Il virus dell’ideologia di mercato
Lavoro e Salute diede in anteprima, alcuni mesi fa, la notizia della partenza di una campagna europea di raccolta firme per liberare la produzione dei vaccini anti-Covid dai brevetti.
Quella campagna, noprofitonpandemic.eu/it, ha preso poco alla volta piede e nel nostro Paese, con l’impegno di diverse soggettività sociali e sindacali, nonché di singole personalità provenienti dall’arte, dalla scienza e dalla cultura è riuscita a raggiungere l’obiettivo minimo di firme da raccogliere.
Roberto Musacchio è stato sin da subito uno dei principali promotori/organizzatori di questa campagna. La sua lunga e importante storia politica (è stato dirigente dello PdUP-Manifesto, del PCI e di Rifondazione Comunista), la sua esperienza istituzionale a livello continentale (è stato parlamentare europeo dal 2004 al 2009) e la sua attuale polimorfa attività (dal volontariato sociale all’animazione costante di Transform-Italia) sono stati tutti elementi utili a fornire indicazioni, consigli, intuizioni per costruire passo dopo passo il buon risultato italiano in termini di adesioni a noprofitonpandemic.
Ora siamo giunti a un tornante importante, che non ci permette di “dormire sugli allori”. Sul che fare da ora in avanti e su alcuni altri nodi tematici collegati ai vaccini, alle politiche durante la pandemia, alla crisi democratica e al ruolo europeo abbiamo chiesto a Musacchio di offrirci il suo punto di vista.
Lo ringraziamo per questo.
Alberto Deambrogio – La campagna di raccolta firme per liberare la produzione dei vaccini dai ceppi dei brevetti (noprofitonpandemic.eu/it) ha avuto nel nostro Paese una buona affermazione. L’obiettivo minimo di firme è stato raggiunto, anche se, per esempio, il Belgio ha saputo fare ancora meglio. Al di là di questo si pone ora il tema di come continuare la campagna per arrivare complessivamente al risultato del milione di firme a supporto della richiesta alla Commissione Europea. Quali sono secondo te le valutazioni da fare e alcune possibili linee di rilancio attivo?
Roberto Musacchio – Innanzitutto grazie per la presentazione e per l’opportunità. La campagna che abbiamo lanciato, no ai profitti sulla pandemia, si è dimostrata giusta e sta avendo successo. È ancora più importante se pensiamo al ruolo, non certo positivo, che la Unione Europea sta avendo sulla questione brevetti. La UE, che è fondata su mercato e commercio, anche in questo caso non riesce a liberarsi da questo ideologismo più tipico di “regimi” che di realtà democratiche. Io un po’ forzando, ma neanche troppo, la chiamo “Europa reale” per questo. E anche perché ha la tendenza a presentare consuntivi sempre positivi. Lo fa anche sulla pandemia quando è evidente che l’evento, per altro abbondantemente previsto dalle autorità mondiali, ha colto la UE impreparata, l’ha spiazzata. E ciò è costato morti e sofferenze. E un nuovo disastro economico sociale.
Non a caso la campagna, che poi è una vera e propria proposta di legge nelle forme che la UE prevede, è stata animata da forze di movimenti e politiche dichiaratamente fuori da questa gabbia, a sinistra. Diciamo gli eredi dell’Europa sociale che fu piuttosto che gli artefici di quella basata sull’economia sociale di mercato dove il soggetto lo fa il mercato ben più che la società.
In Italia, come si sa, c’è stata la capacità di costruire uno schieramento molto ampio, in particolare di associazioni e sindacati. Il risultato minimo legale è stato raggiunto. Ma dobbiamo fare molto di più. Sia come raccolta di firme, almeno triplicare le attuali 55 mila. Sia come campagna di informazione e mobilitazione.
Per altro in Italia la situazione sanitaria è particolarmente grave, colpita da storiche inefficienze su cui si sono abbattuti i tagli profondissimi e le privatizzazioni. Una ottima riforma sanitaria, la 833 del 1978, frutto di lotte e di una visione lungimirante ed avanzata di una medicina pubblica, per tutti, territoriale e preventiva, connessa agli interventi sociali, è sta duramente colpita da politiche che sono andate in senso opposto. Compresa l’assurda frantumazione per regioni ora ulteriormente riproposta con l’autonomia differenziata e i cui danni abbiamo visto durante la pandemia che non è stata affrontata nei modi unitari necessari. Uno stato di emergenza prolungato a livelli da record mondiale e lo spezzatino pseudoregionalistico sono due facce della stessa medaglia.
