Infortuni e morti? La ricetta del governo ”supporto psicologico ai famigliari”
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Il lutto come reazione ad una perdita è oggetto di attenzione da parte delle comunità umane da secoli; elementi socio-culturali, antropologici, psicologici accompagnano le diverse modalità di gestione e di presa in carico degli effetti fisici e mentali degli eventi particolarmente sfavorevoli. In generale la solitudine e la scarsa “coesione sociale” riducono le possibilità di elaborazione del lutto , intendendo per elaborazione la possibilità di superare la fase immediata dopo l’evento e di giungere ad una condizione di maggiore serenità ; la psicologia e la psichiatria sono intervenute a osservare, descrivere, catalogare nosograficamente la variabilità degli eventi con risultati , a volte, anche negativi nel senso , in particolare, di una “sbrigativa” risposta solo psicofarmacologica alla sofferenza.
Il problema del lutto dunque esiste ed è umano interrogarsi su come affrontarlo ; per la verità è importante , spesso,per i lutti “annunciati” porsi il problema di sostenere le persone che assistono il malato (i “famosi” cargivers a cui si dedicano molte parole ma pochi fatti) anche prima dell’evento mortale. Sono stati effettuati studi ed osservazioni sul tema e sul campo come quelli del dipartimento di Psicologia della Università di Torino nel territorio di Casale Monferrato; la elaborazione del lutto, come abbiamo detto, è fortemente influenzata da fattori sociali e a questo proposito non si può tacere di come abbia avuto un impatto psicologico negativo sulla comunità di Casale la notizie del conferimento di una onorificenza da parte della università statunitense di Yale al principale imputato del processo Eternit !Una offesa per le vittime dell’amianto.
La disgregazione sociale e la affermazione di organizzazioni sempre più individualistiche nel tempo hanno accentuato i rischi della solitudine; la gestione del lutto è sempre stata difficile anche per le comunità studiate da De Martino ma forse queste comunità contadine arcaiche , con i loro riti, con il supporto sociale alle persone colpite, con lo stesso fatalismo (che pur essendo un elemento, per certi versi pericoloso e “conservatore”, funziona da “anestetico” e consente di attenuare la sofferenza), gestivano il lutto in maniera più “naturale” anche e nonostante certi sensi di colpa (la malattia come punizione divina); se è importante non trascurare la storia del lutto anche per quello che abbiamo sedimentato nella nostra cultura, dobbiamo anche e soprattutto guardare al presente; nella età contemporanea certi percorsi di rimozione fatalista sono scomparsi e, affermatasi maggior consapevolezza sulle cause e sulle responsabilità a monte degli eventi, forse, la elaborazione del lutto è diventata (anche per questo) , per certi versi, più difficile; nelle nostre perizie in tribunale parliamo spesso di “esposizione indebita”; un termine soft per indicare una esposizione a rischio che doveva e poteva essere evitata se non fossero state ignorate certe elementari norme di prevenzione obbligatorie nei luoghi di lavoro; fu forse un documento della regione E-R (primi anni novanta: AMIANTO, togliamocelo dalla testa! ) a usare il termine di “rabbia” per descrivere lo stato d’animo della persona colpita da tumore asbesto correlato e consapevole però anche della evitabilità della esposizione a rischio e della malattia; la consapevolezza di essere stati colpiti da malattia a causa della incuria e della omissione dei principi di prevenzione è appunto alla base di questo sentimento di “rabbia” che, a sua volta, rende più difficile la elaborazione del lutto sia per la persona colpita che per i propri familiari; in questo quadro, di per sé difficile, le vittime non solo sono abbandonate a se stesse ma quasi sempre devono subire burocrazie, vere vessazioni, dinieghi e, infine, imposizioni ad “elemosinare” quelli che invece sono diritti a pieno titolo; dunque la prima misura da adottare deve essere quella di abbattere queste barriere , non costringere le vittime a “chiedere la elemosina”…pensiamo alla signora, vedova, nel caso in cui l’Inail ha disconosciuto la eziologia professionale dl congiunto ; eventualmente può accedere (accade) anche in relazione a un tumore in LISTA I ; la signora “non se la sente” di “andare in tribunale” … ma le viene fornito il supporto (con pagamento di parcella) proposto dalla convenzione Anmil / Ordine degli psicologi ???
