Il virus da nord. Autonomia differenziata: il punto della “battaglia delle battaglie”

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Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri in febbraio e il successivo avallo del Presidente della Repubblica a inizio marzo, il DDL per l’applicazione dell’Autonomia differenziata (chiamato anche “Calderoli”, dal nome del ministro leghista che l’ha elaborato) è approdato nei giorni scorsi al Senato. Con questo atto si segna dunque un ulteriore salto di qualità nel processo che potrebbe portarci ai disastri dell’Autonomia differenziata. Nello stesso tempo, il Ministro Calderoli ha nominato la commissione incaricata di definire il LEP (CLEP, Commissione Livelli Essenziali delle Prestazioni), prevista dalla Legge di Bilancio, che ha il chiaro intento di aggirare le sterili “critiche” di chi sostiene che l’Autonomia differenziata possa essere sì varata, ma solo dopo la definizione di questi “livelli essenziali”.

I sostenitori “critici” dell’Autonomia differenziata (AD) sono serviti: commissione istituita e ostacolo aggirato, anche perché la Legge di Bilancio prevede che, qualora questa commissione non arrivasse entro 30 giorni a definire i LEP, tutta la materia passerebbe ad un commissario incaricato di perfezionare il lavoro e permettere dunque all’AD di partire (*).
Benché il processo che si annuncia sia ancora di una certa lunghezza, siamo dunque di fronte ad un’accelerazione preoccupante, con la quale tutti coloro che si oppongono all’AD, coscienti della gravità e della pericolosità di essa, sono chiamati a fare i conti per aggiornare la loro azione.
É giusto dunque partire da un bilancio della mobilitazione contro l’AD, base per le azioni che ci attendono.

Un bilancio necessario per rilanciare

Quando nel giugno 2019 un gruppo di docenti di alcune associazioni di difesa della scuola pubblica (**) lanciarono un appello “a tutte le associazioni di difesa dei diritti democratici, della scuola pubblica, della sanità e dei servizi pubblici” per organizzare una grande assemblea nazionale “per il ritiro dell’Autonomia differenziata in ogni settore”, veramente in pochi, nel Paese, sapevano di che cosa si stesse parlando e a quali pericoli si andasse incontro.
“Autonomia differenziata” era un’espressione conosciuta da qualche esperto o cittadino particolarmente attento, evocata da Salvini, all’epoca uscito dalle elezioni europee rafforzato nel suo ruolo all’interno del governo Conte I, inserita nel programma di governo, ma percepita come qualcosa di lontano, astratto, sconosciuto dalla stragrande maggioranza della popolazione.

La risposta a quell’appello fu molto grande (più di 130 associazioni, comitati, partiti e sindacati aderirono) e l’assemblea che si tenne poi a Roma il 7 luglio vide la partecipazione di ben 200 persone, che si costituirono infine in “Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata”, rompendo l’isolamento tra i settori e aprendo la porta all’unità di questa mobilitazione.
Per tracciare un primo bilancio di questa lotta a distanza di quattro anni e provare dunque a fare un punto sulla stato e sulle prospettive della mobilitazione è importante ripartite da allora, anche perché, come vedremo, ciò che uscì da quell’assemblea è oggi di un’attualità scottante.

Innanzitutto i fatti: l’AD sembrava allora “cosa fatta”. L’appello per l’assemblea nazionale recitava: “Il 26 maggio, appena conosciuti gli esiti delle elezioni europee, Salvini, senza perdere un solo momento, ha annunciato che il governo procederà ora velocemente con i suoi programmi, a partire dalla realizzazione dell’Autonomia differenziata”.
Forte delle pre-Intese che il governo precedente (Gentiloni) aveva siglato con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna proprio allo scadere della legislatura, rafforzato dal risultato elettorale, Salvini si sentiva in tasca l’AD. D’altra parte, gli stessi promotori dell’Assemblea dovettero resistere a quanti, tra i contrari all’AD, si smarcavano, dichiarando apertamente: “Non c’è più nulla da fare”.
Un primo fatto si impone: per cause di diverso tipo (contraddizioni interne ai governi, mobilitazione, pandemia), sono passati altri due governi dopo il Conte I, ne è in carica un terzo, tutti questi governi hanno inserito l’AD nel loro programma… ma l’AD non è ancora una realtà.
Non c’è dubbio: nulla può lasciarci tranquilli. Anzi, dobbiamo essere molto allarmati perché questo governo ha non solo inserito l’AD nel suo programma, non solo ha elaborato un bozza di Disegno di Legge Quadro per realizzarla (cosa già fatta dal governo Conte II con il ministro Boccia e poi da quello di Draghi, con la bozza Gelmini), ma più precisamente è arrivato – diversamente dai precedenti esecutivi – ad approvare un DDL e a depositarlo in Parlamento per la discussione. Inoltre ha istituito la citata commissione (CLEP) di “esperti” incaricata di definire i LEP (***).

