Il “Recovery Plan” non può ignorare il lavoro delle persone con disabilità
Da tempo la politica e le Istituzioni si sono totalmente dimenticati del tema disabilità/lavoro e nemmeno nel Recovery Plan [Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per l’utilizzo dei fondi stanziati dal “Recovery Fund” dell’Unione Europea, N.d.R.] le centinaia di migliaia di persone con disabilità disoccupate,
che attendono da anni una proposta di lavoro, sono state prese in
considerazione, dimenticandosi anche dei richiami internazionali che
denunciavano l’inefficacia del sistema del collocamento pubblico, che
vede l’Italia fra gli ultimi Paesi europei per tasso di
occupazione di lavoratori con disabilità. Solo il 35,8% di loro,
infatti, sono occupati, mentre, per la stessa fascia di età, il tasso di
occupazione delle persone senza disabilità è pari al 57,8%. E la media
europea delle persone con disabilità occupate era, nel 2017, pari al
48,7% (Progress Report sull’attuazione della Strategia Europea sulla Disabilità).
Si tratta di un gravissimo indice di sottosviluppo umano e civile,
puntualmente sottovalutato da tutti i Governi che si sono succeduti
nell’ultimo quinquennio. Eppure tutti sanno che i Servizi Provinciali
non riescono a collocare annualmente più del 3-4% degli iscritti e che per alcune categorie (disabilità psichica, intellettiva, malati rari, neuroatipici ecc.), la percentuale scende allo 0,2-0,1%. Alla bassa performance generale, si aggiunge poi il gravissimo divario territoriale,
se è vero che le sperimentazioni e le iniziative di cooperazione
pubblico-privato-privato sociale riguardano solo parti limitate di
territorio.
Già nel 2010 un documento redatto dal Consiglio Europeo
prendeva in esame le conseguenze che la crisi economica avrebbe avuto
sull’ occupazione delle persone con disabilità; quel testo sottolineava
che il ricorso a sostegni economici avrebbe incontrato crescenti
difficoltà, e suggeriva di predisporre adeguate strategie
di politiche attive. Nulla, però, è stato fatto e oggi ci troviamo di
fronte un sistema pubblico totalmente inadeguato e una crisi economica e
pandemica che acuiranno ulteriormente le contraddizioni sociali esistenti.
Ma è proprio dove la fragilità sociale si fa più acuta che si misurano
il welfare e l’etica di uno Stato, cosicché gli attuali governanti si
troveranno esposti non solo al giudizio degli italiani, ma di tutti gli
Stati Europei.
Oggi si discute di un Recovery Plan che non prende in considerazione una fascia sociale comprendente oltre 5 milioni di cittadini (disabili, famiglie e operatori del settore). Eppure siamo di fronte a un ingente pacchetto di misure e di risorse economiche finalizzato a ricostruire l’Europa dopo la pandemia di Covid e il futuro socio-economico dell’Italia. Purtroppo, nelle bozze del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentate (PNRR) si individuano, nella prima stesura, missioni dedicate quasi interamente ai temi pur importanti della parità di genere, della coesione sociale e territoriale, ma nulla si dice sulla disabilità; mentre nella seconda stesura si sfiora il tema in questi termini: «Revisione strutturale delle politiche attive del lavoro e dei servizi sociali e modernizzazione del mercato del lavoro al fine di migliorare l’occupazione e l’occupabilità, soprattutto giovanile, e in particolare dei NEET, delle donne e dei gruppi vulnerabili»: niente, dunque, sull’occupazione delle persone con disabilità. Infine, una successiva bozza del 29 dicembre sembra essere più dettagliata, rendendo nota una programmazione articolata in progetti incentrati sulla «vulnerabilità, l’inclusione sociale e lo sport», con un finanziamento complessivo stimato di 6,6 miliardi. Quello di maggiore interesse, in relazione alla disabilità e al lavoro (Azioni mirate al potenziamento dei processi di deistituzionalizzazione, di supporto alla domiciliarità e all’occupazione delle persone con disabilità) viene così descritto: «Per garantire l’indipendenza economica delle persone disabili e vulnerabili e la riduzione delle barriere di accesso ai mercati del lavoro attraverso soluzioni di smart working, il progetto fornirà loro dispositivi ICT e supporto per sviluppare competenze digitali». Mentre,in quella che viene definita Missione 5 si parla di «politiche attive del lavoro», ma ci si dimentica completamente del milione di persone con disabilità in cerca di un lavoro, senza successo.