Poi c’è la realtà di un personale scarso quantitativamente e molto anziano. E mal pagato. Di strutture ridotte sotto le esigenze. Di distorsioni profonde con ad esempio tanti medici specialistici e pochi di base. Purtroppo tutti i governi ci hanno messo del loro in questo trentennio un po’ folle. Ed è stato significativo che per alcuni mesi ci sia stato un dibattito surreale sul ricorso ai prestiti del cosiddetto Mes sanitario cioè ad una delle istituzioni delle politiche di austerità. Dibattito tutto italiano visto che nessuno in Europa ci pensava proprio. Poi svanito nel nulla. Il risultato delle politiche di austerità è che stiamo sotto le medie europee su praticamente tutti i parametri. La campagna deve continuare anche perché il PNRR, il piano di ripresa europeo, non sembra proprio adeguato alla esigenza della ricostruzione di un servizio sanitario pubblico all’altezza, risultando scarso e condizionato al privato. Poi c’è la spada di Damocle della autonomia differenziata. E manca la volontà di far luce su ciò che è avvenuto per cui siamo stati così deboli di fronte alla pandemia e infatti si escludono determinate indagini dalle commissioni di inchiesta previste. Ci sono però le associazioni dei famigliari delle vittime che sono mobilitate. E ci sarà il G20 sanità a Roma a settembre. Dopo il nulla di fatto del Global Healt Summit organizzato con la Commissione europea che ha visti mobilitate molte forze torneremo sicuramente a farlo. Questa occasione del G20 deve dare al movimento italiano l’abbrivio per fare quei collegamenti globali di cui abbiamo riproposto l’importanza anche nel ventennale di Genova.
A. D. – Sinora, nonostante i posizionamenti di alcuni stati come India e Sud Africa e le dichiarazioni di altri come ad esempio USA e Cina, l’atteggiamento concreto che non si riesce a smontare rimane quello del “perseguire accordi” come unica via per dare al mondo i vaccini di cui abbisogna; strategia fallimentare nei fatti ancor prima che sul piano ideologico. Di più: ci si ostina a dire che se anche ci fosse una liberalizzazione dei brevetti non ci sarebbe poi una situazione strutturale/organizzativa in grado di implementare la produzione. Tu che ne pensi? E’ proprio vero che siamo in presenza di un deficit di capacità produttiva insanabile in tempi brevi e medi?
R. M. – La UE insiste ad affidare la questione vaccini alle multinazionali ed agli accordi commerciali. È l’ideologismo di cui parlavo prima. Abbiamo visto quanti ritardi e disservizi si sono verificati per questo. I parlamentari della Sinistra al Parlamento europeo hanno denunciato gli accordi segreti, gli omissis e le inadempienze. Soprattutto il non convergere sulla richiesta di India e Sudafrica di sospendere i brevetti sta causando gravissimi danni. Le varianti che ci stanno colpendo sono una una delle conseguenze della mancata risposta globale alla pandemia con la disponibilità di vaccini per tutti.
Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che contiene la richiesta di sostenere la trattativa sulla moratoria.
Ed ha scritto che solo il 40% delle capacità produttive esistenti vengono impegnate a fare vaccini. È una affermazione pesante che chiama in causa i dogmi a cui ti sei consegnato e cioè mercato e commercio. Se potresti produrre di più e non lo fai nonostante l’estrema necessità non puoi non chiederti cosa non funziona nel tuo impianto. La UE ha provato a chiamare in causa le mancate esportazioni di alcuni Paesi che hanno tenuto i vaccini per sé. Ma la posizione non sta in piedi. Qui c’è una scarsità che non è determinata dalle capacità produttive ma dai sistemi di mercato. La UE insiste perché vi siano accordi commerciali ma ad oggi questi non ci sono stati e chi potrebbe produrre non lo ha fatto. Gli USA sono ricorsi al Patriot Productive Act, una legge pensata per la guerra, ed hanno forzato le convergenze nelle produzioni. Per altro la produzione farmaceutica è già fortissimamente globalizzata. Solo che questa globalizzazione produttiva è gestita più dalle multinazionali che dalle autorità politiche. La stessa UE è un fortissimo produttore farmaceutico ma lo è molto per le esportazioni.