Un processo più avanzato rispetto al passato è dunque in corso e tutto sembra orientarsi verso l’approvazione dell’AD.
Ma in una battaglia, si sa, il tempo non è indifferente e il fatto che dopo quattro anni l’AD non sia ancora nelle condizioni di partire non può che essere considerato un fatto positivo, o quantomeno un punto di appoggio, benché in una situazione molto difficile.

Il tempo non è indifferente…

Oltre a ritardare l’AD, che cosa abbiamo dunque ottenuto in questi anni? Su quali elementi possiamo appoggiarci per tentare di sconfiggere questo vero e proprio attentato all’unità della Repubblica, ai diritti sociali, alle conquiste dei lavoratori?
Per quattro anni il lavoro dei Comitati per il ritiro di qualunque AD è stato condotto senza quasi alcuna eco da parte dei media, del mondo della politica, degli editorialisti. Ciò non ha impedito che dal basso, pur con fatica, l’argomento cominciasse a farsi una certa strada, ad essere illustrato tra i militanti più sensibili, ad aggregare. Ma il grande dibattito che altre volte si era aperto nel Paese (per esempio con la devolution al tempo del governo Berlusconi-Fini, oppure con le “riforme” istituzionali di Renzi nel 2016) in questi anni non si è visto.
Si può forse addirittura ipotizzare che il silenzio sia stato voluto e cercato proprio in considerazione delle esperienze precedenti, quando il parlare apertamente delle “riforme” era culminato in un doppio fallimento delle stesse (vittoria del NO sia al referendum del 2006 sulla devolution, sia ai referendum del 2016 sulle “riforme” Renzi).
L’ultimo periodo, che ha portato alla presentazione del DDL Calderoli, ha segnato una prima svolta, seppur ancora parziale e insufficiente: il tema dell’Autonomia differenziata è diventato più pubblico, viene ripreso spesso dai giornali e parzialmente dalla televisione, le prese di posizione autorevoli contrarie si moltiplicano, un movimento di opinione “contro” sembra porre le basi per allargarsi.

L’allargamento dell’azione per l’unità

Un secondo elemento che il tempo ha guadagnato alla lotta è stato l’allargamento dell’azione dei Comitati, sia sul piano politico sia su quello organizzativo.
Sul piano politico, il Comitato si è dovuto confrontare fin dall’inizio con il suo stesso nome: “… per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata”. Ribadiamo innanzitutto che questa posizione è assolutamente corretta ed è l’unica che apre una reale prospettiva per eliminare un problema enorme creato (tra gli altri) dalla riforma del Titolo V della Costituzione, nel 2001. Come recitava la Dichiarazione conclusiva della seconda assemblea nazionale (29 settembre 2019), “che si tratti di definire o meno i LEP, che si tratti di escludere questa o quella materia, che si tratti di “residuo fiscale” o di “spesa storica”, il solo fatto di concedere maggiore autonomia ad una o più Regioni costituirebbe un primo elemento di divisione del Paese (e pertanto di identica accessibilità ai diritti universali per tutte/i) e aprirebbe un varco dagli esiti imprevedibili, potenzialmente irreversibili”. In altri termini, veniva ripreso e approfondito il concetto espresso nella prima assemblea di luglio 2019: “L’unità della Repubblica è oggi in pericolo”.

