Il salto di classe
Ricordo che in tempi andati, quasi antichi, parlavamo spesso di salto di classe, in pratica l’ambizione di saltare l’ostacolo, la staccionata e ritrovarsi a sognare come un ricco, almeno per assaporar l’ebrezza. Da non paragonare a un arrampicatore sociale, ma più a un manovale che si accontenta d’assaggiar la torta più farcita, anche se solo per dire d’averla mangiata.
Inizi. Alcuni anni fa, un mio amico organizzò una rimpatriata tra fratelli di lungo corso. Ne eravamo solo quattro: due dei quali sono ancora ventenni di testa, nonostante gli anta; il mio amico felicemente sposato e padre di tre figli, poi e io cerco disperatamente di muovermi come un grande, ma, spesso e volentieri, mi ritrovo a ragionare come un quattordicenne.
Il posto per cenare lo scelse il più grande di tutti, nome di fantasia Luigi. Mi preparai cinque minuti prima, a suo tempo Luigi tardava sempre, per cui me la sono presi comoda. Stranamente, arrivò in orario, per cui non ebbi troppo tempo per truccarmi da borghese, però avrei potuto imitarli abbastanza. Scesi sotto ed erano tutti e quattro pronti, Luigi mi diede le chiavi e disse “senti, porta tu che io già sto sbronzo”. Non mi sorprese, anche a suo tempo, mi passava la patata bollente; del resto condividere con un amico dovrebbe essere un obbligo assoluto, un dovere di coscienza, ma questi sono mie idee intime da tenere sotto scorta. “Dove andiamo?” chiesi, tanto per sapere qualcosa in più. Uno dei due ventenni a 50 anni, mi rispose sorridendo “come dove, Antò? Ha prenotato dove vanno i ricchi, al Posticcio”, anche questo è un nome di fantasia. Odio spendere troppi soldi per mangiare, in Abruzzo si mangia bene un po’ ovunque, quindi ritengo sia stupido andare in posti lussuosi, anche per questo motivo. Nelle rimpatriate, però, tirarsi indietro è un tradimento a tutti gli effetti, per cui accettai con una piccola raccomandazione “l’importante è contenersi, mi raccomando”
Tecnicamente, in casi simili, io sarei colui a cui andrebbe vietato fare raccomandazione, lo insegna la storia; invece mi buttai perché intorno a me sentivo puzza di guai e li vedevo peggio di me. Pensate un po!
Andare incontro ai guai a vent’anni potrebbe sembrare un gioco, a cinquanta lo è molto meno, anzi si cerca volentieri di evitare altri guai. Nel tragitto ripescammo felici ricordi, per cui anche l’arrivo al ristorante ci vide sorridenti e felici, quasi come un tempo. All’ingresso venne a darci il benvenuto un cameriere molto elegante, vestito di bianco, capelli corti e pelle abbronzata; un bravo ragazzo. Uno dei miei amici cinquantenni per modo di dire, ebbe l’imbarazzante idea di scegliere un tavolo troppo vicino agli altri, “almeno da qui vediamo un po’ di pelo!”
Inutile raccontar frottole, tra uomini si dice così. Quella mossa mi sembrava azzardata, pericolosa per me. Solitamente sono già cotto al secondo bicchiere, sapevo che non ne avrei bevuti solo due, per cui stando così vicini agli altri, avrei potuto concedermi troppe libertà. Eppure accettai per rispetto di un’amicizia fuori contesto e inappuntabile!
Mi permisi, comunque, di toccarli nell’intimo “ma vi piace sto Posticcio?”
Luigi seppe rispondere per tutti “nelle rimpatriate il pelo si raggiunge ovunque esso sia e noi siamo qua. Guardati intorno!”
Alzai lo sguardo e vidi molte belle donne sedute composte al loro tavolo, mentre gli uomini s’intrattenevano in discorsi che mi avrebbero annoiato dopo due minuti. Dopo mezz’ora non sentivo puzza di guai, gli anestetizzanti son sempre pericolosi e a una certa età lo sono di più. “Il vino rosso è un anestetico naturale”, pensai.
Quelle parole dette tra me e me scandivano il passaggio in un altro emisfero.
“Mai bere troppo se non sei abituato”, anche queste parole segnavano il passaggio a un boicottaggio personale verso i luoghi comuni; da sempre e per sempre odiati anche da sobrio, per carità! Ma da alticcio, quasi ubriaco l’astio cresce inesorabilmente. Incrociai lo sguardo con una bruna, solitamente mi piacciono le bionde, ma quella tipa con lo sguardo e le forme disegnate perfettamente dalle parole dei miei amici “guarda che fisico!” “guarda che tipa!” “ma che belle bip bip!”
