Investire nella cura

Per arginare disparità di genere e scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro in Italia, soprattutto al Sud, servono investimenti a lungo termine nelle infrastrutture sociali che sollevino le donne dal lavoro di cura. I risultati di un nuovo studio

Il divario di genere nel mercato del lavoro italiano è un problema strutturale che continua a ostacolare il progresso economico e sociale del paese. Questo divario è particolarmente pronunciato nel Sud Italia, dove le donne affrontano ostacoli significativi alla partecipazione al mercato del lavoro: norme sociali e culturali che le relegano principalmente al lavoro di cura non retribuito, inadeguatezza dei servizi di cura e scarsa domanda di lavoro. 

La questione territoriale si intreccia così con quella di genere, creando disparità ancora più profonde tra le regioni settentrionali e meridionali. In questo contesto, le politiche pubbliche possono fare la differenza. 

Nel nostro studio Breaking the Divide: Can Public Spending on Social Infrastructure Boost Female Employment in Italy?, abbiamo indagato se e in che misura la spesa pubblica in infrastrutture sociali come l’istruzione, la sanità e i servizi di assistenza possa contribuire a ridurre questo divario.

I risultati – particolarmente rilevanti alla luce del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che ha l’obiettivo di promuovere le pari opportunità nel mercato del lavoro – evidenziano sia le opportunità che le sfide legate a questo obiettivo.

Il contesto 

In Europa, l’Italia si distingue per avere uno dei peggiori tassi di occupazione femminile, con una media nazionale che nel 2022 si attestava al 51,1%, secondo i dati Istat. A livello regionale, sei delle dieci regioni europee con i tassi di occupazione femminile più bassi si trovano in Italia, tutte situate al Sud.

Figura 1. Occupazione femminile a livello regionale, 2022

Occupazione femminile regionale
Fonte: Reljic and Zezza (2024)

Regioni come Sicilia, Calabria e Campania presentano tassi di occupazione femminile inferiori al 35%. La scelta di avere figli è particolarmente penalizzante per le giovani donne, soprattutto in contesti dove lo stato è meno presente con infrastrutture e servizi adeguati. In effetti, i tassi di occupazione tra le giovani madri sono inferiori di oltre il 25% rispetto a quelli delle loro coetanee senza figli.[1]

Queste disuguaglianze sono radicate in tre principali fattori, che penalizzano più duramente il Sud. Il primo è di natura culturale: le norme sociali attribuiscono alle donne la responsabilità primaria del lavoro di cura non retribuito, limitando fortemente le loro possibilità di partecipare al mercato del lavoro e costringendole spesso a scegliere tra carriera e famiglia e a rinunciare all’autonomia economica. 

Il secondo fattore è legato alla carenza di infrastrutture sociali adeguate. In Italia, la copertura dei servizi di cura per i bambini e le bambine di età compresa tra 0 e 2 anni è infatti solo del 27%, con punte minime nel Sud, dove scende sotto il 15%. Un dato in contrasto con quello di altri paesi europei, come la Francia e la Spagna, dove i tassi di copertura superano il 50%. L’assenza di servizi di supporto adeguati obbliga molte donne a ridurre le ore lavorative, optando per il part-time, o a ritirarsi completamente dal mercato del lavoro. 

Il terzo fattore riguarda infine le politiche di austerità adottate negli ultimi anni, che hanno ridotto significativamente la spesa pubblica in settori tradizionalmente caratterizzati da una forte presenza femminile come l’istruzione e la sanità. Questi settori sono stati duramente colpiti dai blocchi delle assunzioni, aggravando ulteriormente le disuguaglianze di genere. Specialmente al Sud, già penalizzato da debolezze strutturali e livelli elevati di disoccupazione.

Il ruolo delle infrastrutture sociali

Le infrastrutture sociali, come scuole, ospedali e servizi di assistenza per l’infanzia e le persone anziane, sono fondamentali sia per il benessere collettivo che per ridurre il divario di genere. Investire in questi settori può alleviare il carico del lavoro di cura non retribuito, che ricade principalmente sulle donne, consentendo loro una maggiore partecipazione al mercato del lavoro. 

Inoltre, un aumento degli investimenti di questo tipo non solo riduce il tempo dedicato al lavoro di cura, ma incrementa anche la domanda di lavoro negli ambiti che impiegano soprattutto le donne.

Considerato il suo elevato potenziale occupazionale, investire nel settore della cura è una scelta strategica per promuovere la crescita e affrontare l’invecchiamento della popolazione italiana, uno dei più rapidi tra i paesi avanzati.

La ricerca

Il nostro studio stima gli effetti dell’aumento della spesa pubblica in infrastrutture sociali sul divario occupazionale di genere nelle regioni italiane dal 2000 al 2019. Pur non essendo esplicitamente destinata ad aumentare l’occupazione femminile, la spesa pubblica in questo ambito ha il potenziale per ridurre le disuguaglianze di genere. Questo può avvenire aumentando sia l’offerta di lavoro sia la domanda di lavoro che favorisca maggiormente le donne.

