Il puttano

 

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Bello, anzi bellissimo. La bellezza è un manto, un costume, un ballo e non ritrae quel che dentro esprime, se non la consumata immagine da guardare. E’ difficile essere belli e intelligenti, forse sarebbe meglio dire che la bellezza interessa, incuriosisce, appetisce molto più dell’intelligenza, siede sul trono del desiderio. Indossare il manto della bellezza è un piacere,  un piacere che deprime quando stona  in tavola e annebbia le altre qualità e altri timidi talenti da presentare, da pronunziare. Bello, anzi bellissimo, tutto il resto passi per onore e gloria, non per talento. L’amico di sempre teme di far  conoscere la sua nuova amata, sa già cosa direbbe e se cambiasse il tempo approfitterebbe per una gita fuori porta, lontano dal bello.  L’odio per la bellezza gioca d’azzardo fin dove sfregia. Non sono belli e dannati, ma belli e detestati. La bellezza è proletaria, lo sfregio sulla bellezza è fascista, nazista, viscido!

Il puttano

Ormai la sua storia è nota, la conoscono anche i cani e i gatti del paese. Credo la conosca  anche il cavallo di zio Felice. Lui, quando nessuno lo ascolta, si rivolge sempre a Callisto,  il suo quadrupede, ormai troppo vecchio per correre, troppo giovane per morire.

Marco il belloccio soffriva d’asma da bambino,  eppure a  vent’anni venne scelto da una fabbrica di jeans come modello.  Non guadagnava molto,  tuttavia poté proseguire gli studi senza gravare sulla famiglia.   Le sfilate occupavano poco spazio e lui, nel tempo libero,  amava le donne.

A ventidue anni comprò la prima auto e spese fino all’ultima lira dei suoi risparmi, tanto che il giorno seguente lasciò un debito al  benzinaio e uno al bar.  Per non rimanere squattrinato chiese un prestito agli amici, prima Viviano,  dopo Cecchino e via via a tutto il clan, compreso Dario a cui aveva prestato, tempo addietro,  duecentomila lire. Nessuno lo aiutò, ma quella sera incontrò donna Luna, Luana sul passaporto, la moglie dell’ingegnere, la maestra di ballo, ricca e avvenente, dolce e matura, innamorata già di Marco il belloccio.  La differenza di trent’anni s’accorciò drasticamente  in una notte di aprile, tra le stelle del cielo e il fruscio dei rami accarezzati dal vento. Lui promise il corpo, lei corpo e  tasca,  e al patto s’unì il segreto.

In cantina i toni s’alzano per diletto, in paese i toni passano da lingua a orecchio, da orecchio a lingua per difetto.

Così, quasi per diletto, difetto  e sfregio, l’ingegnere, marito della Luna,  da sempre odiato dal clan, dal barista e dagli accessori squilibrati sui marciapiedi circostanti, diventò amico della cricca, amico di risate clandestine.  Marco il belloccio fu estromesso, troppo bello per essere di parte, troppo bello per essere un amico.

Certi giochi vanno protetti dentro il palazzo, nel paese e in piazza. “L’amico nemico si rivela al tatto”,  diceva il professore;  e così fu proprio Viviano il primo  a togliergli il saluto, da amico veterano a nemico predestinato.  “Voce di popolo, voce di dio”, ripeteva spesso il prete mancato, dopo la quarta birra.

Marco non seguì le chiacchiere, continuò per logica e principio a frequentare la Luna di Luana, Luana la Luna.  “Di solito in paese, la voce del popolo trae spunto dalla voce degli ignobili e dei meschini,  dal perbenismo e  dalla calunnia”, disse il professore.  Qualche mese dopo a Luana si aggiunse Milena, lui donò il corpo, lei corpo e tasca. Qualche giorno dopo a Luana e Milena,  si aggiunsero   Barbara, Gemma, Flaminia e altre ancora.

Solo l’invidia spara sulla  bellezza,  per cui girò voce che Marco era malato.