Nella descritta situazione di vuoto e di abbandono, invece che rivendicare quello che è giusto (prevenzione , vero supporto sociale psicologico e materiale) qualcuno vorrebbe riempire il “vuoto” con una operazione “mercantile” cioè innestando sui bisogni delle vittime attività libero-professionale “a costi scontati”; l’ordine degli psicologi ha infatti sottoscritto una convenzione con l’Anmil garantendo la gratuità della prima vista/colloquio e uno sconto del 30% sulle tariffe professionali massime per i successivi incontri ;
ora , essendo noi, non in senso letterale ma simbolico “devoti” ai santi medici ( Cosma e Damiano , santi “anargiri” ), non abbiamo simpatia per la “libera professione” la quale , tuttavia, in Italia è legale ma dovrebbe essere riservata ad una vera scelta della persona e non un costoso ripiego per la persona assistita che non può contare sulla sanità pubblica; dunque il vero problema è che il vuoto esiste ma va occupato da un servizio pubblico che ha il compito istituzionale (legge 833/1978) di censire i bisogni e farsene carico; e qui, purtroppo, siamo all’anno zero ; sulla prevenzione e sulla presa in carico del disagio psicologico/psichiatrico in Italia (e ancor peggio in altre aree del mondo) siamo in una situazione molto arretrata; non è questa la occasione per fare una disamina esaustiva del tema tuttavia è utile fare alcune considerazioni.
- Il disagio psicologico post-traumatico deve essere prevenuto ove possibile, intercettato precocemente e sostenuto senza indugio qualora le energie e risorse personali non fossero sufficienti e appena la persona chiede aiuto o manifesta segnali di aiuto anche non verbali (che vanno attentamente decodificati).
- Il testo unico amianto “partorito” diversi anni fa da una certa maggioranza parlamentare di centrosinistra , presentato con ampia enfasi pubblicitaria ma mai discusso dalle commissioni competenti ipotizzava il sostegno medico-legale alle vittime dell’amianto ma…non se ne è fatto nulla.
- La convenzione Anmil /Ordine degli psicologi-se prendesse piede (e ci auguriamo di no), confermerebbe una prassi già in atto in Italia e nel mondo , anche se in un campo diverso che è quello della assistenza legale, medico legale e di psichiatria forense e che consiste in una azione alla “americana” (forse anche con meno profitti…); è sorto cioè un mercato (legale , pare) in cui la vittima non ha oneri fino al “risultato” risarcitorio ma alla fine versa il 20% dell’introito allo studio professionale che ha fornito il sostegno; qui non si tratta di dare giudizi “morali” , si tratta di evitare lo sviluppo di questo mercato garantendo un sostegno/servizio pubblico gratuito
- La sanità pubblica dovrebbe, ovunque, sostenere tutte le forme possibili di supporto non limitandosi alla frettolosa scorciatoia dei “rimedi” psicofarmacologici (a volte peggiori del male) ma agevolando la formazione di gruppi di auto aiuto, fornendo vero supporto psicoterapico (tenendo ben conto della natura reattiva dei disturbi accusati) agevolando le forme di elaborazione del lutto (ormai molte “vedove dell’amianto” ma anche altri familiari o persone in vita sopravvissute a traumi e malattie occupazionali hanno scritto memorie, romanzi, poesie, lavori teatrali: tutto questo va sostenuto e valorizzato).
- Certo è utile e necessario che cresca- nella sanità pubblica-la capacità di percepire i bisogni, di farsene carico e di sviluppare la capacità di supporto anche con la crescita di formazione degli operatori con percorsi ad hoc senza la necessità di istituire servizi “separati” ed evitando anche la tendenza , purtroppo in atto, a smistare gli “utenti” verso le attività libro-professionali intra o extra-moenia
- Non ci pare essere utile un “servizio ad hoc separato” rispetto ad altri bisogni natura psicologica, quanto la crescita di formazione, professionalità ed empatia da parte degli operatori dei servizi pubblici
In conclusione non si può che esprimere un parere negativo sulla convenzione Anmil/Ordine degli psicologi, anche se, è vero, essa parte da una valutazione realistica che possiamo senz’altro condividere : il deplorevole stato di abbandono in cui oggi si trovano le vittime oltretutto, quasi sempre, nel corso delle valutazioni peritali correlate ai contenziosi ,esposte a subire inaccettabili “interrogatori” da parte dei periti (ben retribuiti) delle controparti alla ricerca di improbabili contraddizioni , di improbabili “vulnerabilità” pregresse e di “argomenti” per minimizzare la entità di un danno che, in verità, un risarcimento economico non può peraltro davvero “risarcire”.
L’auspicio è che la convenzione che abbiamo citato venga “ibernata” e che le istituzioni la interpretino per quello che è: un evento/sentinella che ripropone la inesistenza di un supporto di cui non vorremmo ci fosse mai bisogno perché riusciamo a prevenire gli eventi luttuosi, ma che quando occorre deve essere pubblico e tempestivo.
La discussione, come è ovvio, è aperta.
Vito Totire
Rete Nazionale Lavoro Sicuro
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