Morti sul lavoro. Il profitto uccide
Le reazioni rispetto al tema della prevenzione nei luoghi di lavoro sono quasi sempre retoriche. Altre, dettate dalla rabbia, sono comprensibili, ma in tutti i casi, contengono risposte semplicistiche. Non basta chiedere più controlli e più carcere per risolvere il problema, soprattutto se enti e giustizia sono in mano a chi domina la società
di Renato Turturro, uTecnico della prevenzione
“Se potesse bastare partorire parole
Dedicare preghiere, seminare le viole
Dondolare sul filo per sfidare il destino
Intrecciare ghirlande per deviare il cammino…” (P.Bertoli – Se potesse bastare)
Questa lettera non è stata scritta per mettere al centro l’ego emotivo piccolo borghese di un operatore, ma per parlare del sangue operaio e della mancanza di relazioni tra le organizzazioni dei lavoratori e gli enti competenti.
Al mattino, solitamente, ho l’abitudine di leggere delle notizie, un ricalarmi subito nel mondo reale dopo la fuga del sonno. Non mi sfugge mai, la ricerca quotidiana degli infortuni sul lavoro, con le relative reazioni retoriche di istituzioni e organizzazioni sindacali. Se le parole fossero precedute dalle azioni, forse qualcosa cambierebbe. Stamattina, la prima notizia dell’ennesimo morto, mi è stata data da un collega impegnato sul posto nei primi rilievi, utili a chiarire le cause e le responsabilità. Appena ieri, c’è stata l’esplosione che ha coinvolto le vite di tre operai alla Sabino Esplodenti di Casalbordino, episodio analogo a quello di tre anni fa. C’erano anche stati degli esposti alla Procura rispetto alle condizioni di rischio all’interno dello stabilimento, ma nulla è stato, con le conseguenze ormai note. Di fronte a tutto questo sistema del profitto mortifero, un operatore della prevenzione, si trova di fronte a un gigante contro cui lottare. Il gigante è costituito dalle aziende e tutte le loro figure apicali e intermedie che hanno il mandato di creare profitto, quindi risparmiare a scapito della salute. E dagli enti, che hanno il mandato di non essere troppo duri o non andare per nulla a controllare determinati settori. Mentre, da un altro lato, ci si trova in un vuoto, dettato dalla carenza di organico e da una mancanza di strategie di politica sanitaria della prevenzione. O meglio, dentro un sistema della salute pubblica che ha deciso di essere impostato con la logica della produttività e del profitto, senza un’analisi dei bisogni reali del territorio e della popolazione, senza alcuna visione, in cui, al centro di tutto, ci siano la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici. Si è scelto di essere il servizio pubblico delle imprese. Si è scelto di formare medici, tecnici, operatori privi di una memoria storica sull’origine dei servizi di prevenzione e sulla storia della salute nei luoghi di lavoro. Si è scelto di formare menti sulla base di una scienza che ha un approccio iper-specialistico, con delle lenti orientate al singolo problema, ma che fanno fatica a focalizzarsi sulla visione collettiva dei fenomeni. Un rincorrere e sanare i sintomi, senza andare alle radici dei problemi. All’ennesima vita distrutta, compresa quella di chi resta, all’ennesimo corpo monco, vita deprivata, ci si sente avvolti poi dalla nausea dell’immobilità. Questo da un lato porta gli operatori a rassegnarsi e trovarsi delle nicchie di beata sopravvivenza, dall’altro, mette i più motivati in una posizione di approccio solitario ai problemi. Il sistema della prevenzione, è sempre frutto di un insieme di azioni, reti, soggetti e relazioni che devono muoversi sincronicamente in una direzione. Questa direzione è in larghissima parte determinata dal progetto di politica sanitaria che si vuole avere, in cui è fondamentale chiarire quali siano i destinatari. È un atto partigiano. In larga parte però, gli enti sono diretti da dirigenti, orientati dagli organi politici e che non condividono all’interno delle organizzazioni alcune informazioni, orientando inoltre i servizi, verso un continuo approccio pacificatorio e buonista nei confronti delle imprese. A questo si aggiunge uno scarsissimo coinvolgimento, ove siano genuini, dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ( RLS).
Nonostante vi sia una sovrapposizione di competenze tra gli enti deputati al controllo delle condizioni di lavoro e alla promozione della prevenzione ( ASL o ATS, Ispettorato del lavoro, Nucleo Ispettorato del Lavoro del Corpo dei Carabinieri), le statistiche ogni anno non mutano, ma anzi, spesso peggiorano. È innegabile che ci siano delle carenze in termini di risorse economiche e di forza lavoro, ma spesso quelle poche risorse sono mal gestite, appunto perché, mancano delle visioni e delle strategie collegate alle specificità delle economie e delle tipologie produttive presenti nei territori.
Le reazioni rispetto al tema della prevenzione nei luoghi di lavoro sono quasi sempre retoriche. Altre, dettate dalla rabbia, sono comprensibili, ma in tutti i casi, contengono risposte semplicistiche. Non basta chiedere più controlli e più carcere per risolvere il problema, soprattutto se enti e giustizia sono in mano a chi domina la società. Forse, si dovrebbe iniziare a recuperare la storia di questi saperi, le pratiche di costruzione di relazione tra enti e lavoratori/lavoratrici (con o senza le organizzazioni ufficiali), confrontarsi, mettendo da parte certezze e pregiudizi (scrive uno del “posto fisso”, come se questo fosse privo di problematiche e si debba continuamente giocare a ribasso) e ricercare una reale volontà di inversione dei rapporti all’interno dei luoghi di lavoro. Rafforzare la rappresentanza e quindi la risoluzione interna delle problematiche del luogo di lavoro, riprendendo strumenti come “la validazione consensuale”, “ il rifiuto della delega”, “il controllo operaio”. Costruire reti non autoreferenziali di difesa e di attacco, costituite da lavoratori, tecnici, medici, giuristi, militanti. Restare solidali nei fatti con chi subisce rappresaglie perché denuncia condizioni di lavoro indegne.
Non è affatto semplice, ma va praticato se non vogliamo vedere ogni giorno su giornali queste notizie, se non vogliamo che un nostro collega, amico, parente, vicino venga annientato in nome del profitto.
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