Il pilota automatico e il caos
Fin da quando il caos virale irruppe nell’ordine del mondo già sconvolto dalla convulsione dell’autunno 2019, chi ha orecchie fini cominciò a percepire, là sotto, là dietro, il rumore di una disgregazione inarrestabile, il tuono sotterraneo dello scardinamento di tutti gli ordini: quello economico, quello geopolitico, e più importante di tutti, dell’ordine psichico.
Nessuno di questi ordini era mai stato ordinato, questo è vero. Ma i cardini più o meno tenevano: tra sofferenze immani, violenze intollerabili e crolli subitanei i cardini tenevano: la legge, il denaro, la super-cacofonica messa cantata del mediascape tenevano insieme un mondo senescente e disperato. Quando si misero a proliferare le invisibili particelle e il contagio si manifestò, quando la vicinanza dei corpi venne interdetta, a quel punto intuimmo che i cardini non avrebbero tenuto.
Fino da quei primi giorni dicemmo: la sindemia, concatenazione di collassi distinti (collasso dell’ambiente, della geopolitica, della società e del cervello collettivo) è destinata ad agire come un’apocalisse. Se sapremo impararne la lezione, se saremo capaci di trasformare il modo di produzione e prima di tutto le attese di consumo, l’umano potrà forse conoscere un tempo nuovo. Se invece pretenderemo di rimettere in moto la macchina della normalità, se punteremo a riattivare la crescita economica tramite l’estrazione di risorse per l’accumulazione, allora prepariamoci: l’apocalisse prepara l’estinzione.
Lasciamo che il trauma lavori, l’elaborazione del trauma prenderà un tempo lunghissimo perché al trauma succederanno altri traumi al primo collegati (la pandemia genera recessione, la recessione disoccupazione, la disoccupazione migrazioni, le migrazioni nazionalismo, e il nazionalismo guerra e così via)…
Per quanto ci riguarda null’altro possiamo fare che assistere allo sdipanarsi del trauma, e costruire minuscoli congegni di vita egualitaria frugale e centrata sull’utile invece che sul denaro.
Solerti accorsero i custodi dell’accumulazione: abbandonando le passate geremiadi austeritarie che dieci anni fa provocarono lo strangolamento delle società europee, impoverimento e precarizzazione, promisero valanghe di denari.
Ma come? Non era forse la restituzione del debito una necessità naturale, un comandamento divino che non si può trasgredire se non si vuole finire come gli infidi Greci cui venne comminata la pena dell’umiliazione, della fustigazione pubblica e infine della riduzione in miseria? Non più: il virus ci ha impartito la lezione è che non ci sono verità naturali, ma soltanto rapporti di forza (leggi anche Il debito è un rapporto sociale, ndr). Nel 2015 il volto austero della troika, nel 2020 i cordoni della borsa che si allargano per far fluire un fiume immenso di denaro.
Ma come? Non avevamo detto che il debito non deve salire ulteriormente perché altrimenti apriti cielo i nipoti e pronipoti soffriranno le conseguenze della nostra prodigalità? Ma il virus ci ha insegnato che il denaro è puro flatus vocis, enunciazione linguistica che incontra (quando l’incontra) la fiducia della società. Talora non accade: la fiducia precipita, la domanda ristagna, e la depressione dilaga.
La macchina continua la sua corsa
I cardini della macchina globale cominciarono visibilmente a scardinarsi, ma per quanto sgangherata la macchina globale continua la sua corsa, almeno finché può.
Poiché la politica è l’esercizio della volontà che governa il processo sociale, essa ha perduto la sua potenza quando è comparso il virus: la politica non può nulla contro l’infinitamente piccolo, l’infinitamente grande, e l’irriducibilmente complesso. La proliferazione delle microplastiche, della radioattività nucleare, o del virus contagioso sfuggono all’azione della politica perché sfuggono prima di tutto alla sua comprensione. Così sfugge alla politica lo scioglimento dei ghiacciai, l’estendersi degli incendi e l’innalzamento dell’acqua degli oceani, perché la politica non può nulla contro l’irreversibile.
I politici si divisero allora in due partiti: gli assassini professionali cui poco importa della malattia e della morte purché il business non si interrompa, e quelli spaventati dall’ingovernabile, che rapidi si misero in disparte lasciando il posto alla disciplina sanitaria a costo di interrompere il quotidiano commercio del riprodursi e dell’accumulare. La disciplina sanitaria prese il posto della scelta politica. Anche coloro che han dedicato la vita a far quadrare i conti, specializzati nel trasformare il concreto del lavoro e del sapere nelle figure astratte del capitale, si videro costretti a uscire dal loro tradizionale riserbo e presero il posto dei politici la cui arte ha perduto efficacia.
