Imparare a leggere i dati per non farsi manipolare
Tabelle, mappe, grafici, percentuali. Tra gli effetti positivi della pandemia, c’è stato senza dubbio l’aver sdoganato l’uso dei dati per prendere decisioni più informate e comunicare meglio con i cittadini. Questo processo non è stato però accompagnato da un’adeguata diffusione della cultura del dato. Spesso si pensa che basti usare una percentuale o un grafico per rendere automaticamente più credibile e scientifico un messaggio (“lo dicono i dati!”).
E così abbiamo visto esperti, politici, giornalisti salire sul treno dei dati, senza essere molto consapevoli su come vadano raccolti, analizzati e comunicati. Molti leader hanno iniziato a usare il linguaggio dei dati per spingere la propria agenda e, in alcuni casi, apertamente manipolare e ingannare i cittadini.
Dalla Brexit a Salvini, passando per Trump e Orbán
Quando lo scorso settembre un sondaggio Ipsos ha sancito il sorpasso della Lega sul PD nelle intenzioni di voto, lo staff di Matteo Salvini si è affrettato a visualizzare i dati con un grafico in cui la barra della Lega è il doppio di quella del PD e quasi il triplo di quella di Fratelli d’Italia. Questo nonostante tra i partiti ci siano differenze risibili: lo 0,5% rispetto al PD e l’1,7% rispetto a Fratelli d’Italia. Ma tanto basta a confezionare l’ennesimo post virale e raccogliere decine di migliaia di like. Tra l’altro Salvini è stato un pioniere della propaganda data-driven. Si pensi al tormentone dei 35 euro al giorno “in tasca” ai richiedenti asilo, quando in realtà ne ricevevano solo 2,5 euro al giorno.
Le barre crescono come funghi di notte anche per lo staff social di Viktor Orbán, come sottolineato dal sito di fact-checking ungherese Lakmusz.hu. Per commentare la crescita dell’occupazione o del salario minimo, i grafici si impennano senza rispettare nessuna proporzione. Contano solo le narrative minime (cresce, sale, raddoppia) e l’impatto visivo (colori accesi e sorriso sgargiante del leader). Le fonti, le scale e gli altri elementi per comprendere un grafico possono aspettare.
Gioca con la manipolazione visiva anche una mappa diffusa dall’ex presidente Usa Donald Trump, con il testo-provocazione “Try to impeach this!”. E, cioè, provate a mettere sotto accusa la quasi totalità del paese che mi ha votato. Peccato, però, che questa mappa non ci dica quanti voti abbia preso Trump nel 2016 (tra l’altro 3 milioni in meno rispetto a Hillary Clinton), ma visualizzi solo la distribuzione geografica del voto. Una contea dello stato di New York (che ha una densità abitativa di oltre 159 abitanti a Km2) non può essere paragonata a una del Wyoming (che ha una densità di 2 abitanti per Km2). “I cittadini votano, non gli acri”, ha ben sintetizzato Alberto Cairo, autore di Come i grafici mentono.
Utilizzando gli stessi dati della mappa sopra, ma scegliendo di visualizzare il numero di voti, la rappresentazione cambia di molto.
Che il matrimonio tra dati e politica potesse sfociare nella manipolazione era diventato chiaro nel 2016, quando per tutta la campagna Brexit il comitato per il Leave ha martellato i britannici con un dato: il Regno Unito versa 350 milioni di sterline alla settimana a Bruxelles, riprendiamoci questi soldi. La cifra è stata stampata a caratteri cubitali su banner, cartelloni pubblicitari, oltre che su bus rossi che hanno fatto il giro del paese. Salvo poi risultare del tutto falsa ed essere smentita dagli stessi esponenti del comitato Leave a urne chiuse… Tanto che un cittadino ha lanciato una campagna di crowdfunding per portare Boris Johnson in tribunale con l’accusa di “cattiva condotta nell’esercizio di un pubblico ufficio”.
“Più forte di tante parole”
Non tutte le manipolazioni dei dati sono intenzionali o frutto di cattiva politica. Dietro a tante delle #horrorchart che un gruppo di utenti ha iniziato a segnalare su Twitter spesso c’è solo poca cultura del dato e una scarsa conoscenza delle regole minime di visualizzazione.
Si prendano le slide sulle terapie intensive presentate dal ministro della Salute Roberto Speranza nella conferenza del 10 gennaio 2022. Le cifre dell’Istituto Superiore della Sanità sono accompagnate da una visualizzazione che, secondo Speranza, sarebbe “più forte di tante parole”, ma che in realtà falsa il senso delle proporzioni. Sheldon, uno studio di data-designer italiani, ha provato a visualizzare gli stessi dati in un altro modo, mettendo in luce i tanti problemi visivi e narrativi di quel tipo di rappresentazione.
L’Istituto Superiore della Sanità ha poi realizzato una versione con i pittogrammi meglio proporzionati.
Ma, come hanno notato alcuni esperti, sarebbe meglio evitare del tutto questo genere di rappresentazione (in questo thread un bel dibattito per chi volesse approfondire).
