Il rapporto annuale della Garante per i diritti delle Persone private della Libertà personale del Comune di Torino: i numeri dell’orrore dentro al carcere torinese.
(Foto di Mamme in Piazza per la Libertà di Dissenso)
E’ stato presentato in un incontro aperto al pubblico, presso una sala del Comune di Torino, il rapporto annuale della garante che si occupa dell’applicazione dei diritti nel Carcere Lorusso e Cotugno, nel carcere minorile Ferrante Aporti, nell’ormai chiuso C.P.R. e per le pratiche riguardanti i Trattamento Sanitari Obbligatori.
Pubblicato e scaricabile dal sito del comune http://www.comune.torino.it/garantedetenuti/wp-content/uploads/2024/04/Relazione-annuale-Garante-attivita-2023.pdf il rapporto consta di 390 pagine che ci siamo prese il tempo di leggere con attenzione, limitandoci però al carcere per adulti che è la struttura con cui siamo solite interagire come comitato di madri.
La relazione mette insieme molteplici aspetti che riguardano soprattutto il carcere torinese per adulti che, per dimensioni e numeri, è l’oggetto delle maggiori attività nonchè delle maggiori criticità puntualmente descritte dalla Garante, la dottoressa Monica Cristina Gallo, e dalle numerosissime testimonianze che la Garante stessa ha voluto coinvolgere nella stesura.
Il rapporto è diventato quindi un testo di accusa corale all’attuale sistema penale e carcerario italiano e a leggerlo con attenzione non possono sfuggire le pesanti responsabilità politiche e di governo che stanno attuando la transizione “dallo stato sociale allo stato penale” rivelando una netta tendenza a governare questioni sociali privilegiando lo strumento penale, distorcendolo sempre più all’interno di una cultura autoritaria, repressiva e reazionaria.
Non stupisce quindi che la “questione carcere”, con lo spaventoso tasso di suicidi che ha raggiunto, ma anche con le proteste di chi ci lavora, della polizia penitenziaria e dei loro sindacati, non trovi un’adeguata risposta istituzionale e sia lasciata languire in quello spazio sociale per cui la “pena” avrebbe valore solo in quanto afflittiva. Le chiavi della galera sono ormai state buttate e nessuno ha interesse di andarle a recuperare.
A dirlo, in questa relazione, sono i dati forniti dalla garante, ma anche dalle osservazioni del “Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti”, di Magistratura Democratica, della ex presidente del Tribunale di Sorveglianza e della referente della campagna “Madri Fuori” e “No DDL Sicurezza”.
Proviamo a riassumere e ad evidenziare alcuni dei ricchi contenuti che sono stati illustrati e forniti di dati accurati.
Ricordiamo che il carcere delle Vallette avrebbe una capienza di 990 posti tra uomini, donne e donne con bambini. Ha quindi sezioni maschili, femminili e una sezione dedicata alle madri con bambini. Al suo interno le sezioni sono poi ulteriormente suddivise in alta, media e ordinaria sicurezza, un reparto di osservazione psichiatrica, reparti per chi ha problemi di salute, reparti per tossicodipendenti, per sex offenders, per l’isolamento, sezioni dedicate a chi segue i corsi universitari, alla squadra di rugby e a chi lavora all’esterno.
E’ quindi un enorme villaggio con all’interno una molteplicità di situazioni e di bisogni da gestire.
La questione del sovraffollamento
La prima grande questione denunciata è quella del sovraffollamento che varia, a seconda delle sezioni, dal 156% al 191%, con una presenza media di circa 1200 persone.
Il sovraffollamento impedisce un trattamento rispettoso degli standard minimi individuati dalla C.EDU[1] per non considerare i trattamenti inumani e degradanti, ed inoltre incide sul lavoro di presa in carico e di osservazione esercitato da educatori e personale della polizia penitenziaria, essenziale per attivare progetti educativi e riabilitativi. Spesso è all’origine di comportamenti conflittuali connotati da violenze e intimidazioni tra persone detenute.
Tenendo conto che circa il 52% sta scontando una pena residua minore di 3 anni e quindi potrebbe richiedere misure alternative attivate presso il proprio domicilio, ci si chiede come mai non venga attuata prontamente questa possibilità offerta dalla legge. I vari osservatori denunciano che l’impedimento al loro accesso è indicativo di una complessiva povertà: “povertà di supporto sociale, di assistenza legale, spesso di comprensione delle norme stesse; povertà anche materiale perché frequentemente l’assenza di una abitazione o la sua inadeguatezza sono alla base della riluttanza a concedere queste misure a persone che si presentano con tali caratteristiche.”
