In un mondo nuovo
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Superare il binarismo Oriente-Occidente significa riconoscere che nelle società contemporanee persone, religioni e lingue diverse possono convivere. Il saggio di Renata Pepicelli Né Oriente né Occidente. Vivere in un mondo nuovo smantella gli stereotipi e celebra il valore delle ibridazioni, offrendo una prospettiva più ampia e inclusiva della storia
In un’epoca di crescenti divisioni ideologiche e suprematismi culturali, il saggio di Renata Pepicelli Né Oriente né Occidente. Vivere in un mondo nuovo (Il Mulino, 2025) sfida coraggiosamente le narrative che separano Oriente e Occidente. L’autrice, docente di Islamologia e Storia del mondo arabo contemporaneo all’Università di Pisa, ci offre una riflessione necessaria e illuminante per comprendere le complesse identità culturali del nostro tempo, in bilico fra tradizioni diverse ma interconnesse.

Il libro di Pepicelli arriva in un momento cruciale del dibattito pubblico italiano, quando le Nuove Indicazioni nazionali per la scuola hanno sollevato polemiche per affermazioni marcatamente eurocentriche come “solo l’Occidente conosce la Storia”. In questo documento ufficiale si legge che “i greci e i latini, nostri primi maestri, erano popoli scrittori di storia”, mentre “altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia…”. Questa visione limitante e riduttiva trova nel saggio di Pepicelli una risposta articolata che smantella gli stereotipi e celebra il valore delle ibridazioni culturali, offrendo una prospettiva più ampia e inclusiva della storia umana.
La questione è diventata ancor più attuale dopo la manifestazione europeista di Roma del 15 marzo 2025, durante la quale si è parlato ripetutamente di “noi e loro”. In quell’occasione, il noto cantautore Vecchioni ha tracciato un netto confine tra la cultura europea e le altre culture mondiali, delineando una divisione che rischia di escludere molte identità composite.
Ma in questo mondo interconnesso e multiculturale, dove si collocano le persone che hanno origini diverse ma nascono e crescono in Europa? Che studiano gli stessi autori delle e degli studenti autoctoni – Hegel, Manzoni, Pirandello e Cervantes – ma portano con sé anche le storie delle proprie famiglie e delle terre d’origine? Che si sentono italiane ed europee ma vengono costantemente percepite come “altre” dagli sguardi della società?
Nel capitolo del libro intitolato “Un mondo nuovo”, Pepicelli racconta proprio di queste esistenze plurali e complesse attraverso le storie di artisti contemporanei e di scrittrici, tutti e tutte italiane di origine africana, asiatica o latino-americana che vivono quotidianamente questa condizione di appartenenza multipla.
Come scrive efficacemente l’autrice, “le identità nazionali, e pertanto l’identità italiana, non possono essere considerate qualcosa di dato… ma vanno immaginate come processi fluidi, in evoluzione; esse sono il prodotto di una costante riscrittura di definizioni e appartenenze da parte di chi sta al centro, così come di chi sta ai margini della società e dei luoghi del potere”.
Una riflessione che invita a ripensare profondamente il concetto stesso di identità nazionale, di persone spesso ancora erroneamente percepite come elementi estranei e non integrati nella società italiana, nonostante molte di loro (inclusa io) siano nate e cresciute in Italia, parlino perfettamente l’italiano e abbiano assorbito la cultura locale.
Pepicelli illumina con lucidità come la storia umana sia in realtà un continuo processo di mescolamento e scambio tra popoli, contestando con vigore l’idea di culture monolitiche e impermeabili ai contatti esterni. Questa prospettiva si collega criticamente alle riflessioni di Edward Said sull’orientalismo, evidenziando come l’Occidente abbia storicamente costruito un’immagine dell’Oriente come spazio esotico, arretrato e sessualizzato, per legittimare una presunta superiorità culturale che ancora oggi influenza molti dibattiti pubblici.