A scuola di data-checking
Mentre i dati vivono il loro momento d’oro e sempre più scelte politiche vengono giustificate sulla loro base (si pensi alla gestione “datificata” della pandemia), diventa sempre più evidente il bisogno di diffondere una cultura del dato tra decisori pubblici e cittadini. Ne va della nostra capacità di saper prendere decisioni informate e consapevoli.
La capacità di sapere leggere e comunicare i dati è una delle competenze base del DigiComp, il quadro di riferimento delle competenze digitali dell’Unione Europea, che è stato in parte recepito in Italia con l’introduzione dell’insegnamento obbligatorio dell’educazione civica a scuola.
Parlare di dati a scuola non vuol dire per forza insegnare a usare Excel o diventare esperti di statistica avanzata. Si tratta di riflettere sulla “grammatica” di questo nuovo linguaggio, per capire in autonomia se una tabella è affidabile o no, se una visualizzazione è manipolatoria o se un grafico è poco funzionale al messaggio che vuole comunicare.
Si tratta, cioè, di promuovere un approccio che a Dataninja abbiamo definito data-checking, un misto di pensiero critico e fact-checking.
Alla base di questo approccio ci sono 3 semplici domande che può farsi chiunque voglia provare a informarsi in maniera più consapevole di fronte a un dato.
Chi è la fonte?
Spesso i dati si portano dietro un’aura di scientificità e vengono presentati come se fossero già di per sé un “fatto”. In realtà chiunque può produrre dati per promuovere i propri interessi. È per questo che è sempre importante indicare la fonte di un dato, anche quando si condividono screenshot sui social. Una pratica, purtroppo, poco diffusa tra i tanti giornalisti e analisti che condividono tabelle e grafici senza un link o un riferimento.
Anche quando la fonte è indicata, è utile fare qualche controllo ulteriore. Ad esempio l’anno scorso è venuto allo scoperto lo scandalo di Worldometer, un aggregatore di dati in tempo reale usatissimo in tutto il mondo. Da un’inchiesta della CNN è emerso che non si sa assolutamente chi ci sia dietro questo sito. Eppure è stato usato da fonti attentissime come il New York Times, il Financial Times e la John Hopkins University, oltre che da alcuni governi – come quello spagnolo – per prendere decisioni sulla gestione della pandemia. Una pratica che ricorda tanto i primi tempi dei social network, quando molte testate pubblicavano contenuti pescati online, senza verificare chi c’era dietro.
I dati sono corretti?
Dopo aver individuato la fonte, è bene chiedersi se i dati sono stati raccolti e presentati in maniera corretta. Abbiamo visto i grossi problemi dei 35 euro di Salvini e dei 350 milioni di Boris Johnson.
Più insidiose sono poi le “false correlazioni”, quando cioè si crea una relazione di causa-effetto tra due fenomeni che non sono legati tra di loro. Si pensi a tutto il dibattito sui presunti effetti negativi della DAD sulle performance degli studenti italiani. Come ha ben spiegato Elisabetta Tola qui su Valigia Blu, i dati Invalsi da cui partivano quelle analisi non avevano minimamente preso in considerazione il fattore DAD; fare una correlazione così forte era estremamente sbagliato.
La visualizzazione è funzionale?
Anche quando la fonte è affidabile e i dati sono corretti, si possono usare le tecniche di storytelling visivo per ingannare chi guarda.
Abbiamo già visto sopra diversi esempi di manipolazione intenzionale dei grafici. Ma sempre più spesso vediamo anche errori involontari, dovuti a una scarsa cultura del dato: dagli assi troncati alle mappe distorte, passando per le torte che non fanno 100 e i casi sempre più diffusi di “disinfografiche” (e, cioè, infografiche che disinformano).
Proprio perché un’immagine è spesso “più forte di tante parole”, è questa la forma di manipolazione a cui dobbiamo stare più attenti. Come confermano i tanti utilizzi ingannevoli che hanno iniziato a farne i leader populisti.
Risorse
Open the Box
Progetto di Dataninja per portare la data literacy nella scuola italiana. Offre percorsi di formazione gratuita e lezioni interattive con mini-giochi, slide, video e attività di gruppo da svolgere in classe. Per docenti, educatrici ed educatori.
Ti spiego il dato
Nato come una rubrica Instagram di Donata Columbro per commentare le notizie del giorno basate sui dati, nel tempo è diventato un progetto con un libro di Quinto Quarto Edizioni, una newsletter e un corso interattivo presto in arrivo sulla Dataninja School.
Come i grafici mentono
Il testo di riferimento su come le visualizzazioni basate sui grafici possono mentire e come possiamo difenderci. Di Alberto Cairo, uno dei più noti information-designer al mondo.
#Horrorchart
Un hashtag Twitter per aggregare le segnalazioni di grafici ingannevoli, manipolatori o semplicemente mal progettati.
Nicola Bruno
6/2/2022 https://www.valigiablu.it
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