INFANTICIDIO DI STATO NEL CARCERE DI REBIBBIA
Siamo in un Paese schizofrenogeno in cui non sono a rischio poche persone (e già sarebbe molto grave) ma tutti.
La tragedia di Rebibbia fa rabbrividire. Solo pochi giorni fa (**) avevamo denunciato la presenza, ancora una volta, di una bambina nel carcere di Bologna. La denuncia – contenuta nelle osservazioni al rapporto semestrale sul carcere Dozza redatto dalla Ausl locale – è passata inosservata per gli organi di informazione impegnati evidentemente su temi che hanno ritenuto più importanti. La disponibilità –su chiamata- del pediatra, citata nel rapporto semestrale commentato, indica chiaramente che la detenzione del minore si può praticare… anche se la legge non lo consente.
Il ministro Andrea Orlando aveva assicurato: «entro il 2015 più nessun bambino in carcere». Poi si è verificato il caso a Catania di un bambino che ha mangiato del topicida sparso nel carcere mentre la sua mamma faceva la rituale telefonata periodica concessa dal regolamento penitenziario: per mera fortuna l‘evento non ebbe conseguenze mortali.
Non vogliamo proporre nessuna semplificazione: eventi tragici come questo ultimo nel carcere di Rebibbia accadono anche “fuori”. E anche “fuori” ci sono possibilità di prevenzione spesso omesse il che lascia ogni persona in balia della sua disperazione e della sua solitudine.
Ma il tragico evento di Rebibbia (***) è diverso. La donna pare fosse in attesa di un colloquio psichiatrico, Molto verosimilmente vi erano le condizioni per la libertà provvisoria per motivi di salute: un percorso da sempre praticabile ma che secondo i giuristi avrebbe potuto essere ulteriormente facilitato da quel nuovo regolamento penitenziario che invece il Parlamento ha recentemente – in modo irresponsabile – bocciato;
Ovviamente questo lutto apre la voragine sul tema della gestione del disagio psichico in carcere che si sta malamente cercando di affrontare con inverosimili “sezioni psichiatriche” dimenticando i contenuti della legge 180/1978 e del movimento antipsichiatrico di Basaglia-Antonucci e di migliaia di altri protagonisti della lotta contro i manicomi.
La mamma di Rebibbia avrebbe potuto essere collocata in una Rems (****) ? E’ possibile ma massimamente assurdo è che ancora una volta constatiamo la presenza illegale di bambini in carcere, un ambiente che con la sua costrittività psichica e fisica è foriero delle peggiori disperazioni. La “mamma di Rebibbia” è di lingua tedesca, di origini extraeuropee: pare che addirittura non sia stata garantita neppure la mediazione linguistico-culturale nei suoi primi venti giorni di detenzione. Le norme di legge che Stato e istituzioni hanno violato si riferiscono alla necessità di collocare i bambini – anche ovviamente in assenza di particolari problematiche di salute della madre – e a seconda della loro posizione giuridica (ma si sa che nella quasi totalità le posizioni di riferiscono ai cosiddetti reati di basso profilo giuridico o addirittura “bagatellari”) e le loro madri in strutture sostanzialmente decarcerizzate come gli ICAM – cioè in “Istituti a custodia attenuata per detenute madri” – o meglio in case protette.
Nella vicenda di Rebibbia addirittura una delle poche esperienze di accoglienza extra-carceraria (a Roma, la Casa di Leda realizzata con enormi sforzi non dalle istituzioni ma dal volontariato) vede in questi giorni tre posti vacanti… Non si poteva collocare la “mamma di Rebibbia” in uno di questi?
Un appello: ai cittadini di gridare forte il loro sdegno per quello che è successo. Al presidente della Repubblica di dichiarare il lutto nazionale per la tragedia di Rebibbia.
Vito Totire
Bologna, 19.9.2018
(*) Vito Totire è psichiatra, portavoce del circolo “Chico” Mendes e del Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria “Francesco Lorusso”
(**) vedi Bologna: d come Dozza e come disastro
(***) cfr Rebibbia, tragedia al nido. Detenuta uccide la figlia
(***) La sigla sta per “residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza” una struttura sanitaria di accoglienza per gli autori di reato affetti da “disturbi mentali e socialmente pericolosi” in base alla legge 81 del 30 maggio 2014.
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