Se dentro al rapporto compare la presenza di una vasta rete di volontariato che del reinserimento sociale si fa carico con progetti di accoglienza abitativa e lavorativa, appare però sproporzionata la differenza tra necessità ed opportunità. Una carenza che non sembra preoccupare le istituzioni nell’indirizzare ulteriori risorse. Anzi, la presidente del Tribunale di Sorveglianza in primis denuncia la cronica carenza di organico che impedisce lo svolgimento delle mansioni ordinarie.
La carenza di organico
Gli organici a qualsiasi livello sono estremamente scarsi e carenti, mancano i vicedirettori il cui apporto sarebbe necessario per garantire la vasta rete di attività e non inseguire le emergenze. Manca il 20% degli operatori penitenziari obbligando chi lavora a turni stressanti in condizioni di continua emergenazialità, mancano educatori, psicologi, psichiatri … Vi sono 2 mediatori culturali per una popolazione straniera di circa 600 persone di 40 diverse nazionalità. Mancano inoltre organici adeguati alla mole di lavoro sia negli uffici del Tribunale di Sorveglianza che della Esecuzione Penale Esterna.
Carenze gravi che si riflettono sull’attuazione dei progetti riabilitativi: solo il 3,7% dei detenuti lavorano all’esterno, mentre i lavori interni interessano circa il 30%. Solo il 17% segue corsi di formazione professionale, il 4,2% sono iscritti ai corsi universitari. Mentre nel frattempo le persone vengono lasciate sole e prive di supporto adeguato di fronte alle violenze e alle intimidazioni intramurarie.
Nel solo anno 2023 al Lorusso e Cotugno si sono verificati 4 suicidi e 57 tentativi di suicidio, 135 atti di aggressione, 159 di autolesionismo, 255 atti di protesta individuale tramite sciopero della fame, sete o rifiuto delle terapie e 15 proteste collettive.
Il disastro strutturale
“Le opere di manutenzione sostenibili dall’economato dell’istituto non sono sufficienti a garantire a tutti i detenuti uno spazio salubre e decoroso”. Segni di muffa, finestre schermate da grate, presenza di blatte, topi e cimici nei materassi. Un generale abbandono dei locali, con spazi sporchi e fatiscenti, privi di adeguati arredi. Tubature vecchie e inadeguate.
Se la fatiscenza appare come lampante a qualsiasi visitatore il gestore statale si dovrebbe interrogare sullo spreco che esso genera e sulla spesa giornaliera che questo carcere costa alla collettività: 16.000 € al giorno di sole bollette per luce, teleriscaldamento e acqua (che qui, grazie alle tubature, ha un consumo triplo che nel resto della città).
La salute
“Anche il 2023 è stato caratterizzato da gravi carenze sotto più aspetti in ambito sanitario. Le segnalazioni da parte delle persone detenute riguardano in particolare problemi legati alle cure, all’acquisto dei farmaci, alle relazioni con il personale medico ed infermieristico ed alle problematiche relative ad effettuare esami diagnostici all’esterno. Risultano frequenti le disdette di visite o interventi anche programmati da lunga data. “
Noi ci ricordiamo che durante l’estate tutto il personale medico si è dimesso in massa a causa della situazione insostenibile e delle pessime condizioni contrattuali. Un nodo che appare tuttora irrisolto.
A fianco di cure sanitarie evidentemente precarie prolifera invece la somministrazione, l’impiego e l’abuso di psicofarmaci: cinque volte superiore rispetto alla popolazione generale, ci dice l’inchiesta pubblicata su Altreconomie[2] del novembre 2023. Con una spesa al Lorusso Cutugno di 35 € a persona contro i 3,5 € per ogni piemontese.
Nella relazione appaiono alcune luci come le attività del volontariato, gli impegni della città con vari progetti sociali e culturali, il coinvolgimento delle scuole e il grande sviluppo del polo universitario, le aree e i laboratori dedicati al lavoro.
Ma ci appaiono come luci troppo deboli e soffuse per poter rischiarare la vita di questo grande villaggio alla deriva dove, se entri, e ogni giorno è più facile entrare, hai una notevole percentuale di possibilità (dati alla mano) di trovarti in una cella sovrappopolata e fatiscente, senza nulla da fare se non contare le cimici e le blatte, in compagnia delle urla delle tante persone che soffrono di disturbi mentali.
Per questa fotografia impietosa non possiamo che ammirare la costanza e la tenacia, e probabilmente anche il coraggio, della attuale Garante del comune di Torino che ogni giorno tenta di recuperare la “chiave buttata” della galera e restituirla alla società tutta.
Non una mera osservatrice da quando, dopo avere denunciato le torture che avvenivano in una delle sezioni, si è costituita parte civile nel processo e ha fatto ricorso in appello contro condanne che non riconoscono la gravità delle condotte e delle responsabilità.
[1] Convenzione Europea Diritti Uomo
[2] https://altreconomia.it/prodotto/263/
16/4/2024 https://www.pressenza.com/
Mamme in piazza per la libertà di dissenso
16/4/2024 https://www.pressenza.com
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