Questo è accaduto in Italia secondo gli stilemi specifici della commedia dell’arte dove questioni drammatiche sono messe in scena da figure comiche: l’ignorante spaccone e violento che vuole affogare tutti gli immigrati, il ministro degli Esteri che non sa in che paese avvenne il colpo di stato di Pinochet, il fiorentino arguto che ha imparato la storia dell’arte su un depliant dell’agenzia turistica di Piazza della Signoria, e sullo sfondo il vecchio mammasantissima un poco ottenebrato, ma sempre molto attento ai destini delle sue aziende.
La finanza globale aveva bisogno di garantirsi il controllo dell’enorme massa di denaro che l’Unione Europea ha destinato all’Italia perché il paese non sprofondi e non trascini con sé l’economia del continente. Non si potevano lasciare tutti quei soldi in mano ai cinque stelle, che nell’ultimo anno hanno imparato come ci si comporta ma non si sa mai. Ecco allora che l’arguto fiorentino spacca tutto.
Di lui la finanza globale può fidarsi: durante un incontro recente con un illustre democratico arabo, protettore dell’arte e squartatore di giornalisti, ha pronunciato una frase che lo rende simpatico a Confindustria, al Fondo Monetario e a Goldman Sachs. Col sorrisetto cretino di un lacchè pizzicato a leccare un culo assai fetido, ha dichiarato che il suo sogno è un costo del lavoro contenuto come quello che l’Arabia, faro di civiltà, paga agli schiavi pachistani coreani e palestinesi. Lo schiavismo non è affatto un residuo doloroso del passato. Nell’agricoltura del sud italiano e spagnolo, nella logistica di tutta Europa, e in settori sempre più vasti del lavoro precario lo schiavismo tende a divenire la forma dominante del lavoro post-pandemico.
A meno che tutto crolli, e dopo ne riparliamo.
Ma per il momento non crollerà, perché l’arguto ha aperto la strada a Draghi, che all’arguzia cialtrona sostituisce l’ironico cinismo.
Il compito del signor Mario Draghi
Chi è Draghi? Draghi è una persona colta che ha studiato i principi con Federico Caffè e l’applicazione dei principi con la Goldman Sachs (lo raccontava su Comune qualche anno fa un altro allievo e amico di Caffè, Bruno Amoroso: I cattivi allievi e i draghi ribelli).
È probabilmente consapevole dell’indegnità morale del suo compito che è piegare la vita sociale alla regola matematica. Ma è convinto che non ci sia alternativa alla regola del profitto privato.
Perché la pandemia ha colpito così profondamente nella vita sociale? Perché per quarant’anni la sanità pubblica è stata definanziata, la medicina di base disincentivata, la ricerca privatizzata. L’interesse privato, la competizione economica come criterio ultimo di verità, come criterio epistemico che regola i saperi sociali. Questo è il cancro che ha impoverito la società e l’ha esposta alle tempeste virali.
La diffusione del vaccino ripropone oggi questo tema: se la regola che governa è quella del profitto, il sud del mondo dovrà aspettare molti anni prima di vaccinare le popolazioni. Al momento solo il 5 per cento del vaccino è andato ai paesi del sud del mondo come l’India che è uno dei paesi più colpiti, e che produce il vaccino sul suo territorio ma non può usarlo perché appartiene ad aziende americane. Solo la violazione sistematica della regola privatistica potrebbe rendere pubbliche le licenze e i brevetti, potrebbe permettere ai paesi poveri di produrre direttamente il proprio vaccino.
Ma quella regola non si può trasgredire.
Draghi è stato acclamato da un coro ridicolo quanto eterogeneo di cortigiani che credo intimamente lui disprezzi: ha la cultura del Grande Cinico, capace di accettare la dissonanza cognitiva di chi serve il male in modo consapevole perché riconosce che il mondo non è altro che il luogo del male. Non ha forse studiato alla scuola dei Gesuiti, non è forse un cultore di Ignazio di Loyola la cui teologia ci consiglia di lasciarci guidare dal principio Superiore perinde ac cadaver?