Verso le dieci, il nostro tavolo s’era trasformato cartina del locale. Avevamo le coordinate di ogni bella donna seduta nel locale, purtroppo il volume continuò ad alzarsi senza volerlo… succede.
Luigi fece la prima vera considerazione pericolosa “Antò, quella ci sta con te. Invitala a ballare… senti che bella musica”.
Mi voltai e vidi un signore al pianoforte e delle coppie ballare su una mini pista.
Lo dico? Lo dico: non mi ero accorto di nulla. Credevo che il sottofondo soft provenisse da un apparecchio, uno stereo magari un pc. Non lo dissi per istinto di sopravvivenza, avrebbero potuto deridermi fino al rientro
Uno dei due ventenni di cinquant’anni si prese la briga di invitare quella donna così accattivante, così formosa per mio conto “vado io, altrimenti facciamo l’alba, prima che ci scambi qualche parola”.
Conoscevo, anzi conosco bene il soggetto, qualsiasi modo per dissuaderlo sarebbe risultato futile, per cui lasciai correre. Si avvicinò al tavolo composto da tre uomini e cinque donne, indicò con l’indice la bruna e disse, sorridendo “scusa, il mio amico sta letteralmente impazzendo per te. Concedigli un ballo”.
L’atmosfera lussuosa pareva non accorgersi di noi, eppure sentivo gli occhi dei presenti addosso. La bella bruna vestita di classe neanche alzò lo sguardo. Si fece avanti un tipo arcigno con qualche fusibile fuori uso, seduto di spalle. Scansò il mio amico e si rivolse a noi “coatti, già state dando fastidio così, ma se andate rompendo le palle ai tavoli, allora il discorso cambia! Via via… forza!”
Ci alzammo anche noi tre, a quel punto posai il palmo della mano sul petto di Luigi, nella speranza di dar maggior peso alle parole “ci penso io, sono quello più lucido. Ricordati che sei un padre”.
Tutti e tre sedettero al tavolo, mentre il tipo arcigno continuò a fissarmi. Mi avvicinai di qualche metro e chiesi scusa “perdonateci … usciamo una volta tanto e stasera abbiamo alzato il gomito”.
Lui mi spinse e lanciò la minaccia “non servono le tue scuse, puoi andare via, anzi devi andare via! Prima andate via e meglio è per tutti”.
Non volarono pugni e nessuno udì altre minacce. Entrarono quattro carabinieri e ci portarono in caserma. Sembrava che il tempo non fosse mai passato. Rimanemmo in caserma almeno tre ore, infatti uscimmo all’una e mezza, a sbronza finita. Luigi ricominciò a bestemmiare, nel caso avesse mai smesso. Gli altri due inveivano ora contro la bruna, ora contro i carabinieri, ora contro il fenomeno incontrato. Io camminavo e sorridevo, con la camicia bianca di lino imbrattata di macchie rosse, di vino rosso e non di sangue, completamente aperta. Dovevamo farci a piedi almeno sette chilometri, per tornare a prendere la macchina. A metà strada, Luigi trovò il modo di attaccarmi “Antò, ma tu ridi? Possibile che non ti faccia incazzare sta cosa… io porco bip metterei fuoco a tutto”. Scoppiai a ridere.
A quel punto entrò uno dei due ventenni datati “ti sei scemunito? Cazzo hai da ridere? Ci hanno dato un fermo… neanche avessi fatto un reato. Devo chiedere all’avvocato se è legale sta cosa”. L’altro “neanche ci hanno controllato i documenti della macchina… quel tipo era uno sbirro, secondo me”.
Mi fermai per poter respirare meglio. La risata mi puntellava le meningi.
Rimasero tutti e tre a guardarmi esterrefatti, Luigi allargò le braccia e chiese ancora “ma ci fai ridere pure a noi?”
Fu un’impresa contenermi. Presi qualche minuto e li guardai divertito “ma vi rendete conto? Guardiamo in faccia la realtà. Noi andiamo a mangiare e bere dove vanno i ricchi e pensiamo di farla franca? C’è da ridere e basta! Per come la vedo ci è andata bene, poteva andarci molto peggio. Così, la prossima sceglieremo un posto adatto a noi pezzenti”.
Seguì un trio di vaffanculo!
A dirla tutta, oggi posso ritenermi fortunato anche per aver ricevuto un semplice vaffanculo dai miei amici.
Il salto di classe, l’ambizione di salire sui vari podi costruiti dal capitalismo, anche solo per sentir l’ebrezza non mi appassiona, come non mi appassiona dare un morso alla fetta di torta più farcita.
Antonio Recanatini
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
22/7/2017
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