Questa rigidità ideologica è ancora più grave di fronte a due altri fatti. Il primo è che la ricerca accelerata sui vaccini è stata sostanzialmente pagata dal pubblico, come abbiamo detto durante la campagna. La seconda è che i tempi per attrezzarsi a produrre i nuovi vaccini si è visto che erano ristretti, mesi e non anni. Dunque si poteva e doveva averlo fatto. Invece si aspettano gli accordi commerciali che non arrivano. Si decide al Wto e non in sede di sanità mondiale. Anzi non si decide. La risoluzione approvata dal Parlamento europeo dice che servono miliardi di vaccini, molti di più del previsto.
Per questo la campagna ha tutte le ragioni di andare avanti e di estendersi. L’illusione che i Paesi ricchi, tra cui la UE, stiano ormai risolvendo è appunto una illusione. La campagna vaccinale sta aiutando ma proprio per questo il fatto che non si stia facendo in tutto il Mondo è gravissimo. Ci tornerà addosso con le varianti. E la UE ne porta una colpa grave. Il rilancio della campagna lo vedo su questo. Renderla mondiale. Far si che la UE senta il peso delle sue responsabilità di fronte al Mondo. L’ex, e si spera futuro Presidente del Brasile, Lula l’ha scritto con chiarezza. Bolsonaro, col suo negazionismo, ha colpe gravissime. Ma poi serve che i vaccini ci siano. Lo ha scritto anche a Draghi che sta presiedendo il G20 in corso in Italia e che fin qui è stato un buco nell’acqua.
A. D. – Venendo all’Europa e al suo sguardo ombelicale, incapace cioè di cogliere, fuori dai suoi rivolgimenti ordoliberisti e dagli interessi delle Big Pharma continentali le necessità sanitarie e sociali globali, non può certo sfuggire l’assenza di un reale coordinamento delle varie politiche anti-Covid in sede U.E. Da questo punto di vista abbiamo assistito, tanto per fare un esempio, al pragmatismo britannico che mentre con la mano destra continua la privatizzazione della sanità, con la sinistra ha organizzato tracciamento e confinamento massicci per arginare i contagi e le polemiche. Pure in Olanda si è andati in questa direzione. In Italia una vera strategia per contenere il virus oltre il vaccino non si è mai concretizzata… Qual’è la tua opinione su questi nodi?
R. M. – Se affidi tutto all’ideologismo di mercato e commercio poi non usi la risorsa più preziosa: la democrazia. Ed è un peccato. Perché se si vuole si può. Faccio un esempio che ho vissuto da Parlamentare europeo: il pacchetto per il clima. Eravamo ancora dentro il trattato di Kyoto che aveva il grande pregio di muoversi per obiettivi vincolanti. Dopo si è passati alla stagione dei green deal in cui gli obiettivi climatici sono affidati alle “buone pratiche di mercato”. Il dominus è il mercato, che si serve dell’innovazione (e della competizione). I risultati ambientali sono l’effetto atteso.
Per continuare la mia metafora sul “reale” anche la UE va a piani, decennali. Quello detto “Europa 2020”, che seguiva il piano decennale di Lisbona 2000/10, aveva tutte le cifre a dire quanticattivi posti di lavoro inquinati sarebbero stati sostituiti da buon lavoro verde. Se facciamo un consuntivo serio non possiamo che esserr molto preoccupati che tutto si ripeta magari ancora in peggio con Next Generation. Ma torniamo alla mia esperienza che era precedente (2004/9). Si fece una commissione speciale a tempo che doveva facilitare l’approvazione del pacchetto climatico (6 tra direttive e regolamenti) fornendo il retroterra di approfondimento ed indirizzo. Io ero vicepresidente.
In concreto facemmo una straordinaria discussione istituzionale con la comunità scientifica ai massimi livelli. Erano rappresentte anche le tesi “negazioniste” e quelle che non danno prevalenza alle responsabilità umane o non considerano drammatiche le conseguenze. Poi la politica sceglieva assumendosi le proprie responsabilità.