«…persuasi come siamo che chiunque vive sotto l’obbedienza si deve lasciar portare e reggere dalla Provvidenza, per mezzo del superiore, come se fosse un corpo morto (“perinde ac cadaver”), che si fa portare dovunque e trattare come più piace».
A Loyola del resto deve la sua formazione un altro grande Mario, il Bergoglio, cui tutti vogliamo bene. L’Italia è protetta da Dio, e dal pilota automatico.
Il pilota automatico
Nel 2011 molti protestavano contro l’austerità finanziaria che stava tagliando risorse alla scuola alla sanità pubblica al salario e alle pensioni in nome del Principio Superiore della parità di bilancio e della restituzione del debito, e Draghi commentò, col sorriso del Grande Cinico, che non c’era ragione di preoccuparsi di quelle turbolenze, perché l’economia finanziaria è guidata comunque dal pilota automatico.
Il pilota automatico è una declinazione post-modern del principio superiore che il fondatore della Compagnia di Gesù invita a seguire perinde ac cadaver. La teologia finanziaria è una cosa seria: come la teologia gesuita riconosce che il mondo è luogo dominato dal male e il male ha una sua logica imperscrutabile cui dobbiamo piegarci per conseguire il bene.
Non dovrebbe ripetersi per Draghi la parabola di Mario Monti, che si insediò alla presidenza del Consiglio dopo un colpo di stato pacifico guidato da Napolitano per conto del sistema finanziario che voleva liberarsi dell’imbarazzante Berlusconi. Monti, pover’uomo, doveva stringere i cordoni della borsa, ridurre le pensioni, tagliare la scuola e la sanità coi risultati che oggi vediamo. Draghi ha il compito di distribuire la provvidenza europea, e può farlo con una certa moderazione. Vedremo presto come si comporta su questioni come il reddito di cittadinanza, come il blocco dei licenziamenti e così via. Ma credo che avrà la mano leggera e terrà conto del peso parlamentare dei suoi nuovi adoratori a cinque stelle. Il suo compito è strategico, e non si misura sui prossimi sei mesi.
Il compito di Draghi è quello di restituire al pilota automatico (il regime del profitto finanziario) il dominio sulla situazione, e di impedire che dal caos germinino nuove forme di solidarietà sociale che rendano possibile la redistribuzione della ricchezza, e l’instaurazione del primato dell’utile sul denaro. Nel breve-medio periodo ce la farà.
E se la causa principale dell’impoverimento sociale è stata la sistematica privatizzazione delle risorse, Draghi – che è stato uno dei più autorevoli privatizzatori dell’epoca neoliberale – garantirà che l’interesse collettivo resti soggetto all’interesse privato.
Dunque i giochi son fatti? Non proprio. C’è un’altra forza in campo, oltre al pilota automatico, e quella forza è il caos.
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L’apocalisse pandemica ha inaugurato un processo di sgretolamento che nessun intervento finanziario può fermare. Pensiamo forse che i soldi del Fondo di ripresa saranno investiti per garantire un reddito a tutti, per deprivatizzare i beni comuni come l’acqua i trasporti, la scuola e la sanità?
Draghi sta lì per impedire che questo accada, per rilanciare la crescita “whatever it takes”.
Il caos può contenere forme di vita migliore
L’intervento finanziario forse servirà a rilanciare il profitto d’impresa e a costruire infrastrutture per l’estrazione e lo sfruttamento, ma non ferma la diffusione del virus, né a curare l’epidemia di depressione, né a fermare l’onda migratoria e il declino demografico e la rabbia impotente. Non fermerà il caos.
Il caos è un nemico, ma può essere un alleato. È devastatore, ma può contenere magmaticamente le forme di una vita migliore. Dal caos può nascere, deve nascere, una soggettività capace di modificare le attese di mondo, i bisogni, le forme abitative, le direzioni della ricerca. La soggettività sociale è al momento in una condizione di paralisi immaginativa, mi pare. Deve elaborare un trauma di cui non conosciamo l’evoluzione.
Il pilota automatico cercherà di rimettere in moto la macchina sociale secondo la vecchia regola dell’accumulazione e della disuguaglianza. Ci riuscirà per un poco, ma non ci riuscirà a lungo, perché il caos gli impedirà di reincardinare lo scardinato.
Occorrerà allora mettersi in ascolto del caos, senza farsi distrarre dalla gazzarra dei cortigiani, né dal sorriso severo del pilota automatico.
Franco Berardi Bifo
82/2021 https://comune-info.net
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