Infermieri in Stato di abbandono. Resilienza

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Perché gli infermieri non hanno una coscienza sindacale collettiva e riescono solo a produrre limitate aggregazioni d’impianto corporativo, da piccole lobby, inficiando il loro ruolo primario nell’economia di un servizio pubblico vitale?

Anche la loro marginale presenza nei sindacati confederali e nei sindacati di base soffre di marginalità e minima capacità di protagonismo programmatico nell’impianto generale delle loro organizzazioni.

Gli infermieri oggi sono frammentati in diverse organizzazioni mostrando nel loro insieme di non riuscire ad avere una visione organica dei problemi che riguardano la loro categoria e meno che mai ad avere un progetto di riforma del loro lavoro. La contraddizione che emerge con forza, soprattutto sottolineata da alcuni sindacati, è quella tra crescita dell’autonomia professionale e realtà ordinaria dell’infermiere. Come a dire: è inutile diventare dei padri eterni, fare guerre per altre competenze, rompere rapporti di collaborazione preziosi, contendere poteri ad altre professioni e continuare ad avere le peggiori condizioni di lavoro.” Ivan Cavicchi

Lo stesso “ordine” ‘IPASVI è vissuto, spesso sopportato, solo come copertura istituzionale della categoria, lasciando alla dirigenza nazionale e locale il compito di notai e addetti alle agenzie stampa.

La poca sindacalizzazione degli infermieri riproduce problematiche storiche nel la relazione medici/infermieri. portando il conflitto su basi tecnicamente professionali e mai di integrazione funzionale a un lavoro d’equipe come etica ed esigenze del servizio pubblico esigerebbe. Invece di continuare, spesso in forme sotterranee ma non meno deleterie di quelle urlate, a concepire la cura come una sommatoria di atti distinti da tra professioni, in una permanente guerra delle competenze, bisognerebbe decidere di procedere nella direzione di una visione organica della professione altrimenti è ovvio lo sbocco di una “crescita professionale” che non considera l’aumento dello sfruttamento ma lo ingloba, ricadendo nel vecchio luogo comune della missione e quindi del sacrifici, che porta solo a irrisori aumenti consolatori e mai ad adeguati stipendi.

Oggi l’epidemia ha forzatamente ricomposto in apparenza tutte le figure sanitarie, ma l’obbligo morale dovrebbe costringere tutti a togliersi le maschere per dare fiato a un confronto urgente di fronte al nemico pandemico, ma anche, sul lungo tempo, di fronte all’ignavia delle direzioni aziendali che hanno dimostrato incompetenza e vigliaccheria lasciando medici e infermieri da soli a combattere contro il mostro nato, cresciuto e pasciuto da questo velenoso sistema di sviluppo che produce distruzione dell’ambiente e conseguenti malattie.

La stessa accettazione di fatto della mancanza di decine di migliaia di infermieri, con relativo aumento degli orari di presenza in reparto e conseguente aumento dei rischi, denota uno stato depressivo individuale che non consente un ragionamento collettivo. Consente solo l’etichetta “eroi”.

CRISI DI IDENTITA’

L’avere insistito nell’inseguire il “corsus onorum” della figura medica all’interno del sistema sanitario ha portato gli infermieri su un binario morto.

Si è creduto che costituendosi prima in corporazione, poi in ordine professionale, ottenendo in seguito il diploma universitario e poi la laurea in scienze infermieristiche si aprissero le porte del paradiso del riconoscimento professionale e retributivo.

Certamente l’immagine dell’infermiere nella società è cambiato fra gli anni ‘80 e ‘90, ancor più da quando una serie di attività “tecniche” sono state delegate alle nuove figure come gli oss, nel corso degli anni 2000, consegnando all’infermiere l’esclusività della pianificazione dell’assistenza al paziente (superamento dell’ex-mansionario).

La nascita del ruolo autonomo è in inevitabile collaborazione con la figura del medico, da sempre preposto in via esclusiva alla definizione della diagnosi e cura del paziente.

Alla nuova configurazione non è però corrisposto alcun salto retributivo, bensì la crescita di nuovi apparati gerarchici di dirigenza infermieristica che affiancano, in posizione ancora subalterna, quelli medici nella gestione delle strutture sanitarie.
Dunque gli infermieri hanno un maggior riconoscimento sociale (non sono più “paramedici”) con un ruolo maggiormente definito e autonomo, ma con uno scarso riconoscimento a livello retributivo e dirigenziale dentro il Servizio Sanitario Nazionale.

Gli orpelli corporativi degli ordini infermieristici svolgono un ruolo di rappresentanza senza esercito, senza egemonia.
Il braccio “armato” del sindacato corporativo degli infermieri non ha portato in trent’anni a grandi aumenti e riconoscimenti salariali. Il tentativo di avere un contratto unico degli infermieri dentro questa cornice generale rischia di indebolirne ulteriormente le posizioni invece di rafforzarle, non potendo avere di per sé un peso collettivo e individuale di contrattazione paragonabile a quella del corpo medico.

La ricerca delle professionalità alte, specialistiche e tecnologizzate, sponsorizzata in parte dallo stesso ordine professionale, hanno favorito i processi di divisione e contrapporsizione, laddove l’assistenza infermieristica territoriale (più vicina alle cure di prossimità e alla prevenzione) ha perso centralità in termini di spazio, ruolo e riconoscimento professionale. Operando un torto al funzionamento del sistema sanitario (difetto evidenziato dalla crisi pandemica) e al possibile sviluppo di un ruolo ancor più autonomo e professionale degli infermieri come parte motrice del SSN.