Detto questo, fin dall’inizio sono apparsi comitati e associazioni, nonché partiti, che hanno espresso posizioni più sfumate. Pur essendo genericamente “contro” l’Autonomia differenziata, affermano che una qualche forma di essa, temperata e ridotta, potrebbe essere ammissibile. Con queste associazioni si è però presentata l’opportunità di fare fronte comune su un punto: il ritiro delle proposte di AD in atto. In altre parole: la realtà concreta ci ha posto e ci pone di fronte a ipotesi precise (Boccia e Gelmini ieri, il DDL Calderoli oggi); queste ipotesi – evidentemente osteggiate da chi come noi è contro qualunque AD – vedono contrari anche quelli che ipotizzano un’AD “ridotta”. Il Comitato nazionale ha dunque saputo cogliere questa occasione per allargare la mobilitazione, istituendo un Tavolo Nazionale NO-AD che ha come punto comune proprio il seguente: il ritiro delle proposte concrete in atto. Una sorta di unità di fronte all’emergenza è stata così proposta, accettata da molti, praticata.
Ciò ha permesso all’organizzazione di allargarsi, di coinvolgere soggetti molto importanti come la FLC-CGIL e la stessa confederazione (presente all’assemblea nazionale di fine gennaio), la UIL-Scuola, l’ANPI nazionale.

Intendiamoci: il Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque AD ha mantenuto e mantiene ferma la sua posizione, per esempio non aderendo alla raccolta firme sulla LIP (Legge di Iniziativa Popolare) promossa da un gruppo di costituzionalisti attorno al prof. Villone, se non fosse altro perché questa proposta prevede comunque di applicare il comma 3 dell’art. 116 della Costituzione (come riformato nel 2001) e dunque l’AD, seppur in forma in parte ridotta. Ma il Comitato ha saputo giustamente non isolarsi e cercare in ogni momento l’unità più larga possibile per battersi contro i pericoli immediati.
D’altra parte, sul piano organizzativo il Comitato Nazionale si è via via articolato in un numero sempre maggiore di Comitati locali, raggiungendo ora il significativo numero di 80.

L’Appello dei sindaci, le posizioni sindacali, le manifestazioni

Un terzo elemento positivo della mobilitazione è dato dall’Appello dei sindaci, partito da un gruppo di primi cittadini del sud, ma ora allargatosi, seppur con difficoltà, anche ad altre zone del Paese. Questa posizione – culminata in una Lettera al Presidente della Repubblica e poi in una manifestazionedi piazza a Napoli, il 17 marzo – rappresenta certamente un importante punto di appoggio della lotta e può ricevere nuovi consensi e “pesare” dunque nel dibattito istituzionale. La stessa ANCI, pur non esprimendosi chiaramente contro l’AD, ha manifestato in una sua presa di posizione molte critiche e contrarietà.

E ancora, due importantissime posizioni – entrambe contrarie all’AD – sono arrivate dai Consigli Comunali di Roma e Bologna (con ulteriore contrarietà all’AD dichiarata apertamente dal sindaco di quest’ultima).
Ricordiamo poi il moltiplicarsi di iniziative di piazza e non (convegni, conferenze, assemblee) sui territori. Per esempio a Bari si è svolta una manifestazione regionale contro l’AD, così come a Torino se n’è svolta una provinciale, realizzata nell’unità attorno al quadro dato dal Tavolo sopra citato, mentre in Emilia-Romagna sta partendo una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che revochi la pre-Intesa siglata da Bonaccini con Gentiloni per l’attuazione dell’AD. A Potenza si sono tenute diverse iniziative, mentre altre sono in programma o si sono appena realizzare a Taranto, Milano, Varese, Pesaro-Fano, Pozzuoli, Caltanissetta, Padova, Catania…

La prospettiva di una manifestazione nazionale

L’ultimo elemento è dato dalla prospettiva aperta dall’Assemblea Nazionale di Roma, a fine gennaio: un appello per una grande manifestazione nazionale per il NO all’AD, che porti a Roma decine di migliaia di cittadini da tutto il Paese.
Questo elemento condensa prospettive e problemi attuali di tutta la mobilitazione.
È infatti evidente – purtroppo – che la composizione del Parlamento e la sola lotta istituzionale hanno ben poche possibilità di fermare l’AD. Ciò anche perché da un lato la rappresentanza democratica e in particolare dei lavoratori nel Parlamento è praticamente nulla; dall’altro, perché l’unica forza politica presente alla Camera e al Senato che in qualche modo deriva dalla storia del movimento operaio e dei lavoratori – il PD -In effetti, la battaglia si giocherà in fin dei conti proprio su questo aspetto, condensato nel titolo della Lettera Aperta: “L’Autonomia differenziata ci riguarda: uniamoci per il ritiro”.

