Indivisibili contro il governo

Quante/i eravamo? 50 mila? 70 mila?, 40 mila come scrive il Manifesto o 100 mila o come riporta un giornale di solito non totalmente affine come Repubblica? Importa poco. Importa il fatto che, nonostante le numerose difficoltà organizzative, gli scarsi mezzi (le grandi organizzazioni si sono ben guardate dal sostenere una manifestazione incontrollabile e plurale), nonostante i blocchi dei pullman, con le forze dell’ordine impegnate anche a perquisire i panini, a identificare e fotosegnalare i manifestanti, rallentandone inutilmente l’arrivo a Roma, la piazza si è riempita. Le  strade sono state invase da un pezzo di paese nuovo, meticcio, plurale, che spesso non ha ancora appartenenza ma che non vuole il decreto Salvini come rifiutava quello del suo predecessore Minniti, che non vuole gerarchie stabilite sulla base della provenienza che spesso celano pi profonde di classe e di genere. Le oltre 450 realtà che hanno aderito e partecipato non hanno faticato a trovare, in piazza, un minimo comune denominatore che non si basa solo sul rifiuto di razzismo, fascismo, sfruttamento, patriarcato e omofobia, ma che provano a immaginare idee (il plurale è fondamentale) diverse di società in cui vivere. La manifestazione degli “indivisibili” del 10 novembre  stata una tappa, un primo risultato tangibile di come ci si possa unire senza dovere rinunciare alle proprie specificità ma in cui ci si possa contaminare e crescere. Ne avevamo bisogno noi, ne hanno bisogno estremo coloro  che più subiscono le politiche repressive e fascistoidi imperanti, ne ha bisogno anche quella gran parte di paese che sabato in piazza non c’era e che di questa energia dispiegata non saprà mai nulla. Si perché gli “indivisibili” sono diventati “invisibili” per gran parte del circo  mediatico nostrano (rare le eccezioni), meglio parlare di destra e sinistra borghese che si incontra per affermare l’importanza del business della TAV (chissà se i pullman dei loro manifestanti sono stati sottoposti a controlli), meglio parlare delle love story nel jet set, meglio distrarre e disinformare piuttosto che raccontare di un paese che è con Mimmo Lucano, con i bambini di Riace, con le Ong, per l’accoglienza e contro il razzismo. Curioso come abbiano trovato spazio per parlarne su Le Monde e meno sui nostri mezzi di comunicazione. Ma in fondo ci siamo abituati e forse anche rassegnati a questa narrazione distorta.

Ma fra gli indivisibili / invisibili scesi in piazza a Roma c’eravamo anche noi ed è giusto parlarne. Credo che questa manifestazione sia stata per noi,  per il nostro travagliato partito, un toccasana. Ci ha ridato orgoglio, ci ha fatto sentire un corpo solido, restituito il senso di comunità, complessa, tormentata, a tratti disorientata ma ci siamo stati con tutte le nostre forze e la nostra voglia, le nostre competenze e la nostra storia. Dovremmo ragionarne meglio. Era da tempo che non eravamo così tante/i dietro il nostro striscione o dispersi, con le nostre bandiere nel corteo, tanto tempo che non ci ritrovavamo, dal nord est alla Sicilia, non per discussioni e analisi ma per assolvere al nostro ruolo di Partito della Rifondazione Comunista capace di suscitare allegria con la musica trascinante sparata dai giovani, carica e voglia di agire, connessione sentimentale, verrebbe da dire – scomodando i giganti – con chi in piazza c’era e si è accorto di noi. Ci siamo stati e ci  siamo, necessari e indispensabili ma non sufficienti a riempire quel bisogno di rappresentanza di classe che questo paese richiede. Ci siamo stati e sappiamo esserci quando siamo in grado di capire quale è l’elemento dominante su cui concentrare la nostra attenzione e il nostro agire. Rifondazione Comunista è ancora questo, orgoglio e non boria, voglia di futuro e non reducismo identitario, capacità di connettersi con la realtà rifiutando di cadere nella ricerca di facile consenso e voglia di misurarsi senza crollare in forme inutili di politicismo. Rifondazione, nella sua pluralità di sguardi e di vedute, è anche e soprattutto questo, mantiene  la voglia di sperimentarsi con generosità e contemporaneamente riconosce le proprie  caratteristiche strutturali che non sono solo di partito ma e soprattutto di storia comune condivisa. La piazza del 10 novembre ci ha dato una risposta interessante, altre piazze ci aspettano, magari non ci vedranno presenti con le stesse  modalità, mobilitazioni studentesche, contro la violenza sulle donne o ci rimetteranno visibilmente in gioco,  si pensi a quelle in programma contro i nuovi CPR per migranti o alle giornate No TAV come alle tante occasioni che avremo per riproporci a livello locale e nazionale, contro questo governo, contro i diktat europei per proporre una idea diversa e possibile di società. Ricordiamola la piazza del 10 novembre perché, con tutti i nostri limiti, in questa giornata, come tante altre volte in passato,  siamo stati percepiti come utili e necessari. Per questo dobbiamo tutte/i ringraziarci a vicenda,  per averci creduto, aver faticato ed averci  messo la faccia. Anche questo ci fa bene.

Stefano Galieni

Responsabile Pace, Immigrazione e Movimenti PRC-S.E.

11/11/2018

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