Voci dal lavoro remoto in 2800 questionari
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PREMESSA
L’emergenza sanitaria Covid-19 ha determinato un utilizzo massivo del “lavoro da casa”, finalizzato allo scaglionamento della presenza all’interno dei luoghi di lavoro. Il DPCM dell’8 marzo 2020 concede infatti alle aziende di utilizzare lo “Smart working” o lavoro agile “per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, per ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti” Guardando alle condizioni effettive, risulta però che molti dei lavoratori e delle lavoratrici che stanno lavorando da casa a causa della pandemia, opera in una modalità piu’ simile al telelavoro che allo smart working, senza di fatto avere chiaro quali siano i propri diritti.
OBIETTIVI
- Conoscere dai diretti interessati come hanno organizzato il lavoro da casa, quali i vantaggi e gli svantaggi.
- Aprire un confronto con le lavoratrici e i lavoratori su come rendere il lavoro davvero agile affinché possa inserirsi in un rapporto chiaro, con regole definite, sotto tutti i punti di vista.
- Le percentuali riportare si riferiscono ad un campione di 2846 lavoratori “da remoto” intervistati tra ottobre e novembre 2020, dei quali 1.281 sono uomini e 1.565 donne, 936 del settore pubblico e 1.910 del privato, principalmente operanti nel nord Italia, fascia di età compresa tra i 18 e i 60 anni.
LAVORATRICI E LAVORATORI DICONO SI AL LAVORO AGILE, MA REALMENTE SMART E CON LE DOVUTE TUTELE
Dai primi risultati dell’inchiesta elaborata dalla “Rete delle lavoratrici e dei lavoratori agili – Italia”, collettivo nato su iniziativa di alcune lavoratrici e lavoratori che si sono ritrovati improvvisamente a lavorare da remoto in occasione della cosiddetta “prima ondata” legata all’emergenza socio-sanitaria Covid-19, emerge un’indicazione chiara: Smart working si, ma con alcuni importanti punti fermi.
Se il 95% degli intervistati ha infatti dichiarato la propria propensione ad un’eventuale proseguimento nell’utilizzo del lavoro da remoto anche nella fase post pandemica, la quasi totalità degli stessi ha posto delle condizioni sine qua non.
Una su tutte è che lo smart working debba essere volontario (98% ) e non imposto unilateralmente dalle Aziende come invece introdotto dal DPCM di Marzo ( con rinnovata validità fino al 31.01.2021).
Anche la mancanza di rapporti interpersonali, di interazione con i colleghi e il non uscire dall’ambiente domestico conseguenti all’impossibilità di recarsi sul posto di lavoro ha pesato molto sulle lavoratrici e i lavoratori nel periodo emergenziale. Il 78% degli intervistati indica infatti che, qualora il lavoro da remoto dovesse essere confermato come modalità di prestazione di lavoro anche per il futuro, occorre in ogni caso che sia garantita la possibilita’ di rientro in ufficio per qualche giorno a settimana qualora il lavoratore/lavoratrice lo richieda. La postazione di lavoro dovrà quindi essere garantita per tutte e tutti dall’Azienda.
Inoltre, si sono registrate diverse inadempienze rispetto quanto normato dalla Legge 81/2017 che regolamenta lo smart working, specie per quanto riguarda la prescritta parità di trattamento economico rispetto al lavoro in presenza. Piu’ del 55% degli intervistati ha infatti dichiarato che l’Azienda NON ha mantenuto tutti i diritti garantiti in presenza.
In particolare:
- non è stato piu’ erogato il Ticket, non è stato previsto alcun rimborso pasto per chi usufruiva del servizio mensa e non sono stati riconosciuti gli straordinari.
- Per lavorare da remoto piu’ del 50% degli intervistati ha dichiarato di aver dovuto utilizzare le proprie apparecchiature elettroniche (dovendo spesso procedere all’acquisto senza alcun rimborso) e nel 93,8% dei casi ha dovuto utilizzare (o potenziare in base alla maggiore necessità di flusso dati) il proprio personale contratto internet (ovviamente a proprie spese). Solo nel 3,3% dei casi è stata l’Azienda a fornire un dispositivo per collegarsi alla rete.
- Tutto cio’ a fronte del fatto che alcune Regioni, come ad esempio la Lombardia, abbiano stanziato un ingente somma a fondo perduto destinata alle imprese per favorire lo smart working.