Che cosa resterà dei contratti nazionali e della normativa sul lavoro, della sanità publica, della scuola, della politica ambientale, dei servizi publici, se dovesse passare l’Autonomia differenziata? A poco poco, più o meno gradualmente, nulla. Come si legge in questo Appello ai lavoratori, “Con l’Autonomia differenziata andremmo incontro alla fine dei contratti nazionali, inevitabilmente affiancati, quando non sostituiti, da contratti regionali. Questo, fisiologicamente, ci porterebbe a lotte isolate e deboli, ad una maggiore soggezione alle pressioni per accettare condizioni di lavoro più dure, meno tutelate, ad una legislazione al ribasso, sotto il ricatto di delocalizzazione di industriali e multinazionali, ma non in un altro Paese, bensì in un’altra Regione! La situazione disastrosa della sanità che tutti conosciamo, determinata dalla attuale legislazione concorrente stato-regione, tenderebbe a peggiore è in realtà fautrice dell’AD ed è responsabile di tutti i passi avanti fatti fino ad ora su questa strada (dalla “riforma” del Titolo V che la rende possibile, alle pre-Intese di Gentiloni, alla richiesta dell’Emilia-Romagna presentata da Bonaccini senza una vera opposizione della Schlein, passando per le bozze di Legge Quadro di Boccia e poi della Gelmini). Premesso che la mobilitazione di piazza è sempre non solo utile, ma necessaria in ogni lotta, il fatto che oggi essa diventi in qualche modo l’unica carta da giocare rappresenta certamente un limite.Ma nello stesso tempo, l’appello a questa manifestazione nazionale apre una prospettiva concreta e reale a tutto quel movimento che si è messo in moto dal 2019 e che comprende naturalmente il Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata, il Tavolo Nazionale NO-AD di cui sopra, ma anche intellettuali, enti, Comuni, Province e soprattuto l’insieme dei cittadini, a partire dal movimento dei lavoratori. Solo una mobilitazione di massa, di piazza, che mostri “il re nudo” al Paese, che sappia mettere in difficoltà il governo, trascinare anche gli incerti, potrà fermare l’Autonomia differenziata. Non siamo certamente ancora al punto di realizzazione di questa mobilitazione, ma un processo è in atto, primi incontri con sindacati e partiti si svolgeranno proprio nel mese di aprile, prime manifestazioni locali si realizzano.

In questo contesto, la presa di posizione contro l’AD da parte di Landini e della CGIL, nonché della UIL, segnano certamente un passaggio fondamentale. Tutti noi vorremmo che l’azione diventasse subito di massa, che l’unità (Cobas, USB e SGB sono da sempre contrarie all’AD) si realizzasse sul terreno della piazza,
senza esitazioni. Non si tratta solo di una speranza, ma della coscienza di una necessità. Intanto, le prese di posizione di questi sindacati così grandi e storici aprono una prospettiva nuova.

L’Appello ai lavoratori, per toccare “la pancia” della gente

Nel frattempo, molte altre iniziative sono in atto: campagne sui social, pressioni sui consigli comunali con proposte di mozioni da votare, gruppo di lavoro sui LEP per smascherare l’operazione in corso… Tra queste, un posto certamente molto importante è quello dell’Appello ai lavoratori che il Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque Autonomia differenziata ha lanciato.
Questo Appello ha infatti un obiettivo centrale nella lotta: far comprendere ai lavoratori, ai cittadini più “normali”, come l’AD rappresenti un pericolo reale concreto per le loro condizioni di vita, che si trovino al nord come al sud, che lavorino in un settore privato o pubblico, che siano attivi o pensionati o disoccupati. ulteriormente: i livelli delle prestazioni pubbliche sarebbero ridotti al minimo per lasciare invece spazio aperto alle assicurazioni private e ai fondi sanitari (la previdenza integrativa e complementare, per giunta, è una delle materie disponibili alla potestà legislativa esclusiva delle regioni). In pratica, la sanità diventerebbe un lusso per chi può permettersela. E la scuola? Diplomi, contratti nazionali, orari verrebbero a poco a poco rimessi in causa, come già succede nelle Regioni Autonome, mentre le pressioni sulla libertà d’insegnamento aumenterebbero, così come la penetrazione dei privati”.

