Il tempo della doppia morale
Almeno 70 persone sono annegate al largo della Libia nelle ultime due settimane mentre cercavano di raggiungere le coste dell’Unione europea. Queste morti si aggiungono alle oltre 130 persone che hanno perso la vita dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo centrale, nel tratto di mare tra il nord Africa e l’Italia. L’anno scorso il numero di vite perse aveva raggiunto la cifra di 1.503, a fronte di oltre 30.000 persone migranti intercettate dalla sedicente guardia costiera libica e respinte nuovamente nei centri detentivi in Libia.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha ricostruito gli ultimi due naufragi. Il primo è avvenuto il 27 febbraio: una barca con a bordo 50 persone tra adulti e bambini è partita dal porto di Sabrata e si è capovolta quattro ore dopo per le cattive condizioni meteo. Il 12 marzo, il secondo: un’altra imbarcazione che trasportava 25 persone si è capovolta al largo della costa libica di Tobruk.
La doppia morale
La notizia di queste ultime morti è apparsa, in piccolo, tra le righe delle pagine che raccontano l’esodo della popolazione ucraina che sfugge dai bombardamenti di Putin. Non si può fare a meno di notare le differenze tra le modalità in cui, in modo corale, la politica europea e italiana, nonché i media, trattano i due flussi: una doppia morale che prima definisce e classifica i contesti che spingono alla migrazione e poi rafforzano una antitesi in voga da tempo tra “profugo di guerra” e “migrante economico”.
La narrazione che ne scaturisce, anche questa pressoché unanime, può essere schematicamente così riassunta: da una parte, si mette in risalto in modo del tutto naturale e lineare, appianando almeno per questa fase le contraddizioni, quanto sia necessario agevolare il transito/viaggio/fuga e sia la successiva protezione una volta che la persona è arrivata nel paese desiderato. L’unica (grave) omissione di questa narrativa è legata semmai al ruolo nelle società “ospitanti” delle lavoratrici ucraine1 che per oltre 20 anni, nonostante fossero fondamentali nel sistema di cura e assistenza, sono state relegate anche loro ai margini, rese sfruttabili e incastrate in forme lavorative di semi-schiavitù dalle normative sull’immigrazione2.
Dall’altra parte, questa insopportabile gerarchizzazione, scarica sulla persona in movimento la colpa di essere migrante a tal punto da contrastarla con molteplici strumenti politici e mediatici (e successivamente militari), non raccontando adeguatamente il contesto politico, sociale ed economico dei paesi di origine e transito, giudicando ancora per stereotipi i motivi delle migrazioni, di fatto negando qualsiasi empatia e azione politica per evitare la morte e facilitare un viaggio sicuro e legale.
La domanda da dove nasca tutto ciò rimane aperta. Si tratta di questioni razziali legate al colore della pelle e alla cultura di appartenenza o prevale l’elemento geopolitico, oppure, come è probabile, siamo di fronte ad una miscela di più fattori?
Il silenzio assordante
“Il Mediterraneo è un buco nero” afferma un giornalista che da anni monitora il Mare nostrum come Sergio Scandurra su L’Essenziale di questa settimana, in un articolo a firma del giornalista Lorenzo D’Agostino. Quest’ultimo con le sue inchieste è riuscito a spiegare come la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo si sia messa a criminalizzare le migrazioni e le Ong che operano salvataggi nel Mediterraneo. L’intervista punta il dito sulle responsabilità italiane e in generale sul fatto di come i media non vogliono farci vedere quanto avvenga in quel tratto di mare e in Libia.
E’ il caso, ad esempio, delle proteste che i rifugiati stanno organizzando in Libia. Anche due giorni fa le donne sono ritornate in presidio davanti alla sede di Unhcr a Tripoli per chiedere di essere ascoltate, di avere assistenza medica e protezione. Avrebbero voluto ottenere un incontro, ma sono state velocemente disperse dalla polizia. https://platform.twitter.com/embed/Tweet.html?dnt=true&embedId=twitter-widget-0&features=eyJ0ZndfZXhwZXJpbWVudHNfY29va2llX2V4cGlyYXRpb24iOnsiYnVja2V0IjoxMjA5NjAwLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X2hvcml6b25fdHdlZXRfZW1iZWRfOTU1NSI6eyJidWNrZXQiOiJodGUiLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X3NrZWxldG9uX2xvYWRpbmdfMTMzOTgiOnsiYnVja2V0IjoiY3RhIiwidmVyc2lvbiI6bnVsbH0sInRmd19zcGFjZV9jYXJkIjp7ImJ1Y2tldCI6Im9mZiIsInZlcnNpb24iOm51bGx9fQ%3D%3D&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1503758934917668867&lang=it&origin=https%3A%2F%2Fwww.meltingpot.org%2F2022%2F03%2Fnaufragi-nel-mediterraneo-morti-invisibili-alle-frontiere-europee%2F&sessionId=4a7f1b56716d80bbf46612694868bd8ba54c598f&siteScreenName=MeltingPotEU&theme=light&widgetsVersion=2582c61%3A1645036219416&width=550px
La lotta dei rifugiati per richiedere l’evacuazione dal paese in quanto non sicuro è iniziata da molto tempo, ma nemmeno dopo il violento sgombero di inizio anno e la parziale attenzione mediatica qualcosa si è mosso. Le telecamere dei media ed i pc dei ghostwriter dei politici sono rimaste spente.
Non è andata meglio ai richiedenti asilo e rifugiati che protestano a Tunisi, messi in strada come fossero spazzatura da Unhcr. Di nazionalità eritrea, somala, sudanese ed etiope, la maggior parte di loro è scappata dai campi libici prima di cercare rifugio in Tunisia trovando, però, un’assistenza insufficiente e, soprattutto, bloccate le speranze di ricollocamento verso gli Stati dell’Unione europea.
Nascondere, omettere, rendere invisibile sembrano i leitmotiv con risvolti mortali scelti dalle istituzioni europee, governo Draghi compreso, per limitare l’empatia, per non creare ragionevoli punti di contatto tra una condizione e l’altra, per evitare che oggi questa solidarietà diffusa alzi la mano e chieda perchè, ribaltando la contrapposizione profugo-migrante e chiedendo una generalizzazione dei diritti fondamentali e della libertà di movimento.
Questa situazione rende ancora più evidente che la continua perdita di vite umane nel Mediterraneo centrale è piena responsabilità politica per via dell’assenza di qualsiasi azione, che non sia finanziare le milizie libiche3, per fermare questa strage.
- Secondo i dati forniti dal rapporto annuale 2020 “La Comunità ucraina in Italia“, sono presenti 230.639 cittadini/e; le donne rappresentano il 78,6% contro il 21,4% di uomini, le percentuali di lavoratrici nei servizi è di oltre il 50% (il rapporto non tiene in considerazione coloro che sono sprovviste di permesso di soggiorno).
- A questo link una raccolta di articoli che ben inquadrano l’ampiezza del fenomeno di sfruttamento: https://www.meltingpot.org/tag/colf-e-badanti/
- Revoca immediata del Memorandum Italia – Libia. L’appello della società civile al Governo, UNHCR e OIM: https://www.meltingpot.org/2022/02/revoca-immediata-del-memorandum-italia-libia/
Stefano Bleggi
20/3/2022 https://www.meltingpot.org
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