Luna, Gemma, Flaminia, Barbara e Milena continuarono a vederlo di nascosto, meno gente sa, meglio è!

Di solito non basta l’invidia,  l’invidia non riesce ad ammazzare la bellezza, per cui s’organizzò il pestaggio di giovedì. Il clan non sapeva quanto e quando Marco si dedicasse alla sua professione, per cui aspettarono invano che rientrasse a casa.

Il giorno dopo, Marco il belloccio entrò al bar con un sorriso adatto a  tutti, finanche per chi, a sua insaputa,  partecipò all’agguato e  quando disse  “cosa vi prendete? Oggi pago io!”

La fila si fece largo e ognuno avanzò le sue pretese. Il Belloccio pagò il conto e si fermò a parlare con uno a caso: Michele il parrucchiere.  In poco tempo gli raccontò peste e corna di altri,  del resto il vizio non è mai troppo sistemato.  “Chi sputa sugli altri davanti a noi, quando va con gli altri sputa su di noi”, ripeteva il professore.

L’anno seguente,  le voci sul suo conto giunsero anche a Marco il belloccio, anzi lo capì bene notando d’essere attorniato,  amico di sole donne. “Di solito la cattiveria cade a pennello sulla bruttezza, come la pioggia sulla terra arida” raccontava zio Gino.

Marco il belloccio fu ricoverato d’urgenza, le voci degli uomini non si placarono, invece le donne turnavano di  fianco al suo letto.  Un giorno andò anche Luana, pur sempre di Luna si parlava. Tra risate e ricordi lei affermò “c’è più solidarietà tra puttane, che tra cornuti”. Lui provò a spiegarle “non m’importa di quel che pensano, l’unico che potrebbe rimanere offeso è tuo marito, ma pare che non si lamenti. Gli altri ragliano come asini e io non sopporto chi raglia”.

“Tu sei belloccio, ma ancora bamboccio. I  brutti ti faranno sempre la guerra e più sono brutti più vorranno la tua fine. Gli uomini quando parlano di puttane sanno cosa dire, invece quando parlano di puttani mandano le maledizioni  e se non colgono le maledizioni, vanno di persona. In realtà vorrebbero essere tutti bellocci, intelligenti e puttani come te, per questo t’odiano”.

“Mi nutro con l’amore delle donne, non con l’odio degli uomini di questo paese. Tu non sei invidiata?”

“No, mio caro, io sono semplicemente la puttana sposata dall’ingegnere, anche quando insegno a ballare ai loro figli, quando sudo  per i loro saggi, quando non dormo  per insegnare un passo a una bambina. I miei amici sono bambini, la mia nemica è la chiacchiera.  L’uomo che chiacchiera troppo, di solito, è un marito troppo cornuto. L’ingegnere lo sa, per questo tace”.

“Saranno contenti quando la polmonite e l’infezione ai polmoni  mi stenderanno”.

“No, povero Belloccio, la chiacchiera ha sete di sangue, finito il tuo troverà un’altra preda.  Succede ovunque, la bruttezza si arma di perfidia, di crudeltà. La bellezza può solo difendersi e godere degli attimi in cui  sfugge alla bruttura.

Ciao Belloccio, difenditi bene, la tua Luna tornerà sempre, quando avrai bisogno. Sono vecchia e so rimasta donna”.

Marco socchiuse gli occhi, per cercare un altro nome alla Luna, mentre Callisto, il cavallo di zio Felice s’accasciò a terra  e rimase in vita fino a quando entrò nella stalla il suo padrone, giusto il tempo di un bacio e il dolore staccò il battito.

In paese, il tramonto calò presto e la chiacchiera si precipitò a messa per pregare l’ormai defunto. Le donne piangevano, gli uomini parevano soddisfatti nel veder passar la bara con su scritto per esteso “il puttano”.

Antonio Recanatini

Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

Racconto pubblicato sul numero di gennaio 2018 www.lavoroesalute.org

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