Divide et impera

Diventa dunque fondamentale spiegare le conseguenze concrete dell’AD, coinvolgere, aggregare e mobilitare affinché questo tema allarmi davvero la gente e porti a poco a poco ad una vera mobilitazione di massa.
É necessario uscire dalla contrapposizione nord-sud (come se il dramma dell’AD riguardasse solo il sud), uscire dall’idea che in qualche parte del Paese “qualcosa” potrebbe migliorare, e chiedersi invece quali sono le motivazioni, le cause profonde dell’Autonomia differenziata.
Esse vanno cercate, per quanto paradossale possa sembrare, proprio nella resistenza che – nonostante problemi e ostacoli enormi – il movimento democratico e dei lavoratori ha saputo mettere in campo negli ultimi trent’anni.

É vero: non c’è dubbio che questi decenni hanno visto sparire conquiste storiche, ridimensionarne altre, attaccare il tenore di vita di milioni e milioni di lavoratori, pensionati, giovani, rimettere in causa diritti democratici, portare un colpo micidiale alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici, ai contratti nazionali.
Ma resta un fatto: le leggi del capitale fondate sul profitto impongono di andare oltre, di molto. Esse chiedono e pretendono che tutta la scuola pubblica venga in qualche modo consegnata al privato, penetrata da esso, liquidata per farne un campo di profitti, di sfruttamento dei giovani, di sub-cultura. Chiedono e vogliono che la sanità – ciò che di essa rimane – venga privatizzata, aperta ai fondi assicurativi, che la gente normale venga espulsa dalle cure gratuite o semi-gratuite di cui ancora gode, che le liste d’attesa vengano eliminate, ma non perché visite, esami ed operazioni si facciano subito, bensì perché nessuno si sogni ancora di rivolgersi al pubblico! Vogliono e pretendono che non esista più un contratto nazionale in nessun settore, in nessuna fabbrica, e non per essere sostituito con contratti regionali, bensì addirittura con contratti di fabbrica e anche individuali, aperti ad ogni sfruttamento.

Per fare questo, per andare fino in fondo nella distruzione di diritti e conquiste, il capitale ha bisogno di dividere la forza che resiste, che cerca di organizzarsi, che spesso sciopera a livello nazionale, che contiene molti attacchi, che strappa rinnovi contrattuali, che si raggruppa attorno ai sindacati nazionali, ultima organizzazione di massa nella quale essere “classe” – e quindi forza – e non individui isolati.
“Divide et impera”, questa è la ragione di fondo dell’Autonoma differenziata, che una parte sempre più consistente del capitalismo italiano porta avanti, incurante degli scenari di esplosione del Paese che ciò apre, a pochi chilometri dall’ex-Jugoslavia, in un’Europa sempre più dilaniata dalle divisioni e dai regionalismi.

La posta in gioco è tutta qui: da una parte la forza unita dei lavoratori e delle loro organizzazioni, dall’altra la tendenza micidiale della legge del profitto a distruggere tutti i quadri nazionali nei quali gli stessi lavoratori si sono costituiti, si battono, si uniscono.
Se i capitalisti possono certamente contare sulle loro organizzazioni e sui loro partiti, tutti noi dobbiamo agire perché le nostre organizzazioni – in primis i dirigenti sindacali – imbraccino in modo deciso, forte, fino in fondo, la battaglia, che poi è anche quella per la loro sopravvivenza: ritiro di qualunque Autonomia differenziata!

NOTE

(*) Il Comitato Nazionale ha avuto modo di affrontare la questione dei LEP, vera e propria trappola per arrivare a definire livelli minimi dei servizi in ogni settore e sclerotizzarli, cioè impedire un loro miglioramento. Peraltro, con la “riforma” del Titolo V e la sussidiarietà, questi LEP potrebbero comunque essere forniti dai privati. In ogni caso, se si vuole avere un’idea di che cosa ci attende è sufficiente pensare ai LEA (Livelli Essenziali Assistenza) che sono alla base del disastro della sanità

(**) Appello per la scuola pubblica, Assur, Autoconvocati della scuola, Comitato 22 marzo per la difesa della scuola pubblica, Lip Scuola, Manifesto dei 500, No Invalsi

(***) In questa commissione, “furbescamente”, il ministro Calderoli ha inserito diversi nomi legati al PD (Violante, Bassanini, Amato, Finocchiaro…). Per quale motivo queste persone hanno accettato di implicarsi in un lavoro che ha come obiettivo la realizzazione dell’AD, mentre dichiarano di essere contrari? Non dovrebbero invece denunciare pubblicamente l’operazione, combatterla e mettersi di traverso realmente?

Lorenzo Varaldo

Esecutivo Nazionale dei Comitati per il ritirodi qualunque Autonomia differenziata

Torino 9/4/2023

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