistenti e preposti al supporto delle donne in gravidanza (come i consultori) o al miglioramento dei servizi, come la distribuzione degli asili nido e i loro costi spesso insostenibili, senza minare il diritto alla libera scelta.
Obiettivo esplicito del bando, d’altronde, era la “promozione e realizzazione di progetti mirati al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”. A beneficiarne saranno le organizzazioni operanti nel settore della “tutela materno-infantile” in base al Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza, la maggior parte delle quali sono per l’appunto pro vita. In vista dei risultati ottenuti nel 2023 nel «seguire e supportare concretamente 478 madri e i loro bambini», un «successo oltre ogni aspettativa» per l’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), la Regione ha deciso di raddoppiare i fondi per l’anno in corso, rendendo così la misura «strutturale»: «indietro non si torna», ha dichiarato l’assessore. Alle donne coinvolte nei progetti verranno forniti anche pannolini, latte in polvere, vestiario, lettini e sostegni economici per affitti e utenze: «Le difficoltà economiche rappresentano ancora un grande scoraggiamento nell’intraprendere la sfida della genitorialità, altrimenti non avremmo avuto tutta questa risposta» ha sottolineato l’assessore Marrone.
Ciò che va sottolineato è che a beneficiare di questi fondi, provenienti dalle casse pubbliche, sono associazioni private e che hanno tra i propri obiettivi, tanto per dirne una, l’abolizione della legge 194 e quindi il diritto all’aborto: è il caso, per esempio, del Movimento per la Vita e dei Centri di Aiuto alla Vita. Lo stesso Movimento che lo scorso anno, grazie ad una convenzione con la Città della Salute e della Scienza di Torino, ha ottenuto l’apertura della cosiddetta stanza dell’ascolto nell’Ospedale Sant’Anna, dove le donne intenzionate ad abortire possono incontrare “volontari qualificati” che contribuiranno a “superare le cause che potrebbero indurre alla interruzione della gravidanza”. Un’iniziativa che rischia di avere come unico effetto quello di produrre una violenza psicologica sulle donne e che cerca di sostituire il ruolo di centri di supporto già esistenti, ovvero i consultori. Il tutto nel nome del superamento di “questa stagione di preoccupante inverno demografico”.
Sostenere economicamente gruppi pro vita (che equivale a finanziare gruppi antiabortisti) e promuovere iniziative come quella dell’Ospedale Sant’Anna significa privare la sanità pubblica o gli enti territoriali di una grossa fetta di investimenti. Si tratta di realtà che, se funzionassero adeguatamente, probabilmente in molti casi basterebbero a convincere una persona che sì, può farcela a portare avanti una gravidanza. Se si vuole considerare solamente il fattore economico, inoltre, a supporto della maternità andrebbero messe in pratica azioni strutturali che vadano ben oltre a qualche incentivo occasionale e qualche pannolino. Secondo gli ultimi dati disponibili, il tasso di occupazione delle donne italiane tra i 20 e i 64 anni è del 55%, a fronte di una media europea di quasi il 70%. Secondo il report di Save the Children Le Equilibriste. La maternità in Italia nel 2022, nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni, per motivi familiari o perché “non supportate da servizi sul territorio, carenti e troppo costosi, come gli asili nido”. È evidente che la strada del sostegno economico è una tra quelle giuste da perseguire, ma dovrebbe prescindere da associazioni private e ideologicamente schierate, che molto giocano sulla pressione emotiva esercitata sulle donne. Secondo una lettera inviata dall’associazione di medici Chi si cura di te? a Quotidiano Sanità, viene infatti segnalato come nei corsi di formazione per i volontari di tali associazioni sul suolo torinese, questi vengano “invitati a rallentare l’accesso delle donne non solo all’aborto, ma anche alla contraccezione di emergenza, non solo utilizzando linguaggio volto a colpire emotivamente le donne (“Capisco che lei sia vittima di violenza, ma se ora abortisce farà lei stessa una violenza”), ma anche attraverso vere e proprie menzogne antiscientifiche (“Una gravidanza può guarire la leucemia”, “Un aborto renderà il suo partner omosessuale”, “Non può accedere all’aborto senza il consenso del partner”)”.
Insomma, di certo il supporto economico può costituire uno tra i fattori determinanti nella scelta di portare avanti una gravidanza. Come è vero che la stessa legge 194 prevede il vaglio di soluzioni alternative all’interruzione di gravidanza. Ma gli enti e i servizi preposti a tale scopo esistono già. Promuovere un servizio pubblico, laico e di supporto al cittadino costituisce fattore più che sufficiente. Senza un indottrinamento ideologico del quale le donne non hanno alcun bisogno.
Valeria Casolaro
8/2/2024 https://www.lindipendente.online/
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