La contrapposizione fra infermieri ospedalieri e di territorio è stato uno dei fattori più deleteri degli ultimi quindici anni che ha accompagnato l’impoverimento della sanità territoriale insieme alla riospedalizzazione del sistema sanitario. Oggi quella scelta scellerata naufraga di fronte all’affanno odierno degli infermieri ipertecnologizzati dei reparti Covid.

Il ruolo empatico degli infermieri soffoca nei reparti Covid, anzi ha una feroce nemesi nella riscoperta della morte e della sofferenza negli aspetti più crudi di uno sguardo. L’infermiere dovrebbe abbandonare la strada sbagliata dell’paramedico tecnologico e riscoprire il ruolo strategico della relazione umana quale fondamentale strumento di supporto del paziente nel proprio percorso esistenziale della malattia. Osservare, proteggere, custodire, supportare, aiutare, intervenire (col medico e non) per accompagnare l’assistito nel suo percorso. Questi sono i fondamenti del nursing, del sapere, sapere essere, saper fare.

Ogni tanto qualcuno si perde, dimenticandosi i fondamentali e l’essenza dell’assitenza a causa delle facili fascinazioni iper-tecnologiche proprie della sanità del XXI secolo. Una sanità che risulta pericolosamente sempre più distante dal corpo come dall’“umore” del malato, dimentica dei vecchi insegnamenti sull’esame clinico “diretto” al letto del malato come di quello dei “bisogni”, dove sullo stretto fronte dell’assistenza ci si riduce all’insieme delle azioni tecniche, senza più guardare all’insieme delle necessità dell’assistito.

FORMAZIONE

Il corso di laurea non ha modificato la condizione lavorativa e non migliora la condizione professionale, riproducendo la separazione tra preparazione formale e condizione materiale del lavoro e della professione ma ha semmai introdotto una divisione nelle aspettative tra i diversi livelli formativi. La formazione universitaria ha si creato le condizioni per l’evoluzione professionale, ma non è andata oltre la costituzione, anche, di un’aristocrazia professionale che utilizza, in troppi casi, la formazione per la fuga dal letto del paziente. L’ECM invece di stimolo all’aggiornamento continuo è diventato un mercato senza controllo della presunta formazione, un nuovo ostacolo all’evoluzione della condizione professionale e lavorativa.

ACCESSO AL LAVORO

Il blocco del turn over spinge in maniera pretestuosa verso le esternalizzazioni e l’utilizzo del personale somministrato. Oggi l’ingresso nel sistema avviene per “sostituzione temporanea” con la produzione di precariato storico, o attraverso l’utilizzo di agenzie interinali o con cooperative che ormai gestiscono interi rami di azienda. La precarietà diventa uno strumento sostitutivo delle carenze a basso costo impedisce crescita professionale, funzionalità ed efficienza delle prestazioni perché porta tanti a garantirsi la permanenza nel sistema.

CONDIZIONE LAVORATIVA

L’infermiere è l’ultima barriera a difesa dell’incapacità organizzativa di un sistema che scarica sul singolo operatore ogni problema richiamandolo a dare soluzioni tempestive senza alcuna tutela. Carichi di lavoro, carenze di organico, ritmi senza pausa e insostenibili, mancanza di sicurezza, abbattimento dei diritti individuali e collettivi sono parte di una condizione sulla quale bisogna intervenire per evitare che le contraddizioni vengano scaricate infine su altre figure afferenti come l’oss.

CONDIZIONE SALARIALE

Da oltre vent’anni gli aumenti della parte fissa del salario non sono state commisurate ai cambiamenti di ruolo e crescita professionale dentro un sistema sanitario sempre più progredito, complesso e tecnologizzato. Per porre rimendio a tale incompiutezza storica del nostro sistema generale di aumenti salariali (di tipo “concertativo”), ci si è sempre più spostati sul secondo livello di contrattazione (quello aziendale e/o territoriale) agendo sui passaggi di fascia e sulla parte variabile del salario legata alla produttività. Oggi sempre più questa parte importante del salario è legata alle prestazioni lavorative dettate dalle esigenze aziendali che fagocitano le stesse condizioni di salute degli infermieri.

CONDIZIONE CONTRATTUALE

A causa di una parte normativa non più aggiornata da oltre vent’anni nel Contratto Nazionale le possibilità di crescita sono ormai consumate, avanzano di conseguenza forme di contrattualizzazione dirompenti, come quella degli infermieri retribuiti dalle case farmaceutiche, per additarne una come esempio. Questa situazione alimenta le già profonde divisioni della categoria.

TERRITORIO

Nuove leggi e DPCM prevedono la figura dell’infermiere di prossimità o dell’infermiere di comunità, territoriale.
E’ un salto innovativo dal quale non è conseguito alcun finanziamento e nessuna assunzione.
Illuminante è che nella normativa si prospetti la possibilità di ricorso a sistemi di ingaggio sotto forma di collaborazioni, convenzioni per questa nuova figura professionale. E’ forse un ticket pagato all’ordine degli infermieri e delle professioni sanitarie, che si incardina sull’utopia del libero professionista, al pari del libero professionista medico di famiglia.

Si ripetono vecchi errori, ancor di più se si apre alla precarizzazione della professione infermieristica. Allargando l’applicazione di un modello che sta esprimendo molti limiti all’interno del sistema sanitario. Parliamo del regime delle convenzioni, delle forme di assunzione parasubordinate, dell’intramoenia, della privatizzazione e delle precarizzazioni sempre più invasive e infestanti.

Anche su questo occorrerà cambiare rotta finché si è in tempo. Altrimenti assisteremo all’ennesima forma di pauperizzazione di un ruolo, di un lavoro, di una professione.

Redazione Lavoro e Salute

Pubblicato sul numero di dicembre del mensile

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