Il testo risulta accessibile sia a chi è specialista del settore che al grande pubblico interessato alle dinamiche interculturali. Pepicelli fornisce con generosità gli strumenti concettuali necessari per comprendere le identità plurime che caratterizzano la società contemporanea, smontando con precisione i meccanismi del suprematismo bianco che, come efficacemente sottolineato nel saggio di Adam Rutheford Cosa rispondere a un razzista. Storia, scienza, razza e realtà (Bollati Boringhieri, 2024), è ossessionato dal paventato crollo della “cultura occidentale”. Vecchioni stesso, nel suo intervento alla manifestazione, ha mostrato tracce di questo atteggiamento, alludendo, forse inconsapevolmente, a un “suprematismo culturale dell’occidente” che merita di essere analizzato criticamente.

Da genetista, nel suo libro Rutheford evidenzia come “tutti i suprematisti bianchi hanno antenati mediorientali. E tutti i razzisti hanno antenati africani, indiani, cinesi, nativi americani e aborigeni australiani, proprio come chiunque altro”. Questa prospettiva scientifica demolisce radicalmente i miti della presunta purezza razziale, dimostrando l’interconnessione genetica dell’intera umanità, un fatto che la politica identitaria cerca spesso di nascondere.
Pepicelli, invece, ci mostra con ricchezza di esempi un’interconnessione culturale tra Occidente e Oriente che potremmo definire “Occiriente”, un neologismo che cattura perfettamente i legami profondi e millenari tra questi mondi culturali apparentemente distanti.
Nel saggio viene anche smontato il diffuso pregiudizio della paura dell’Islam, oggi particolarmente radicato in molti discorsi pubblici europei. L’autrice narra la storia affascinante di Re Ruggiero II e della sua corte cosmopolita nel XII secolo, dove convergevano armoniosamente popoli, tradizioni, costumi e fedi diverse in un esempio storico di coesistenza pacifica e produttiva. Un re cristiano che si circondò consapevolmente di studiosi arabi, valorizzando la cultura arabo-islamica del suo tempo: “non cancellò le conoscenze dei precedenti conquistatori arabi ma scelse di conservare il meglio della tradizione culturale precedente”, dimostrando una saggezza politica e culturale che molti leader contemporanei potrebbero prendere a modello.
Pepicelli si interroga con prontezza: “sono davvero l’Islam e l’Europa e l’Occidente a essere in contrapposizione?”, concludendo, dopo un’analisi approfondita, che questi discorsi divisivi servono principalmente a chi ha mire politiche opportunistiche e intende strumentalizzare l’opinione pubblica per creare divisioni artificiali e potenzialmente violente.
È sorprendente osservare come la propaganda antislamista sia riuscita negli anni a manipolare il senso critico di ampie fasce della popolazione, presentando l’Islam come un’unica religione monolitica ed estremista, dimenticando volutamente che “nel mondo islamico – dove non esiste un’unica autorità religiosa centralizzata – sussiste una grande pluralità di opinioni e correnti, che vanno da un orizzonte tradizionalista-fondamentalista a uno progressista-libertario con tutto quello che c’è di mezzo. Le diverse interpretazioni religiose del messaggio islamico si mescolano in diversi casi con tradizioni e usi locali radicati in territori e culture specifiche”, creando un panorama culturale e religioso estremamente variegato.
Il libro non intende negare le difficoltà e le sfide reali che l’Islam contemporaneo pone alle società occidentali, ma apre con coraggio una discussione più ampia e sfumata che supera i concetti fuorvianti di violenza e sopraffazione spesso associati a questa religione, soprattutto quando consideriamo le esperienze concrete delle persone giovani con background migratorio che vivono nelle società europee. Per queste ultime si intrecciano complesse questioni di cittadinanza, classe sociale e genere – quell’intersezionalità spesso ignorata nell’analisi delle loro esperienze di vita, ma fondamentale per comprendere le loro identità multiple e le sfide di fronte alle quali si trovano quotidianamente.
