IN VAL DI SUSA È CAMBIATO TUTTO
Abolita la “zona rossa”. Con questo titolo la locandina de La Stampa cercava di adescare i pochi acquirenti che il giornale di Mario Calabresi può ancora vantare in questa colonia subalpina, geograficamente identificata come Valle di Susa. Un protettorato che sta tra le “loro” prime case, diffuse tra la “collina dei Savoia” e il centro storico dei Chiamparino & Fassino da un lato, e le “loro” località sciistiche di elezione (Sestriere, San Sicario, Sauze d’Oulx) dall’altro.
Un fastidioso “corridoio” di meno di cento chilometri che si è cercato di bypassare prima con l’autostrada del Frejus (all’epoca improvvidamente invocata anche da molti sindaci, dopo l’apertura dell’omonimo traforo che aveva moltiplicato il transito di mezzi pesanti) e poi con una nuova ferrovia ad alta velocità che avvicinasse artificiosamente Torino a Lione, Parigi a Venezia e (ultimo slogan offerto in saldo) Pechino a Londra. Ma torniamo al titolo degli scribi di Calabresi sull’abolizione della zona rossa: dopo Genova (e i successivi G8-10-12) è diventata sinonimo di area off limits, invalicabile, sede di sorveglianza armata. Definizione perfetta per quella sorta di imbuto al confine tra i paesi di Chiomonte e Giaglione, scelto per l’imbocco del cunicolo esplorativo del Tav, dopo la rinuncia a partire più agevolmente da Venaus a causa della rivolta popolare del 2005. Una zolla di terra e sassi che precipita ripidamente da oltre duemila metri di quota (della parte alta a lato del colle del Moncenisio) fino alle “gorge” della Dora Riparia, che riceve le acque del torrente Clarea.
Un’area da mountain wirdelness, stuprata una prima volta trent’anni fa per conficcarci due viadotti autostradali per congiungere gli afferenti tratti di galleria, e nuovamente sventrata oggi per incastrarci un improbabile cantiere per la realizzazione di una galleria di piccolo diametro per l’esplorazione della consistenza della roccia in cui dovrebbero passare i tunnel ferroviari del mitico traforo di base da 57 chilometri. Una solidità niente affatto garantita, visto che l’area non è stata più abitata dopo una rovinosa frana che travolse un villaggio dell’età del ferro, riportato alla luce proprio in seguito allo scavo delle gallerie autostradali e soprannominato la “Pompei del nord”, oggi irreparabilmente danneggiato dall’occupazione militare persino della casina che era stata adibita a sede del museo!
In quest’area definita di “interesse strategico”, (proprio come, grazie al decreto Sblocca Italia, verranno da oggi considerati tutti i siti di opere invise alle popolazioni) è stato impossibile (reso pericolosissimo e illegale paradossalmente con procedure a loro volta tali) impedirne l’impianto e “sabotarne” a fin di bene la conclamata nocività. Era impossibile anche solo avvicinarsi, dopo lo sgombero dell’area avvenuto violentemente all’alba del 27 giugno 2011 e che ha visto sin qui processare (e condannare) dalla procura di Torino solo attivisti del movimento No Tav. Un avvicinamento “punito” preventivamente ogni volta che si è cercato di accostarsi in numero ritenuto eccessivo o con modalità ritenute minacciose, come è ancora successo lo scorso fine settimana quando addirittura dei deputati europei di tre diversi gruppi (Sinistra, M5S e Verdi) sono stati malmenati assieme ad alcuni attivisti No Tav che li accompagnavano.
Non si sa se anche questo “incidente” (probabilmente dovuto ad eccesso di zelo della guarnigione di turno) abbia contribuito a far prendere la decisione epocale alla prefettura sabauda. Ma da qualche giorno (dopo la pubblicazione, appunto, sulla “gazzetta ufficiale della real-casa”), la zona rossa non esiste più. Gli agricoltori che si ostinano a coltivare la vite o la lavanda dovrebbero poter tornare a transitare sulla vecchia strada bianca che congiunge i due paesi. Chissà, forse anche i pellegrini del coincidente sentiero dei Franchi (che si salda con quello di Santiago de Compostela) verranno “riammessi”. Ma permangono le guarnigioni e i relativi controlli: la vendemmia imminente potrà avvenire solo maneggiando forbici di gomma (non assimilabili ad armi improprie) o strappando i grappoli coi denti (!) e tenendo bene in vista la carta di identità.
QUI, nel profondo Nordovest, come nella Sicilia di Tomasi di Lampedusa, tutto cambia perché tutto resti come prima. P.S. Lo scavo del cunicolo dovrebbe essere arrivato a 3700 metri dei 7000 circa promessi in UE ben al di sotto delle previsioni. Ma nessuno se ne preoccupa: anche qui nord e sud “si toccano” La Salerno – Reggio Calabria – l’appaltificio permanente – è il modello di riferimento.
Claudio Giorno
Movimento NO TAV
30/10/2014 www.italia.attac.org
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