Una cosa analoga mi sarei immaginato per il Covid. E invece abbiamo gli esperti in televisione e la Commissione che tratta acquisti con le multinazionali. Più la lotta geopolitica su dove è nato il virus. Adesso apprendiamo che la Commissione ha acquistato 2,1 miliardi di nuove dosi, quasi tutte Pfizer. Quindi si può dedurre che si va verso un terzo giro di vaccinazioni. Per altro col 30% di costi maggiorati imposti dalle multinazionali.
Dunque si procede per vie commerciali. Ma non sarebbe necessaria una discussione nelle sedi istituzionali sulle strategie in campo a partire dalle conoscenze e dalle ipotesi scienticiche?
Si pensa che sia materia televisiva, filosofica, da fb o da bar e non da rapporto tra istituzioni democratiche e comunità scientifica?
Ha senso la strada della immunità di gregge, ad esempio e se si quale ruolo ha il vaccino?
E non dovrebbe essere evidente che se la vaccinazione non è mondiale rischia le retroazioni negative delle varianti?
La UE si è mossa come centrale di acquisto ma ha faticato anche a darsi regole comuni. Praticamente su tutto dai lockdown alle riaperture. Su cui pesano gli interessi commerciali e le competizioni tra Paesi. Ora ha abbozzato l’idea di sanità europea (l’Europa della salute) che però è un coordinamento minimo e tecnico di politiche che restano nazionali e, per la UE, di mercato. La pandemia ha evidenziato che l’armonizzazione europea affidata da Maastricht al mercato interno non ha funzionato. Le differenze tra i Paesi, su tutto dal lavoro al welfare e slla sanità, restano abissali e si sono addirittura allargate e ristratificate per aree, generazioni, generi. Una Europa della salute dovrebbe promuovere una sanità pubblica, territoriale, preventiva e connessa sl sociale. E dovrebbe avere strumenti propri. Ad esempio una industria farmaceutica pubblica europea. La proponeva per l’Italia Federico Caffè. Sarebbe uno straordinario contributo a “fare l’Europa” sul serio.
A. D. – Nelle scorse settimane nel nostro Paese è partita un’asprissima discussione pubblica (difficile chiamarlo dibattito) intorno a temi invero assai importanti, scaturiti dall’andamento della campagna vaccinale e dalle stesse valutazioni sullo strumento vaccino. Su questioni come libertà, diritti costituzionali e loro limitazioni, responsabilità, così come sul ruolo della tecnoscienza e della medicina abbiamo assistito ad un climax incontrollabile di scomuniche, anatemi, insulti…Per molti versi chi ha provato inserirsi con pacatezza e argomentazioni razionali, dialoganti, capaci di cogliere la complessità è stato messo ai margini. Qual’ è la tua valutazione su tutto ciò? Ha a che fare con una crisi più generale della nostra democrazia (e di quelle altrui naturalmente…)?
R. M. – Ci sono studi e report delle principali istituzioni di ricerca sullo stato della democrazia che collaborano con l’ONU e la stessa UE che segnalano come ci sia un problema di sofferenza democratica in tutto il Mondo. Solitamente sono maggiormente “attenzionati” alcunei Paesi con criteri anche discutibili. Stavolta, si dice, il “problema” è generalizzato. C’è poi chi ne soffre di più come le donne, cosa richiamata anche da una recente risoluzione approvata dal Parlamento europeo sulla salute sessuale femminile e che richiama il peso del Covid sulle donne. Dagli studi emerge anche che l’Italia è il Paese che ha uno dei periodi più prolungati di ricorso allo Stato di emergenza. Poi come dicevo prima facendo il confronto col clima è evidente che c’è un problema di discussione democratica sulla pandemia. Certo Trump e Bolsonaro non hanno aiutato. Ma neanche il commercialismo della UE o il decretismo italiano sono esenti da ctitiche. Per altro invece la società civile e i movimenti si sono molto attivati come nella esperienza italiana dell’ICE e della società della cura.
Il decretismo e l’emergenzialismo non aiutano di fronte ad una situazione che richiede una gestione complessa che solo la democrazia può attivare. Se lasci gli esperti in televisione, i partiti a far comizi e la gente su fb non fai democrazia. Non è che un decreto, o un Dpcm, è più efficace perché rapido. Serve una strategia complessa e compresa perché esplicitata. Poi ci sono vulnus democratici come i licenziamenti per sms e WhatsApp che sono gravissimi.