Un altro tema fondamentale affrontato nel saggio è il ruolo della donna che, nell’ottica occidentale e coloniale, nel mondo orientale viene sistematicamente “inferiorizzata”, perpetuando quella contrapposizione binaria Oriente-Occidente. Ancora una volta, la narrativa occidentale dominante dipinge la donna in Oriente come oppressa e arretrata, bisognosa di essere “salvata” dalla modernità occidentale. Pepicelli smonta brillantemente questo pregiudizio quando scrive che “svelare, salvare, modernizzare le donne d’Oriente” ha significato di nuovo affermare “la supremazia culturale, politica e economica dell’Occidente”, rivelando le dinamiche di potere nascoste dietro questa retorica apparentemente progressista.
L’autrice ci ricorda con rigore storico che i movimenti femministi transnazionali sono esistiti da sempre anche in questo Oriente spesso demonizzato, accompagnandoci in un affascinante viaggio alla scoperta di pioniere come l’egiziana Hoda Sha’rawi che già nel 1923 aveva fondato l’innovativa Unione femminista egiziana. La narrazione ci porta attraverso vari paesi arabi dove nascono associazioni femminili che rivendicano diritti fondamentali come l’accesso all’istruzione e al voto per le donne, intrecciando queste lotte con quella per l’indipendenza dei propri paesi dal dominio coloniale.
Nel capitolo incisivamente intitolato Terre e donne di conquista, Pepicelli affronta la complessa questione del velo islamico, oggi spesso riduttivamente considerato un accessorio che simboleggia la sottomissione della donna al volere dell’uomo. L’autrice rivela come, durante le battaglie per l’indipendenza dal giogo coloniale, il velo fosse diventato per le donne algerine un potente simbolo della resistenza anticoloniale, ribaltando completamente la narrativa occidentale su questo indumento.
Particolarmente illuminante è l’analisi critica sulla rappresentazione delle odalische e dell’harem nell’immaginario occidentale, che ha cristallizzato una visione esotizzante e sessualizzata delle donne orientali che persiste ancora oggi. Pepicelli arricchisce questa riflessione con le storie straordinarie di figure come Fatema Mernissi, brillante sociologa marocchina cresciuta in un harem, che offre una testimonianza diretta che sfida gli stereotipi occidentali, o l’affascinante figura dell’anarchica italiana Leda Rafanelli, convertitasi all’Islam, che riuscì a unire la fede islamica e il movimento anarchico in una prospettiva anticoloniale e antifascista.
La voce autorevole di Mernissi risuona con particolare forza quando spiega, con chiarezza, che il problema delle donne nei contesti islamici non risiede nella religione islamica in sé, bensì nell’interpretazione misogina che ne viene data da alcuni. Una distinzione fondamentale che invita a una comprensione più sfumata e rispettosa delle complesse realtà delle donne musulmane, lontana dai semplicismi che spesso caratterizzano il dibattito pubblico occidentale su questi temi.
In definitiva, l’innovativa opera di Pepicelli invita tutte e tutti a riconoscere e legittimare quello spazio intermedio, né puramente orientale né occidentale, in cui molte e molti di noi già vivono e operano creativamente. Il suo lavoro è un appassionato invito a superare visioni semplificate e binarie della realtà culturale contemporanea, anticipando un “mondo nuovo” che, a ben guardare, è già presente nelle nostre città e nelle nostre vite quotidiane.
Per le persone dalle identità multiple e composite, questo saggio rappresenta non solo un’analisi teorica stimolante, ma una vera e propria dichiarazione di esistenza e legittimità culturale, un riconoscimento della loro esperienza vissuta che troppo spesso viene marginalizzata o ignorata nel dibattito pubblico.
Il contributo di Renata Pepicelli si rivela quindi prezioso per chiunque voglia comprendere più a fondo la complessità del mondo contemporaneo, superando stereotipi e semplificazioni che non rendono giustizia alla ricchezza dell’esperienza umana in un’epoca di crescente interconnessione globale.
Per approfondire
Renata Pepicelli, Né Oriente né Occidente. Vivere in un mondo nuovo, Il Mulino, 2025
Rahma Nur
4/4/2025 http://www.ingenere.it
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