- In alcuni casi è stato segnalato che il lavoratore posto in Cig in maniera intermittente abbia dovuto continuate a lavorare, sotto ricatto del datore di lavoro.
- la postazione ricavata nelle case viene percepita come inadeguata per illuminazione, ergonomicità e climatizzazione per quasi il 50% degli intervistati.
Un altro dato che stride con la ratio della sopra citata legge è che, nel 95% dei casi, la prestazione di lavoro sia stataerogata dalla propria abitazione, senza possibilità di interrompere il lavoro durante la giornata di lavoro e con processi e struttura organizzativa identici rispetto al lavoro in presenza.
Ne emerge sostanzialmente un quadro che ha a piu’ che fare con la replicazione nelle abitazioni private, della prestazione di lavoro normalmente svolta in ufficio.
Nella maggior parte dei casi si tratta quindi una modalità di lavoro caratterizzata dalla rigidità e dalla negazione del concetto stesso di agilità.
Altra indicazione importante che l’indagine fornisce è l’urgenza espressa dalle lavoratrici e dai lavoratori rispetto alla necessità di normare in modo collettivo l’attività da remoto.
Posto che la deroga alla Legge 81/2017 contenuta nel DPCM di Marzo (valida ancora oggi e almeno fino al 31.01.2021), introduce la possibilità di procedere con l’implementazione dello “smart working” da parte dell’Azienda in maniera univoca, negando di fatto al singolo lavoratore la possibilità, prevista invece in origine dalla legge, di contrattare anche se singolarmente, le condizioni di implementazione del lavoro da remoto, il 79% degli intervistati ha comunque dichiarato che lo strumento attraverso il quale lo smart working andrebbe normato dovrebbe essere il contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria. Questo anche a fronte delle troppe disuguaglianze di trattamento tra un’Azienda e l’altra, ma soprattutto a causa dei rapporti forza nei luoghi di lavoro, sempre piu’ sfavorevoli nei confronti dei lavoratori.
CONSIDERAZIONI GENERALI
La possibilità di gestire meglio e in autonomia il proprio tempo, conciliando lavoro e vita privata, e risparmiando sui costi di spostamento, è quindi sicuramente un orizzonte interessante per le lavoratrici e i lavoratori, così come importante potrebbe essere l’effetto della riduzione della domanda di mobilità lavorativa che si traduce in una riduzione di consumi energetici, emissioni inquinanti e di gas serra, tempi costi e infortuni legati agli spostamenti casa-lavoro.
Analizzando i dati nel complesso infatti, emerge una sostanziale propensione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori nell’accogliere positivamente (ma non acriticamente) lo smart working come possibile modalità di lavoro anche per il futuro post pandemico, accompagnata però dalla consapevolezza che, in assenza di norme puntuali e collettivamente contrattate che ne regolino l’applicazione, esista il rischio concreto che le uniche a trarne benefici siano le Aziende e che il lavoro agile si trasformi in un’occasione per esasperare la già troppo invadente flessibilità e parcellizzazione del lavoro.
Secondo dati forniti dall’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano infatti questa modalità di lavoro ha determinato un incremento di produttività pari a circa 15% per lavoratore, una riduzione del tasso di assenteismo pari al 20%, risparmi sui costi di gestione degli spazi fisici pari al 30%, un eccesso di 20 ore lavorate in più in un mese.
Se pensiamo che i lavoratori impegnati sul lavoro agile sono almeno 5 milioni e che gli smart worker ad oggi sono circa 570 mila, l’incremento della produttività si aggira intorno ai 15 miliardi di euro.
A fronte dei risultati dell’inchiesta occorre quindi procedere con urgenza alla costruzione di una nuova narrazione basata sulle condizioni reali che permetta di affrontare la questione lavoro agile da un punto di vista di classe.
A breve sarà organizzata un’iniziativa online nella quale la “Rete delle lavoratrici e dei lavoratori agili – Italia” presenterà i dati definitivi dell’inchiesta e li analizzerà con l’aiuto di esperti ( Psicologi, sindacalisti, sociologi ) al fine di elaborare una strategia comune che possa rendere la prestazione da remoto realmente smart, e non solo per le Aziende.
Nadia Rosa
Responsabile Commissione Lavoro di Rifondazione Comunista
Federazione di Milano
Pubblicato sul numero di dicembre del mensile Lavoro e Salute
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