Purtroppo quanto riportato conferma la scarsa conoscenza, la completa incomprensione e il disinteresse
del tema lavoro per le persone con disabilità e per le loro famiglie.
Spaventa inoltre la superficialità con cui si auspica l’avvento dello
smart working, vissuto come una sorta di “panacea lavorativa” per tutte
le persone con disabilità, senza rendersi conto che, se utilizzato
indiscriminatamente, può favorire un ritorno alla segregazione familiare, all’isolamento sociale e ai pregiudizi imprenditoriali.
Il problema vero e urgente sta nel come affrontare l’ingresso nel mondo
del lavoro di centinaia di migliaia di persone con disabilità che
potrebbero svolgere attività lavorative utili allo sviluppo economico e
sociale del Paese. Ciò rappresenterebbe un fattore terapeutico straordinario per ciascuno di loro, una leva di sviluppo civile per l’intera società, e il passaggio da cittadini passivi a cittadini attivi socialmente utili; quindi da assistititi a contribuenti, fino ad essere come tutti costruttori della società del domani.
Per queste ragioni è necessario fare una proposta concreta e richiedere di introdurre nel Recovery Plan una linea di finanziamento specifica (500 milioni dei 10 miliardi oggi assegnati alle Missioni/Componenti M5C2 e M5C3), denominata semplicemente Inserimento e accompagnamento al lavoro delle persone con disabilità. Questa linea di finanziamento deve avere un soggetto attuatore unico nazionale,
il Ministero del lavoro/ANPAL-Agenzia Nazionale Politiche Attive
Lavoro, cioè l’istituzione responsabile delle politiche attive per il
lavoro e un fondo disciplinato da un regolamento snello e valido sull’intero territorio nazionale, che preveda criteri perequativi di assegnazione delle risorse.
I punti cardine di questo regolamento devono indicare che:
1. Le risorse siano finalizzate ai percorsi di accompagnamento al lavoro attraverso un “progetto personalizzato” e un “inserimento mirato”, che preveda cioè azioni di valutazione, formazione al lavoro, orientamento, inserimento e accompagnamento.
2. Si debba fare ricorso a figure esperte
in materia, indispensabili per realizzare efficaci progetti di
accompagnamento al lavoro, diffondere buone prassi e promuovere utili
sperimentazioni, come già auspicato dal Decreto Legislativo 151/15.
3. Le azioni debbano essere attivate e gestite dai soggetti che appartengono al Terzo Settore
(Associazioni, Cooperative Sociali, Imprese Sociali), secondo modelli
definiti e standardizzati ai fini dell’ammissione al finanziamento.
4. I progetti e le azioni conseguenti debbano caratterizzarsi per un forte carattere sussidiario rispetto al sistema di collocamento pubblico.
Sarà pertanto utile, in sede di dibattimento parlamentare, sollecitare l’attenzione della classe politica affinché venga inserito nel testo un passaggio dedicato all’inserimento e all’accompagnamento lavorativo delle persone con disabilità, finanziato con una quota a parte dei 6,6 miliardi destinati alla Missione M5C3 (o con una quota aggiuntiva), pari ad almeno mezzo miliardo, da distribuire nell’arco di un congruo periodo di sperimentazione, fino al radicamento di competenze e procedure adeguate. Questo consentirà di sviluppare e potenziare l’occupazione delle persone con disabilità e di dare, attraverso le loro Associazioni, la possibilità di essere parte attiva nel processo di inclusione socio-lavorativa.
L’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è un tema socialmente macroscopico: è pertanto inaccettabile che la classe politica intera se ne dimentichi ed è auspicabile che il Parlamento si ravveda, in occasione del dibattito sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Non è però sufficiente essere fiduciosi, bisogna fare in modo che non se ne dimentichino ancora: serve quindi un pronunciamento della società civile,
di tutti cittadini e soggetti pubblici interessati e sensibili. Il
rumore deve entrare nei palazzi della politica, ricordando che Il
silenzio è sempre complice!
Marino Bottà
Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco.
Per ulteriori informazioni sui temi lanciati nel presente testo e sulla relativa campagna di opinione: marino.bottà@alice.it; enrico.seta@gmail.it.
15/1/2021 http://www.superando.it
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