Ma stiamo alla strategia per la pandemia. L’idea che io mi sono fatto è che il vaccino sia indispensabile per contenerla e, forse, per sradicarla. Deve essere garantito però su scala Mondo e con una sincronia di tempi. Per questo la campagna via i brevetti è sacrosanta. Naturalmente il vaccino è uno degli strumenti che chiede insieme una riorganizzazione complessiva della società verso la cura, appunto. Per il vaccino io preferirei una presa in carico collettiva della responsabilità e cioè la sua prescrizione. Che naturalmente richiede una legge. Mi pare preferibile al definirsi di circuiti separati troppo estesi. Se non è così bisogna allora evitare le discriminazioni e, come dice la stessa UE, equiparare tamponi, vaccino e guarigione. Ma il tema che mi fa prediligere la prescrizione del vaccino è che per il Covid l'”autogestione” del rischio è molto problematica e il carico che può derivare sui sistemi sanitari troppo pesante. Alcol e fume ad esempio pesano molto ma in modi meno concentrati. Naturalmente questa mia è un’opinione che se fossi ancora parlamentare vorrei trovasse proprio nelle sedi della democrazia la possibilità di esprimersi.
Ma consentimi una riflessione più generale. Nello scadimento del dibattito pubblico ci vedo le conseguenze di un’epoca, ormai un trentennio, che non a caso è stata chiamata del pensiero unico. L’epoca, iniziata con l’89 in cui il capitalismo si è dichiarato vincitore della guerra al comunismo. Peccato che subito abbiamo conosciuto una ripresa delle guerre guerreggiate con protagonista l’Occidente capitalista. E di tante guerre economiche e commerciali. Soprattutto, come ha ben spiegato Luciano Gallino, si è “rovesciata” la lotta di classe e la fanno i “padroni” su scala mondo.
Poi abbiamo avuto tante diatribe binarie, guerra terrorismo; nazionalismo, globalizzazione; populismo, elitismo. E abbiamo anche i no vax. Queste diatribe a volte confondono
la lettura del senso dell’epoca. Che a me pare quella in cui il capitalismo reale ci dovrebbe portare a riscoprire l’antica profezia dell’alternativa tra socialismo o barbarie. È un trentennio nero quello che abbiamo vissuto e che dopo, e con le guerre, ci porta alla pandemia. Ma le classi dirigenti,
meglio sarebbe dire i dominanti, che sono ormai al servizio di quelli che Riccardo Petrella chiama i predatori, la finanza, le multinazionali, sfuggono ogni verifica critica, si trincerano.
Prendiamo la pandemia. L’allarme era stato lanciato da più di 20 anni e non si è fatto niente, letteralmente. O pensiamo al cambio climatico dove da 30 anni grazie agli scienziati si sa sempre di più sulle cause e sul che fare e invece non si fa. Kyoto era un trattato vincolante. Lo si è fatto scadere e ci si è affidati al mercato climatico dove conta il mercato e non il clima. Si dovrebbero sanare le ingiustizie storiche calcolando i danni prodotti dai dominanti dello sviluppo predatorio e invece si fa sempre peggio. Il ricco (ancora di più durante la pandemia) che si compra un viaggio spaziale mentre laTerra brucia è l’immagine dei tempi. E poi c’è la riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani. Una guerra fallimentare, come sapevano tutti. Ma i dominanti non pagano pegno, anzi rilanciano. In tutto questo l’Italia è una delle realtà più “tristi”. Destre pessime. Un “centrosinistra” protagonista di tutti i fallimenti dei dominanti. I Cinquestelle rapidamente omologati. E una sinistra che ci ha provato, ha perso, non riesce a riprendersi. Un Paese triste, che ha estirpato la sua memoria storica, ritrovando il peggio del passato lontano e non avendo idee di futuro. Pure un Paese dove ci si organizza ancora per una società diversa, della cura. Magari farlo a livello europeo sarebbe ancora meglio.
A cura di Alberto Deambrogio
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
Intervista pubblicata sul numero di settembre 2021 http://PDF http://www.lavoroesalute.org/
In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2021/
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