Ilva: il lavoro contro la vita?
“Il centro siderurgico a Taranto? Forse fu un errore. Ricordo che mi diedi molto da fare, e partecipai alle battaglie, perché si costruisse il grande impianto siderurgico a Taranto. Abbiamo imparato, dopo, che bisognava essere più prudenti e che bisognava mettere nel conto anche tutte le conseguenze negative dell’industrializzazione. Ma si è dovuti passare per quell’esperienza per capirlo“. A parlare è l’ex presidente Napolitano che, nonostante la sua ammissione, ha firmato i decreti “Salva-Ilva” senza batter ciglio, avallando, di fatto, la teoria di una ambientalizzazione impossibile e legalizzando il ricatto occupazionale che si perpetua da decenni: morire di fame o di tumore.
È questa la scelta che a Taranto siamo costretti a subire, una scelta spietata e immorale, che ti annichilisce come lavoratore, genitore e uomo, perché non dà scampo, non vedi vie d’uscita; cerchi di pensare positivo, ti aggrappi alla speranza che l’Ilva possa essere risanata, ma sai che non è possibile e chi lo afferma mente sapendo di mentire.
C’è stato un tempo in cui si sarebbe potuto prendere il treno dell’ambientalizzazione ma la politica, locale e nazionale, con la complicità dei sindacati, ha preferito perderlo, ubbidendo al padrone e sacrificando un intero territorio sull’altare del profitto.
In tutti questi anni, politica e sindacati hanno dichiarato che l’acciaio di Taranto serve per il PIL nazionale, ma non hanno mai detto quanto il tentativo, finora fallimentare, di salvare l’Ilva abbia inciso negativamente proprio sul PIL, visto che l’esposizione delle banche ammonta ad oltre un miliardo e mezzo di euro. Chi si vuole salvare, quindi? L’Ilva o le banche esposte? Ed in termini di malati, di terapie oncologiche, di cure mediche, di viaggi della speranza quanto incide negativamente l’Ilva sul PIL nazionale? E quanto sono costati gli ammortizzatori sociali utilizzati negli ultimi dieci anni?
L’Ilva è una fabbrica illegale perché è piena di amianto: 1300 sono i siti contaminati dalla fibra killer, come ha dichiarato candidamente l’ex commissario Enrico Bondi e, ad oggi, nessun piano di bonifica è stato programmato.
L’Ilva è una fabbrica che cade a pezzi e chi, come il segretario generale della Fiom, afferma che questa fabbrica può affrontare la sfida dell’industria 4.0 dimostra di non conoscere affatto né lo stabilimento, né i suoi impianti obsoleti, né il ciclo produttivo.
L’Ilva è una fabbrica killer che ammazza dentro e fuori la fabbrica: si contano sette lavoratori morti dal sequestro disposto dalla magistratura. L’Ilva ammala e uccide i Tarantini: sono 1500 i morti di tumore ogni anno, secondo i dati Istat, mentre nei bambini si calcola un eccesso del 30% dell’incidenza di tumori infantili rispetto alla media nazionale.
L’Ilva distrugge l’economia di un intero territorio e il futuro dei giovani tarantini: in quattro anni, dodicimila ragazzi hanno deciso di lasciare la città per trasferirsi altrove.
Ma, nonostante ciò, nonostante chi ci vuole sotto ricatto, nonostante chi continua a vendere fumo, nonostante tutto, a Taranto c’è chi si non si arrende e chi dice No ai ricatti e cerca di lottare per un futuro diverso, proponendo un piano di riconversione economica, partendo dalla chiusura degli impianti e la bonifica dell’area reimpiegando i lavoratori diretti ed indiretti.
Il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha fatto la sua prima “apparizione” il 2 agosto del 2012, durante uno sciopero organizzato dai sindacati confederali contro il sequestro disposto dalla Magistratura. “Adesso non parlate più voi, adesso parliamo noi” è la frase, ormai passata alla storia, con cui Cataldo Ranieri, operaio Ilva, prese la parola iniziando ad elencare pubblicamente le responsabilità di politica e sindacato che, per interesse e profitto, hanno sempre sacrificato la vita di lavoratori (i quali – va ricordato – sono i primi ad essere esposti all’inquinamento industriale) e cittadini.E’ proprio per non far spegnere i riflettori sul caso Taranto e per continuare a raccontare la vita e la morte dei lavoratori, le condizioni disumane cui sono sottoposti per lavorare in luoghi di lavoro privi di ogni minima norma di sicurezza che si è pensato alla prima edizione di Uno Maggio Libero e Pensante.
UNO MAGGIO LIBERO E PENSANTE è una giornata di lotta, protesta e proposta, che si avvale della musica per far veicolare determinati valori universali, come giustizia sociale ed equità che, altrimenti, non raggiungerebbero i ragazzi più giovani, che il Comitato, invece, cerca sempre di coinvolgere in prima persona, rendendoli partecipi e protagonisti.
I temi trattati nelle quattro edizioni della manifestazione vanno dall’emergenza sanitaria, al diritto alla cura migliore, al potenziamento delle strutture sanitarie già esistenti, al futuro che rimane un miraggio, alle bellezze di Taranto.
Quest’anno il tema dell’#unomaggioliberoepensante è “Programmiamo il nostro futuro” proprio perché, durante la manifestazione, saranno discusse le linee guida – scritte insieme ad altre realtà associative della città – di un Accordo di Programma finalizzato alla chiusura, bonifica e riconversione dell’intero territorio tarantino.L’Accordo di Programma che si sta costruendo con chi ha condiviso questo progetto non è un libro dei sogni: è un programma serio di bonifica e riconversione, con coperture finanziarie reali, che ridisegnerà il futuro di Taranto perché possa realmente divenire il simbolo di una quarta rivoluzione industriale “umanizzata”, che ponga al centro del processo di rinnovamento l’uomo e la sua capacità di operare per il bene comune.
Simona Fersini
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 33 di Marzo – Aprile 2018: “Fuori dal mercato”
21/4/2018 www.italia.attac.org
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