In mezzo milione a Roma contro la violenza sulle donne
Foto di https://www.facebook.com/nonunadimenoroma
La partecipatissima manifestazione del 25 novembre 2023 a Roma ha sugellato un anno denso e pesantissimo.
Ieri, 25 novembre, mezzo milione di persone a Roma ha manifestato contro la violenza sulle donne e per il loro diritto alla sicurezza. Una marea umana ha invaso il Circo Massimo, per poi incanalarsi in un fiume in piena lungo le strade della città, fino ad arrivare alla Basilica di San Giovanni passando per il Colosseo.
Sciarpe, foulard e cappelli rossi o fucsia, cartelli come “Mamma, se non torno brucia tutto”, striscioni e bandiere a non finire e partecipatissimi cori hanno fatto tremare i vetri dei palazzi del centro della capitale. “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce!”, questo uno degli slogan più ripetuti per 5 lunghe ore, insieme ad altri come “Non una di meno!”, “Il maschio violento non è malato, è il figlio sano del patriarcato!”.
E a voler eradicare il patriarcato dalla società e dalla cultura del nostro paese stavolta c’erano anche molti uomini. Infatti quest’anno il corteo si è distinto anche per la notevole presenza maschile, soprattutto di ragazzi giovani, a smentire i sondaggi recenti, forse fatti a campione settoriale, che hanno tacciato le nuove generazioni italiane di machismo e possessività nei confronti delle loro partner.
Gli orribili stupri a Caivano e a Palermo, gli ennesimi insopportabili e brutali femminicidi di Giulia Tramontano con il suo bambino ancora in grembo e di Giulia Cecchettin sono solo alcuni dei vergognosi fatti di cronaca che hanno tinto di rosso questo anno particolarmente segnato dalla violenza sulle donne. E ieri per le strade romane è esplosa una bomba di indignazione tanto più potente quanto lo scandaloso fatto che in Italia ancora alle porte del 2024 non vi siano strumenti istituzionali efficaci per proteggerle da uomini che arbitrariamente decidono di possederle usando ogni tipo di atto efferato. La rabbia era tanta e uno dei momenti più intensi è stato quando sono stati letti i nomi degli assassini delle vittime di femminicidio dall’inizio del 2023 e per ognuno la risposta è stata: “Brucia!”.
Il pensiero condiviso sintetizzato da una manifestante è che “il modo per fermare la violenza è smettere di riprodurre una società patriarcale e questo possiamo farlo sia a livello istituzionale, ma anche e soprattutto cominciando dalle nostre vite singole”.
Ma cos’è il patriarcato? Ancora in troppi e anche purtroppo in troppe se lo chiedono, in barba alle battaglie femministe degli anni ’70 a cui si devono tutti i diritti conquistati ad oggi dalle donne, forse obnubilati e obnubilate dai successivi decenni di modalità berlusconiana.
Ha risposto magistralmente a questa domanda Paola Cortellesi con il suo film “C’è ancora domani”. L’enorme successo che ha avuto e sta avendo parla chiaro sulla crescente consapevolezza delle italiane e degli italiani di quanto nei comportamenti quotidiani ci sia di altamente lesivo dei diritti delle donne, ancora oggi, a partire dalle parole. Le recriminazioni sul linguaggio e sui piccoli gesti vengono fatte passare da chi ancora non ha capito come incaponimenti su leggere sfumature, che però in realtà sono fondanti. I femminicidi ne sono la conseguenza estrema, la punta dell’iceberg.
La protesta di ieri è arrivata potente a sugellare un anno denso in questo senso. Nel 2023 è scomparso Silvio Berlusconi, con una radicale virata deontologica da parte dei figli nella gestione dei mass media di famiglia. Quest’anno purtroppo si è anche portato via Michela Murgia, la donna che ha dedicato la sua carriera e la sua vita alla liberazione del genere femminile e all’eliminazione degli stereotipi patriarcali a partire dalle parole, soprattutto quelle usate dai mass media. Il 2023, infine, proprio nello stesso giorno di Berlusconi ha visto spegnersi Francesco Nuti, il regista tra gli altri film di “Donne con le gonne”, la storia di un uomo che sequestra la sua donna emancipata e femminista in un casolare e la costringe a vivere come una devota casalinga.
Il fatto che 500.000 persone, la maggior parte giovani, abbiano deciso di passare un intero sabato a manifestare la propria indignazione e la propria rabbia sfidando il freddo che all’improvviso ha attanagliato la capitale è un segnale forte di unità e compattezza nel dire basta. Questo nonostante la vergognosa polarizzazione politica e le strumentalizzazioni che soprattutto dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e gli interventi di sua sorella Elena, hanno generato alcune tra le peggiori esternazioni di sempre da parte di esponenti dei partiti di centro-destra.
Anche per questo la tensione era alta, soprattutto nei confronti della polizia che idealmente rappresenta il governo, sommato al fatto che sia in corso un’inchiesta per chiarire il perché i Carabinieri non siano intervenuti dopo la chiamata di un testimone delle violenze di Filippo Turetta poco prima dell’assassinio di Giulia Cecchettin. Una tensione purtroppo sfociata in uno scontro con le forze dell’ordine di fronte alla sede di Pro Vita e Famiglia in viale Manzoni, a causa del lancio di fumogeni, bottigliette d’acqua e altri oggetti contro alcuni agenti che piantonavano le saracinesche dell’organizzazione e che la folla aveva costretto spalle al muro.
Manca ancora un mese alla fine del 2023. La speranza è che abbiano un qualche effetto le misure appena approvate in Parlamento che dovrebbero migliorare la “prevenzione secondaria”, quella cioè a tutela delle donne che hanno già sporto denuncia. Pur restando la ferma consapevolezza che la prevenzione non si fa con le leggi di polizia, come denunciano anche gli operatori dei centri anti violenza. La prevenzione si fa con l’educazione ed è da lì che bisogna partire.
Alcune foto di Non Una di Meno e Francesca Zeppieri
Cecilia Capanna
26/11/2023 https://www.pressenza.com/
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