I risultati indicano che un incremento della spesa pubblica in infrastrutture sociali ha effetti positivi su investimenti privati, Prodotto interno lordo (Pil) e occupazione totale. Tuttavia, l’impatto sulla riduzione del divario di genere è evidente solo nel Sud Italia e tra le donne con competenze elevate. In queste regioni, la spesa sociale contribuisce a ridurre il divario di genere, ma l’effetto positivo tende a svanire nel medio-lungo termine, con un incremento dell’occupazione maschile che supera quella femminile. 

Questi risultati mettono in luce come uno shock espansivo isolato nella spesa sociale non sia sufficiente a contrastare le problematiche strutturali che affliggono il mercato del lavoro italiano. È quindi evidente la necessità di politiche strutturali più ambiziose, che vadano oltre interventi isolati e temporanei. 

Investimenti a lungo termine nelle infrastrutture sociali, mirati a colmare i divari regionali, risultano fondamentali per superare le barriere che le donne affrontano nel mercato del lavoro e per promuovere una convergenza regionale. Inoltre, per rendere il mercato del lavoro più inclusivo, in particolare al Sud, è cruciale spezzare il circolo vizioso caratterizzato da lavoro precario, salari bassi e scarsa produttività.[2]

Pnrr e parità di genere

Sebbene il Pnrr abbia tra i suoi obiettivi trasversali la riduzione del divario di genere, ci siamo chiesti se il piano rappresenti davvero un’opportunità per affrontare le disuguaglianze regionali e di genere. Da un lato, l’evidenza empirica suggerisce che la spesa pubblica in infrastrutture sociali possa sostenere la crescita degli investimenti privati, del Pil e dell’occupazione. Destinare il 40% delle risorse del Pnrr al Sud Italia potrebbe quindi contribuire a ridurre il divario economico persistente tra centro e periferia. Dall’altro, però, gli sforzi del Pnrr per ridurre le disparità di genere potrebbero non essere sufficienti.

Un esempio emblematico è l’obiettivo di creare 264.000 nuovi posti negli asili nido, poi ridimensionato. Sebbene ambizioso e necessario, senza una strategia di reclutamento di lungo periodo per garantire personale stabile e qualificato, queste strutture rischiano di non raggiungere il loro pieno potenziale. Inoltre, le revisioni del Pnrr, che hanno ridotto i fondi per le infrastrutture sociali, sollevano preoccupazioni: la riallocazione delle risorse verso settori dominati dagli uomini, come le costruzioni, potrebbe compromettere ulteriormente gli sforzi per ridurre il divario di genere.

I risultati del nostro studio dimostrano che gli interventi di spesa sociale una tantum, pur generando effetti positivi a breve termine, non sono sufficienti per affrontare le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro italiano.

Il ritorno alle politiche di austerità, con il nuovo quadro fiscale europeo, rischia di intensificare queste disuguaglianze, colpendo in particolare le donne che già subiscono le maggiori conseguenze dei tagli alla spesa sociale.

Per promuovere la parità di genere, quindi, è necessario un impegno a lungo termine che superi la logica degli interventi temporanei e isolati e affronti in modo sistematico le barriere strutturali che limitano la partecipazione femminile nel mercato del lavoro. Solo attraverso politiche coerenti e ambiziose sarà possibile promuovere un mercato del lavoro più inclusivo e ridurre le disuguaglianze di genere su tutto il territorio nazionale.

Note

[1] Cassa Depositi e Prestiti, Infrastrutture sociali. Linee guida strategiche settoriali. Analisi e Scenari, 1–25, 2023.

[2] V. Cirillo, J. Reljic, The North-South Divide – A Structural Labor Market Perspective in Italy’s fragmented Landscape, in: Glassmann, U., Gräbner, C. (Eds.), The Political Economy of Italy and the Center-Periphery Perspective on Europe. Metropolis Press, 2024.

Riferimenti

J. Reljic, F. Zezza, Breaking the Divide: Can Public Spending on Social Infrastructure Boost Female Employment in Italy? (No. 1407). GLO Discussion Paper, 2024.

Istat, Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia, 2021.

I. Ilkkaracan, K. Kim, T. Masterson, E. Memiş, A. Zacharias, The impact of investing in social care on employment generation, time-, income-poverty by gender: A macro-micro policy simulation for Turkey. World Development, 144, 105476, 2021.

L. Cresti, M.E. Virgilito, Strategic Sectors and Essential Jobs: A New Taxonomy Based on Employment Multipliers. SSRN Electronic Journal, 2022. 

A. Picchio, A Feminist Political-Economy Narrative Against Austerity. Int. J. Polit. Econ. 44, 250–259, 2015. 

Jelena Reljic, Francesco Zezza

19/9/2024 http://www.ingenere.it

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